L’avvento del digitale ha radicalmente trasformato il modo in cui vengono condotti i conflitti, dando vita ad una nuova forma di guerra dove l’informazione e le immagini diventano strumenti strategici tanto quanto le armi tradizionali.
Al contempo, social media e nuove tecnologie hanno introdotto un elemento di ambivalenza sul campo di battaglia: se da un lato hanno permesso una comunicazione più rapida ed efficiente, dall’altro hanno aperto la via a nuove forme di manipolazione dell’opinione pubblica.
L’intelligenza artificiale, con la sua continua evoluzione, sta inoltre ridefinendo il concetto stesso di arma, introducendo strumenti con potenziali impatti devastanti. Questo scenario pone interrogativi cruciali sul rischio di un predominio della tecnologia sulla politica nei contesti bellici, una questione che richiede un attento esame nel complesso panorama delle dinamiche della guerra nel periodo digitale.
Le nuove dinamiche della guerra nel contesto digitale
Dopo il 2011, considerato dall’opinione pubblica occidentale e soprattutto statunitense il punto di svolta nella guerra globale al terrore (Global War on Terrorism), nel mondo ci sono state, fino al 2020, oltre 100 guerre[1]. Internet le rende più accessibili: secondo l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, Agenzia delle Nazioni Unite, nel 2019 il 54% della popolazione mondiale usava internet, ma la percentuale di popolazione dotata di accesso attraverso un cellulare era del 97% nel 2021.
Questi dati illustrano la facilità di accesso alle informazioni che caratterizza il nostro tempo: sappiamo che la guerra viene commentata e documentata prima sui social che sulla stampa.
Da questo punto di vista si è compiutamente realizzata la profezia di coloro che prevedevano una democratizzazione della funzione del giornalista, una sua estensione verso forme di raccolta e pubblicazione delle informazioni diverse da quelle tradizionali. L’informazione viene prodotta e diffusa 24 ore al giorno tutti i giorni, senza sosta. L’informazione passa dalla rete al cellulare e al nostro cervello, ma non si sedimenta se non con l’approfondimento e non si fissa se non con la ripetizione: due possibilità che la rete ci offre, ma che la pressione stessa dei social media ci impedisce di esercitare. La guerra radicale, nella visione degli autori citati, è quella guerra che ormai viene legittimata, combattuta, pianificata attraverso i social media e la rete.
Il ruolo delle immagini e dei social nei conflitti moderni
Durante le guerre mondiali la documentazione diretta sulla guerra era scarsa: la censura militare impediva le comunicazioni scritte, quelle telefoniche erano rare, la stampa era posta sotto il controllo della censura: la comunicazione ha sempre svolto un ruolo centrale nella gestione della guerra, usando gli strumenti tecnologicamente disponibili in ciascun momento storico, ma con il duplice obiettivo di demoralizzare il nemico e galvanizzare il proprio esercito e il proprio paese.
Oggi, con internet, le cose sono molto cambiate: gli obiettivi della propaganda e contropropaganda rimangono gli stessi, ma la relazione tra guerra e opinione pubblica è molto cambiata. Ci sono molte più informazioni dirette sul suo andamento. Questo non vuol dire che esse siano verificate, tutt’altro. Tuttavia è pressoché impossibile controllare e censurare la rete in modo tale da non far filtrare brandelli o anche significativi spezzoni della narrazione del nemico o della documentazione fornita dalla stampa e delle istituzioni culturali e umanitarie indipendenti. La rete, inoltre, porta con sé un abbattimento delle barriere culturali e nazionali, pur potendo essere anche uno strumento di esasperazione del contrasto e del risentimento. Il successo del richiamo nazionalistico o razzista, tipico delle guerre fino alle due mondiali, è destinato a funzionare sempre di meno, mentre aumenta l’efficacia del richiamo alle ragioni dell’indipendenza e della autodeterminazione: le due parole d’ordine principali delle ideologie irredentiste e delle correlate azioni terroristiche ed eversive.
La tecnologia nella relazione tra governo, esercito e popolo
I governi aggressivi e determinati a “farsi valere” agli occhi delle proprie opinioni pubbliche si trovano di fronte ad un problema non nuovo, ma di dimensioni nuove. Se anticamente (comprendendo nell’antichità anche le due guerre mondiali) bastava additare e punire disfattisti, disertori e traditori per cercare di mantenere l’ordine nella società e la motivazione a combattere nell’esercito, già sul finire della seconda guerra mondiale, con l’apparizione della bomba atomica, le cose sono cambiate.
Non solo perché si è approfondito e complicato, forte come non mai, il dibattito sulla neutralità della scienza e quindi sulla responsabilità morale dello scienziato, ma soprattutto perché la tecnologia ha oscurato completamente la relazione tra governo, esercito e popolo. Da quel momento, come insegna la famosa scena di Harrison Ford che spara con calma al musulmano che lo minaccia con complicate e aggressive coreografie di scimitarra, i governi hanno pensato che la chiave della guerra fosse tecnologica: eserciti professionali, armi di attacco e difesa sofisticate, grande preparazione tecnica e logistica per occupare il campo e vincere, coltivando sotto sotto l’antico sogno della blitz krieg.
