L’Italia si trova a un bivio, con la digitalizzazione che sta rimodellando rapidamente il paesaggio economico e sociale. I progressi nell’Intelligenza Artificiale, in particolare, stanno aprendo nuovi orizzonti di potenziale – ma anche portando con sé una serie di sfide significative.
Queste trasformazioni non sono solo teoriche: stanno avendo un impatto tangibile sul futuro del lavoro, con effetti che saranno sentiti per generazioni a venire. Eppure, nel mezzo di questi cambiamenti tumultuosi, emergono opportunità per la crescita e l’innovazione. Per l’Italia, il mercato digitale rappresenta un’area chiave da esplorare e sfruttare.
Il report Digital Italy 2023
Nell’era dell’incertezza sistemica, il digitale rappresenta infatti una direzione tracciata, un’evoluzione ineluttabile. Gli investimenti non possono rallentare, ma anzi sono un asset strategico soprattutto nei momenti di crisi globale, come si è visto durante la pandemia.
L’attuale scenario è infatti caratterizzato dal convergere di importanti fattori di instabilità economica e geopolitica.
Ma come si inserisce l’Italia in questo contesto mondiale? A che punto è il processo di digitalizzazione, considerando anche la collegata sfida della sostenibilità? Stiamo, in definitiva, cogliendo o ci stiamo lasciando sfuggire le grandi opportunità della trasformazione digitale?
Abbiamo cercato di rispondere a queste domande nel nostro report Digital Italy 2023, presentato nelle scorse settimane a Roma durante il “Digital Italy Summit”, importante momento di confronto sui temi della digitalizzazione del nostro Paese. Il Rapporto, frutto di un percorso annuale di ricerca e dei contributi di alcuni tra i più autorevoli esperti e protagonisti del mondo digitale, fotografa la situazione del processo di innovazione digitale delle imprese e della PA. Ma non solo: si pone l’obiettivo di fornire idee, materiali e proposte per “Costruire la nazione Digitale”, titolo e tema a cui è stata dedicata l’ottava edizione del nostro Summit.
Il lavoro si muove su due assi: verticalmente, indagando le innovazioni digitali nei diversi settori del tessuto economico italiano (Pubblica Amministrazione, industria, finanza, sanità e retail); orizzontalmente, approfondendo argomenti trasversali a tutti i settori (futuro del lavoro, sostenibilità, tecnologie disruptive e cybersecurity). Abbiamo, infatti, individuato le considerazioni più significative emerse dai numerosi interventi e che The Innovation Group propone come “linee guida” per accelerare il percorso di innovazione digitale.
Digitale e produttività totale dei fattori
Ampia parte del ritardo di sviluppo dell’Italia è dovuta alla scarsa penetrazione del digitale nei processi pubblici e privati: il Pnrr rimane un’occasione importante per recuperare questo gap di competitività, ma non possiamo sottovalutare la complessità di tale processo. La digitalizzazione è infatti una funzione di produzione complessa, che richiede non solo hardware, ma software, servizi, competenze e reingegnerizzazione dei processi.
Relativamente, ad esempio, al settore pubblico, sappiamo che le 14 misure di PA digitale 2026 sono tutte coperte, ma per fornire al cittadino un servizio finale adeguato tutte le componenti devono funzionare sinergicamente. Si può attivare lo sportello unico digitale, ma se poi mancano la connessione o l’interoperabilità tra le varie banche dati, si rischia di compromettere l’efficacia complessiva del servizio erogato ai cittadini. Dal momento che le 14 misure stanno procedendo a velocità diverse, la fasatura e la capacità di governo complessiva dei processi sono essenziali per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Il boom dell’Intelligenza Artificiale
Il rapidissimo affermarsi dell’AI generativa pone una serie di sfide sul piano economico, sociale ed etico. Per quanto riguarda le sfide politico-economiche, la differenza tra la quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dalla digitalizzazione, e le precedenti sta nella sua estrema pervasività e rapidità.
Di fatto non ci si può isolare da questo processo, che presenta quindi possibili rischi di controllo (evitare di esser profilati anche involontariamente non è semplice), ma anche importanti benefici in termini di qualità e quantità di servizi offerti a cittadini (servizi pubblici), pazienti (telemedicina), clienti (disponibilità di prodotti e servizi).
