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Il deepfake si fa strada nel marketing: bene, ma servono regole



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L’uso di deepfake nel marketing sta aprendo nuove possibilità, come la creazione di influencer virtuali e l’uso di volti noti per campagne pubblicitarie. Tuttavia, solleva anche questioni etiche complesse e richiede una riflessione sulla regolamentazione

Pubblicato il 1 dic 2023

Alessio Pecoraro

coordinatore PAsocial Emilia-Romagna, marketing & communication manager



deep fake_ intelligenza artificiale_5

La tecnologia deepfake sta aprendo nuovi orizzonti nel settore del marketing. Possibilità insospettabili si stanno svelando, come la capacità di creare influencer virtuali o di utilizzare volti noti per campagne pubblicitarie, grazie alla sofisticata manipolazione di immagini e video.

Tuttavia, l’uso del deepfake non è esente da sfide: se da un lato offre nuove opportunità di branding e engagement, dall’altro solleva complesse questioni etiche e richiede una nuova riflessione sul piano della regolamentazione.

Deepfake e marketing: i risvolti positivi

Il deepfake, video – o a volte audio – falsi in cui una persona fa e/o dice cose che non ha mai fatto e/o non ha mai detto, è una tecnologia nota soprattutto per il suo utilizzo nella disinformazione politica, nelle truffe, negli scherzi televisivi o nel revenge porn.

Sebbene il deepfake sia, oggi, l’aspetto più distopico e preoccupante della tecnologia a disposizione i marketer possono usarla a fin di bene? La risposta è certamente affermativa.

Campagne pubblicitarie con personaggi importanti della storia

Indubbiamente, una delle strategie di marketing che è stata ampiamente applicata con il deepfake è la creazione di campagne pubblicitarie con personaggi importanti della storia.

La campagna “Natural Intelligence” della Fundación Reina Sofía realizzata dall’agenzia pubblicitaria di Madrid Señora Rushmore ha fatto rivivere il maestro del surrealismo Salvador Dalì in un video che funge da invito a sensibilizzare e potenziare gli sforzi di ricerca sulle malattie neurodegenerative con un messaggio metanarrativo.

Campagne pubblicitarie con un tocco nostalgico

Un altro aspetto di utilizzo del Deepfake nel marketing è la realizzazione di campagne pubblicitarie con un tocco nostalgico. Ricorrere al sentimentalismo è qualcosa che tende a dare buoni risultati anche all’interno del marketing digitale.

Ricorrere all’aspetto nostalgico è qualcosa che tocca le corde del cuore delle persone e attraverso questo è possibile spingerli ad una “call to action” o a guardare un contenuto.

Un chiaro esempio, divenuto ormai case study, è lo spot di “The Last Dance“, la serie tv creata da ESPN e Netflix che racconta la carriera di Michael Jordan, in cui i creativi di ESPN CreativeWorks e l’agenzia Translation fanno credere che il conduttore di ESPN Kenny Mayne avesse fatto, nel 1998, una previsione sulla serie uscita nel 2020.

Per i marketer che lavorano nell’industria degli eventi e dell’arte i Deepfake aprono una serie di possibilità interessanti. Grazie alla tecnologia è possibile ricreare oggetti o persone in qualsiasi parte del mondo allo stesso tempo.

Quando si tratta di arte e cultura, la tecnologia deepfake può essere utilizzata da artisti, musei e organizzazioni per coinvolgere il pubblico in modi nuovi ed entusiasmanti.

Un esempio è il Museo Dalí di St. Petersburg, in Florida, che utilizza un deepfake di Salvador Dalí per accogliere ed interagire con gli ospiti.

Lo scorso 24 ottobre a Morecambe, nel Lancashire, presso la Morecambe Library, ha inaugurato la mostra che celebra Antonia Pageta, artista italiana degli anni ’40, ma l’artista non è reale. Antonia Pageta è in realtà una creazione di Intelligenza Artificiale (AI) dell’artista di Morecambe Anthony Padgett.

L’uso del deepfake nel settore dell’eCommerce

È tuttavia nei negozi virtuali (e-commerce) che l’impatto del Deepfake può essere maggiormente rilevante.

I siti di e-commerce tradizionali vengono percepiti dalla maggior parte dei clienti come uno scaffali pieni di prodotti. Si tratta di ambient abbastanza freddi con pochissima connessione emotiva. Ecco perché molte aziende e i loro brand stanno puntando sui live streaming, l’equivalente su internet delle televendite, puntando su una maggiore connessione emotiva tra lo streamer e gli spettatori.

Cosa sta accadendo in Cina

In Cina sta accadendo che nelle ore successive alla mezzanotte, molti dei canali di streaming su piattaforme di e-commerce, siano animati da streamer generati dall’intelligenza artificiale.

Dal 2022 con pochi minuti di video per addestrare il “fake” e circa 1.000 dollari di costi, i brand possono clonare uno streamer umano e farlo lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Silicon Intelligence, startup con sede a Nanchino, ha dichiarato che nel 2020 aveva bisogno di 30 minuti di video di formazione per generare un clone digitale che potesse parlare e comportarsi come un essere umano. Nel 2021 bastavano solo 10 minuti, poi tre e ora è necessario solo un minuto di video.

