La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione rappresenta una delle sfide più urgenti e complesse dell’attuale panorama socio-economico italiano. Il rapporto tra cittadini e istituzioni è sempre più mediato da strumenti digitali, che promettono di rendere i servizi pubblici più efficienti, accessibili e trasparenti.
Tuttavia, la successiva transizione verso l’era digitale non è soltanto una questione di implementazione tecnologica, bensì richiede un cambiamento profondo nella cultura organizzativa e nelle competenze professionali dei dipendenti pubblici.
In questo contesto, il PNRR si presenta come un’opportunità unica per accelerare il processo di digitalizzazione del sistema economico e della Pubblica Amministrazione, offrendo risorse significative per investire in formazione, infrastrutture digitali e innovazione.
Tutto a patto, però, che la Pubblica Amministrazione italiana cominci a “pensare digitale”, non solo ad “agire digitale”. Una vera trasformazione dei servizi resi ai cittadini passa infatti per questo cambio quantico delle strutture pubbliche.
La percezione della PA digitale da parte dei cittadini
Una metamorfosi che però ad oggi non è ancora completa. Anzi, solo un italiano su tre è convinto che la digitalizzazione abbia migliorato la Pubblica Amministrazione, mentre circa la metà è cauto, convinto che per ora i miglioramenti siano poco rilevanti. A ben vedere poi uno su cinque è fondamentalmente scettico, in quanto non vede benefici nell’immediato e ritiene che non ce ne saranno in futuro. Sono i dati del Censis che ci spiegano come anche nella percezione dei cittadini il tanto atteso salto di qualità della Pa digitale è rinviato.
In questi anni seguiti alla pandemia è emersa con forza e chiarezza la assoluta necessità di una maggiore digitalizzazione dei servizi. Il lockdown e la poca abitudine al lavoro da remoto dei dipendenti pubblici hanno frenato ancora di più le attività della pubblica amministrazione.
PA solo “dematerializzata”: i problemi restano
Da allora, qualcosa è stato tentato, anche con qualche successo. Ma in generale, i servizi pubblici digitali faticano a stare al passo con quelli privati.
La dematerializzazione della burocrazia entro scenari digitali non ha ancora risolto quasi nessuna delle carenze dell’amministrazione analogica. E se si paragona con quanto avviene nel settore privato il gap è enorme. Ma perché questo ritardo, questa differenza tra gli obiettivi, i programmi, le discussioni e quella che è la realtà? Perché la dematerializzazione delle attività burocratiche, la loro trasformazione in digitale produce solo miglioramenti parziali e limitati? Perché, per una volta, lo strumento digitale non è solo uno strumento. Deve essere (o dovrebbe diventare) un modo di pensare. Perché informatizzare è indispensabile, ma lo è anche un cambio di approccio.
Il nodo delle competenze e della formazione del personale
Quanto sia necessario passare ad un nuovo tipo di mentalità lo si vede in primo luogo per ciò che concerne le risorse umane. Molto spesso in passato abbiamo visto imprese che si sono concentrate sulle tecnologie senza investire nelle competenze necessarie ad una corretta gestione. E gli uffici pubblici, tanto quelli locali quanto quelli nazionali, hanno perseverato più spesso di altri in questo tipo di errore. Per esempio, l’introduzione dei computer nella scuola non è stato accompagnato da metodi di insegnamento in grado di sfruttare questa tecnologia. Si è continuato a pensare analogico in un mondo digitale.
Mutatis mutandis, non aver inserito risorse specializzate negli enti pubblici ha portato molte aspettative ad essere disattese. In pratica, o gli strumenti digitali sono rimasti solo una replica di quelli cartacei, con un indubbio appesantimento dei processi e dei carichi di lavoro, oppure sono via via diventati obsoleti. Il personale è infatti rimasto lo stesso e con le stesse competenze. Non ha usato il digitale per fare un salto, ma solo per “doppiare” processi esistenti.
L’importanza di una strategia concreta
Il punto è che serve, a monte, una strategia digitale. E purtroppo proprio la mancanza di tale strategia è la principale barriera che impedisce di sfruttare i vantaggi dell’informatizzazione.
Purtroppo, fino ad oggi abbiamo ignorato il cambiamento. Abbiamo finanziato poco le Università (un terzo della media Ue) che dovrebbero essere il driver, culturale e formativo.
Il PNRR come leva per la digitalizzazione del sistema economico e della PA
Con il PNRR si prova a dare una svolta. Il piano è basato su tre assi di cui il primo è, giustamente, “digitalizzazione e innovazione”, a cui è destinato un quarto delle risorse (delle sei missioni quella per “digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” somma in totale 40,7 miliardi).
Ma il digitale attraversa trasversalmente tutto il piano e molti dei 140 progetti contenuti nel PNRR, dai più grandi ai più piccoli. Per esempio, ci sono più di 4 miliardi per l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero, 3,9 miliardi alla banda ultralarga e 1,6 miliardi per il 5G.
Un approccio doveroso, anche perché ormai è evidente che sono davvero rare le attività non intimamente collegate al digitale, con la maggior parte dei nostri gesti quotidiani che ne sono sempre più condizionati.
Tuttavia, non basta. Perché ben vengano le risorse del Recovery come leva per “digitalizzare il sistema economico”, ma serve un cambio di pensiero, soprattutto per la Pubblica Amministrazione.