Ma le nuove tecnologie, in particolare quella di oggi basata sulla digitalizzazione dei sistemi d’arma, sulla guerra cibernetica, sull’acquisizione di informazioni sulle mosse del nemico e sulla sua condizione sul campo, portano un regalo avvelenato.
Per questo molti sostengono che sia Putin con l’aggressione all’Ucraina, sia Israele, con la spropositata risposta ad Hamas, abbiano già perso uno dei risultati più importanti della guerra, quello del consenso internazionale, ossia quello della sicurezza dello stato e del governo a lungo termine.
L’ambivalenza delle nuove tecnologie sul campo di battaglia
Già l’esperienza esiziale del Vietnam, poi confermata in Afghanistan e Iraq ed oggi sotto gli occhi di tutti con la guerra in Ucraina e in Medio Oriente, dimostrava che la superiorità tecnologica era insufficiente se la risposta era in grado di eluderne la potenza.
Questa risulta sempre più concentrata, man mano che l’importanza tecnologica e economica dei sistemi d’arma aumenta. Ma risulta anche più costosa e difficile da controllare sia in termini di capacità operative di chi la deve guidare, sia di flessibilità nel suo utilizzo.
Risale la minaccia nucleare
È per questo che è ripresa la corsa al nucleare, con paesi medi o piccoli come Israele e la Corea del Nord, che vogliono dotarsi del deterrente in grado di proteggere i governi dal rischio di essere abbattuti da una minaccia proveniente dall’esterno.
Israele ha messo in campo la deterrenza atomica contro gli attacchi da altri stati musulmani. La tiene rigorosamente segreta e quindi per questo la rende più che mai efficace, ma pur sempre irrilevante rispetto alle minacce provenienti da forze parzialmente irregolari non riconducibili, neppure dal punto di vista finanziario, ad uno Stato e ad un governo. Ma Israele ha anche fatto affidamento, secondo la scuola dominante nel secondo dopoguerra, sul fatto che la tecnologia fosse la risposta a questo rischio. Ha sviluppato capacità straordinariamente avanzate nell contrasto alla cyberwar, nello spionaggio elettronico, nello sviluppo di armi difensive molto efficienti: Iron Dome, il suo formidabile scudo missilistico intercetta 9 attacchi su dieci. Ma “il katiuscia palestinese vale circa 300 dollari, l’intercettore Tamir fino a 50 mila. L’incubo degli strateghi israeliani era e resta la crescita esponenziale in numero, potenza, precisione e frequenza di lacio dei missili nemici…dieci giorni con lancio di diecimila razzi e centomila vittime. Nemmeno Iron Dome sarebbe in grado di assorbire tanto volume di fuoco”.[2]
L’evoluzione delle armi nell’era dell’intelligenza artificiale
Sul fronte della guerra dei chip, l’amministrazione americana ha appena provveduto a stringere le maglie lasciate aperte dai provvedimenti restrittivi dell’anno scorso. L’esportazione verso la Cina dei processori più veloci e potenti di Nvidia, quelli per l’addestramento H1000 e A100 era stato bloccato, con vivaci proteste della compagnia che realizza in quel mercato almeno un terzo del suo fatturato. Nvidia ha prontamente sviluppato due prodotti alternativi, H800 e A800, più lenti, ossia capaci di elaborare 400 gigabyte al secondo invece di 600, aggirando il blocco e piazzando rilevanti forniture presso i giganti cinesi che operano nell’intelligenza artificiale: Bytedance (TikTok), Baidu, Alibaba e Tencent hanno acquistato il processore H800 per una ammontare di 5 miliardi dollari.
Baidu, gigante della ricerca online, ha annunciato una vesrione del modello di linguaggio, Ernie 4, con capacità simili a ChatGPT utilizzando decine di migliaia di processori per addestrarlo, confermando che si trattava di chip Nvidia[3]. Ora, con le nuove restrizioni, i processori H800 e A800 saranno sottoposti ad embargo. Un ostacolo in più sulla strada dell’allentamento delle tensioni tra Usa e Cina.
L’intelligenza artificiale avanza sul terreno della frontiera tecnologica, ma questo avanzamento si porta appresso la banalizzazione delle tecnologie più semplici e mature: la loro applicazione al settore degli armamenti rende molto più efficaci e meno costose le armi tradizionali, e molto più efficace il lor impiego.
Le nuove armi, come i droni e i missili guidati da intelligenza artificiale, sono sviluppate non solo negli Stati Uniti, in Cina e in Russia: le tecnologie sono disponibili anche per paesi di medie dimensioni. Le tecnologie divengono accessibili per aziende e gruppi che intendono venderle o usarle al di fuori delle giurisdizioni oggetto delle politiche di controllo e delle sanzioni.