E con il miglioramento della tecnologia, anche il servizio è diventato più economico. Generare un clone AI di base ora costa a un cliente circa 8.000 RMB (1.100 dollari). Se il cliente desidera creare uno streamer più complicato e capace, il prezzo può arrivare fino a diverse migliaia di dollari. Oltre alla generazione, tale tariffa copre anche un anno di manutenzione.

Questi streamer generati non saranno in grado di battere gli influencer dell’e-commerce, dice Huang Wei, direttore dell’attività di live streaming di influencer virtuali presso la società cinese di intelligenza artificiale Xiaoice (società nata dal Microsoft Software Technology Center Asia nel 2020), ma sono abbastanza buoni da sostituire quelli di medio livello.

La crescente popolarità dei livestream generati dall’intelligenza artificiale ha attirato l’attenzione anche di piattaforme video come Douyin, la versione cinese di TikTok, anche se sta adottando un approccio diverso rispetto ad altri giganti della tecnologia. Apparentemente è più preoccupato per la trasparenza e ha affermato in un documento dello scorso maggio che tutti i video generati dall’intelligenza artificiale dovrebbero essere etichettati chiaramente come tali sulla piattaforma e che gli influencer virtuali devono essere gestiti da esseri umani reali.

Un’etichetta “generato dall’intelligenza artificiale o deepfake” potrebbe essere un limite vista la cattiva reputazione attribuita, fin qui, al deepfake e limitare le performance delle aziende che scelgono di utilizzare questa tecnologia nelle proprie strategie marketing.

Un caso di successo: la campagna Zalando-TopShop

Uno degli esempi di deepfake di maggior successo che utilizzano la segmentazione del mercato è la campagna Zalando del 2018 con la supermodella londinese Cara Delevingne.

L’idea alla base della campagna era quella di comunicare l’arrivo del brand TopShop su Zalando, il colosso tedesco dell’e-commerce, per permettere anche alle persone che vivono parti più remote d’Europa di acquistare prodotti del brand cult per gli adolescenti.

Con un solo video, hanno creato 60.000 videomessaggi su misura per ogni piccola città d’Europa utilizzando la tecnologia Deepfake per produrre riprese e caratteri vocali alternativi. Quindi, utilizzando il targeting pubblicitario di Facebook, hanno mostrato agli utenti il video specifico che menzionava la loro città natale.

La campagna ha ricevuto più di 180 milioni di impressioni e le vendite di Top Shop sono aumentate del 54%.

Questo utilizzo può aiutare i marketing manager a lavorare, in maniera efficace, su target precisi o su raggruppamenti di affinità e creare contenuti che parlino alle persone a un livello più individuale possibile.

Deepfake e influencer virtuali: una nuova frontiera per il branding

Se fiducia e lealtà sono due aspetti fondamentali nella relazione brand-cliente, può la tecnologia Deepfake, percepita come una minaccia senza precedenti per le democrazie e la fiducia online, attraverso il suo potenziale di sostenere sofisticate campagne di disinformazione, essere uno strumento utile per le aziende e i brand?

Anche se gli interrogativi sono tanti e le risposte non date (soprattutto in materia di regolamentazione del fenomeno) sono ancora tante i social media sono già la patria di diversi influencer digitali creati per apparire e comportarsi come esseri umani.

Lil Miquela, l’influencer virtuale progettata da Brud, una startup di Los Angeles che si dice attiva nel campo della robotica e dell’intelligenza artificiale, ha 2,7 milioni di follower su Instagram è apparsa in contenuti di marketing per marchi come Prada, Supreme, Dior e Calvin Klein e recentemente con BMW per il lancio della iX2, un’automobile completamente elettrica.

Dopo aver addestrato l’intelligenza artificiale generativa testuale (ChatGPT) o visuale (MidJourney) siamo al livello di addestramento video di deepfake.

Per la start-up cinese Silicon Intelligence, il prossimo passo è aggiungere “intelligenza emotiva” agli streamer virtuali realizzati con l’intelligenza artificiale.

C’è un dato però da non sottovalutare, sappiamo dalle neuroscienze che il nostro cervello si attiva in modo diverso quando sappiamo che stiamo interagendo con un computer. Infatti per il futurologo ed economista Shawn DuBravac il futuro del branding è una fusione tra il mondo virtuale e quello reale.

Le sfide etiche e di regolamentazione del Deepfake

In un futuro in cui la sottile linea tra il mondo reale e virtuale si fonde sempre di più, il potenziale dei deepfake nel marketing è sicuramente affascinante, ma non certo privo di sfide e responsabilità soprattutto in materia di regolamentazione e di etica.

Se da una parte questa tecnologia è utile al mondo del marketing per aumentare l’efficacia delle campagne pubblicitarie, la segmentazione dei messaggi e la presenza online si tratta, pur sempre, di strumenti che non vengono immediatamente associati a onestà e trasparenza. La fiducia dei consumatori è fondamentale, e in un contesto in cui il confine tra autenticità e artificio si assottiglia la sfida assume contorni ancora più affascinanti.

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