Di fatto assume importanza critica la capacità di investimento in questo settore: investimenti che non sono più semplicemente a livello di aziende, ma di Stati e grandi blocchi continentali. Il suo ruolo strategico per il medio-lungo termine evidenzia, per l’Italia, la necessità di migliorare la sua posizione in quest’area. Un dato che dimostra quanta strada c’è ancora da percorrere è che solo il 6% delle imprese italiane ha introdotto l’AI nel proprio business, contro l’8% della media europea.
Le implicazioni sociali ed etiche dell’IA
Per quanto riguarda le implicazioni sociali ed etiche, emerge dal Rapporto come l’AI consenta sempre di più di “sartorializzare” mondi personali intorno alle informazioni che riteniamo più interessanti: quanto più attraverso le tecnologie conosco l’individuo, tanto più posso personalizzarlo, ma anche manipolarlo. C’è inoltre il rischio che l’AI diventi un potente strumento nelle mani del cybercrimine e della disinformazione. Per tutti questi motivi è necessario un codice etico.
L’impatto della digitalizzazione sul futuro del lavoro
L’economia digitale ha un forte impatto in termini di aumento della produttività. Ma l’effetto sulla trasformazione del lavoro, anche considerando i cambiamenti indotti dalla pandemia, è più complesso, per una serie di fattori:
- frequenza e pervasività dell’innovazione tecnologica;
- effetto combinatorio di Big Data/AI e degli impatti difficilmente prevedibili dell’AI generativa sui lavori tradizionali;
- richiesta di un alto tasso di competenza, che porta a una oligarchia tecnologica dei nuovi mestieri;
- la mobilità del lavoro intellettuale, che determina una nuova competizione fra i territori;
- un nuovo sistema di valori che porta a fenomeni di massa come la great resignation e il quiet quitting, praticamente sconosciuti in passato;
- l’esigenza di introdurre nuove tecnologie e piattaforme per garantire la digital employee satisfaction come condizione per trattenere il prezioso capitale umano.
Come evidenziato dall’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) della Commissione Europea, gli specialisti Ict costituiscono il 3,8% della popolazione, punteggio al di sotto della media europea (4,5%). Questo dato sottolinea l’importanza di formare futuri professionisti in queste aree e focalizzare gli sforzi diretti allo sviluppo di competenze digitali superiori a quelle di base tra i cittadini.
Le “aree veloci” su cui costruire la crescita
Alla luce dello scenario macroeconomico attuale, nel Rapporto si stima una crescita del mercato digitale italiano nel 2023 pari al +2,7% e la previsione è simile per il 2024, con andamenti differenziati per i segmenti dell’hardware (+2,0% di crescita annua del 2023 e +0,9% previsto nel 2024), software (+5,6% nel 2023 e +6,2% nel 2024) e servizi (+2,7% nel 2023 e +2,8% nel 2024).
Come evidenziato nella nostra analisi, trasversalmente a questi tre settori esistono alcune “aree veloci”, a crescita più rapida e strategiche per la competitività futura delle imprese e dell’Italia stessa: li abbiamo chiamati New Digital Driver e sono tecnologie di nascita recente o che negli ultimi anni hanno vissuto un rapido sviluppo, come Artificial Intelligence (AI), Blockchain, Servizi Cloud, Cybersecurity, Internet of Things, Wearable Technology (dispositivi indossabili).
Soprattutto in questa fase di incertezza sistemica, gli investimenti nella trasformazione digitale sono destinati ad assumere un ruolo trainante nella crescita dell’economia. L’industria Ict, e con lei le aziende utenti, devono quindi prestare particolare attenzione a riallinearsi sulle “aree veloci”.
Conclusioni
Si parla spesso dei punti deboli del sistema Italia, come il citato problema delle competenze, ma è utile concentrarsi anche sui punti di forza delle nostre imprese: per esempio, il tasso di adozione del Cloud pari al 52%, ben superiore alla media europea del 34%. Inoltre, anche grazie ai progetti di Industria 4.0, il 70% delle nostre Pmi ha raggiunto almeno un livello di digitalizzazione di base. Dobbiamo far leva su questi punti di forza e investire con maggior decisione sulle altre “aree veloci”, per far crescere in Italia non solo il valore del mercato Ict ma anche la più ampia “economia digitale”, ovvero l’insieme delle attività economiche, dei processi e delle relazioni rese possibili dall’utilizzo di tecnologie digitali.