Questa facilità di applicazione e di accesso produce un potenziale sviluppo di sistemi d’arma in cui, a fianco di mezzi costosissimi operati da soldati in carne ed ossa vi sono miriadi di armi dotate di qualche sistema di intelligenza artificiale più o meno avanzato, che affiancano i combattenti sul campo. “Si può immaginare uno scenario in cui i droni oltrepassano il numero dei combattenti in modo considerevole. Sarebbe un fattore di moltiplicazione delle forze, poiché oggi uno dei maggiori problemi della guerra moderna è il reclutamento”. Il progetto segreto della difesa americana, Next Generation Air Dominance, si basa sulla collaborazione tra droni collaterali che affiancano i piloti in un rapporto 5/1.[4] Naturalmente vi è un elevato rischio di confusione ed errore, ma il rischio maggiore che l’intelligenza artificiale comporta è quello dei tempi di reazione: essa può convincere il decisore che è possibile rispondere e agire in pochi secondi, rinunciando a quelle ore in cui, fino ad oggi è stato possibile con l’intervento umano evitare di precipitare nella catastrofe nucleare.[5]
L’aiuto americano ad Israele, recentemente proposto al Congresso dall’amministrazione Biden, comprende 1,2 miliardi di dollari per sviluppare l’Iron Beam, un sistema di difesa basato su laser ad alta energia in grado di proteggere più efficacemente dei sistemi affidati ai razzi intelligenti di intercettazione.[6]
Mentre il sistema americano è orientato a intercettare missili a largo raggio, l’intenzione di Israele è di sviluppare il sistema in senso più distribuito, per esser in grado di difendersi dagli attacchi multipli e contemporanei di razzi e colpi di mortaio: “Il sistema israeliano ha un approccio tecnologico diverso, Potrebbe essere una interessante integrazione” ha osservato Doug Bush, Sottosegretario alla Difesa per gli approvvigionamenti[7]. In realtà è l’ennesimo tentativo di liberarsi dell’incubo dei 10.000 razzi che attaccano in modo coordinato, magari via semplici SMS. Un altro tentativo che confida nell’effetto taumaturgico della tecnologia.
Il rischio del predominio della tecnologia sulla politica nei contesti bellici
Ma il problema delle guerre moderne, ed in particolare di quelle che dal Vietnam in avanti sono state condotte da una superpotenza tecnologica e militare, con grande dispiegamento di mezzi, tecnologie e disponibilità logistiche, è un problema diverso dalla semplice affermazione della superiorità tecnologica.
Contro il grande dispiegamento di mezzi e capacità, si leva una forza distribuita, quella di comunità o popoli che si mobilitano, accedendo a sistemi di comunicazione che riescono a non essere intercettati o che comunque hanno sistemi di comando decentrati e aggregati in modo tale da non essere facilmente prevedibili nelle loro scelte. La rete a la diffusione dei terminali intelligenti è la chiave moderna di questa risposta.
Per avversari di questo tipo non si pone il problema del reclutamento e l’accesso ad armi comunque potenti e massive è facile e poco costoso: sostenibile anche da chi ha relativamente pochi mezzi, comunque largamente inferiori all’avversario.
L’illusione che la tecnologia possa risolvere i problemi politici sposta solo in avanti le modalità del conflitto, ma non risolve il suo esito. Anzi, più ci si affida alla tecnologia e meno si sviluppano le attività diplomatiche, culturali, le iniziative religiose e umanitarie, i programmi economici e finanziari che servono ad alleviare le tensioni e, nel lungo tempo a risolverle.
Se Israele si sente pericolosamente e intollerabilmente accerchiata dalla cintura di fuoco di Hezbollah a nord e di Hamas a sud, la rincorsa agli armamenti sempre più sofisticati e tecnologicamente avanzati può risultare inutile e forse dannosa.
“La religione della tecnologia consente forse di censire la capacità del nemico, non di conoscerne le intenzioni…La superiorità tecnologica trasmette sicurezza mentre prepara rovina”.[8]
Note
[1]) Matthew Ford, Andrew Hoskins, Radical War. Data Attention and Control in the 21st Century, Oxford Universuty Press, 2022, Prologue.
[2]) Editoriale, C’è luce oltre la guerra, Limes, n. 10 2023
[3]) Will Knight, The US Just Esaleted Its AI Chips War With China, Wired, October 17, 2023.
[4]) Michael Hirsh, How AI Will revolutionize Warfare, Foreign Policy Magazine, April 11, 2023.
[5]) Ivi.
[6]) Jon Harper, US Army may look to procure Isralei’s Iron Beam laser weapon for air defense, DefenseScoop, November 8, 2023.
[7]) Ivi.
[8]) Limes, op. cit.