2024

Disinformazione, sarà l’anno decisivo: parte da X la sfida dell’Europa



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La Commissione europea dà il via a una nuova indagine sulla piattaforma X, aprendo un nuovo capitolo nella lotta all’uso e all’abuso delle piattaforme digitali e aprendo le danze del Digital Services Act. E’ banco di prova di una sfida determinante per le elezioni europee, come quelle americane

Pubblicato il 27 dic 2023

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu



disinformazione, fake news

Il 2024 si presenta come un anno “bollente” per la disinformazione online ed è iniziato in anticipo rispetto al primo gennaio: l’apertura dell’indagine su X da parte della Commissione europea, annunciata il 18 dicembre, apre le danze delle violazioni del Digital Service Act.

Il Regolamento europeo sotto elezioni verrà invocato più spesso per rimuovere le fake news o, secondo alcuni, per censurare le opinioni non in linea con il mainstream.

Gli Stati Uniti si preparano ad analoga sfida, anche se con regole più leggere.

La posta in gioco in entrambi i casi è altissima: elezioni europee e corsa alla presidenza USA.

La Commissione europea contro Elon Musk

L’azione dell’Europa su X può essere banco di prova di quello che avverrà nel 2024.

Ormai il rapporto tra Elon Musk, proprietario di X (ex Twitter) e il Commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton, troverà il suo epilogo all’Ok Corral.

Thierry Breton, infatti, ha dichiarato che “L’apertura odierna di un procedimento formale nei confronti di X dimostra chiaramente che, con il DSA, è finito il tempo in cui le grandi piattaforme online si comportavano come se fossero troppo grandi per doversi preoccupare”.

Le 4 direttrici dell’indagine Ue

L’indagine avrà quattro direttrici principali, e l’impressione è che i funzionari della Commissione vogliano provare tutti gli strumenti messi a disposizione del DSA, quasi fossero giocattoli nuovi.

Il primo filone è il più banale, controverso e redditizio per la piattaforma, ossia la diffusione di contenuti illegali e le misure adottate per identificare e rimuovere rapidamente i contenuti illegali e consentire agli utenti di segnalarli.

Segue la manipolazione informativa, comprese le cosiddette “community note”, sempre con riferimento alle segnalazioni sui post che potrebbero contenere fake news.

C’è poi il tema della trasparenza, con riferimento all’accessibilità delle metriche riferite agli annunci a pagamento, essenziale per verificare se vi siano manovre finalizzate agli squilibri di mercato.

Non poteva poi mancare il cavallo di battaglia di Musk, ossia le “spunte blu“, cioè i simboli che contraddistinguono gli account verificati: secondo la Commissione il design sarebbe ingannevole perché, ad oggi, si possono ottenere solo a pagamento.

Per quanto permanga il dubbio che i commissari ed i parlamentari europei non abbiano preso bene la notizia di dover pagare un abbonamento mensile per operare su X con un account verificato, i filoni di indagine aperti sono effettivamente legati alle criticità più evidenti che si manifestano su X, anche se le implicazioni dell’indagine sono molto estese.

Implicazioni e scenari per il 2024

Per quanto l’indagine sia stata solo annunciata e per quanto da X facciano sapere che sono disponibili a dialogo e confronto, la Commissione ha mandato un monito chiarissimo alle grandi piattaforme: con la disinformazione non si scherza e da oggi, archiviate – almeno in parte – le sanzioni per il trattamento illecito dei dati personali, si apre il fronte dei contenuti tossici e delle fake news.

Qui si fronteggiano lato buono e lato oscuro della Forza: le forze del bene, che vorrebbero un ambiente online sano, trasparente e tranquillo, affrontano il lato oscuro, che si batte per la diffusione di qualunque contenuto, purchè remunerativo.

I detrattori della luce sostegno che Breton, lo Skywalker della Commissione, voglia solo creare un bavaglio all’informazione libera e lucrare la sua parte sulle fake news, oltre a voler “pilotare” le elezioni europee del 2024.

Non è nemmeno detto che la partita aperta il 18 dicembre 2023 non riguardi anche le presidenziali americane: nulla di meglio di un’indagine con minaccia di sanzione per far “rigare dritto il ragazzaccio” Elon Musk.

Non è tutto oro quel che luccica: anche su TikTok continua la maratona di contenuti spazzatura, soprattutto pro Israele o pro Hamas, ossia sul conflitto militare più divisivo, sotto il profilo degli schieramenti, del momento (quello russo-ucraino ormai non fa più notizia, perché pare che non stia andando come propagandato dall’inizio).

Deepfake

Lo sviluppo dell’IA generativa renderà più difficile questa battaglia, secondo tutti gli esperti.

Soprattutto per le elezioni USA, a quanto già emerge dai primi segnali.

Le immagini, i video e i clip audio falsificati, noti come deepfake, hanno iniziato a farsi strada negli annunci sperimentali della campagna presidenziale.

Il caso più rilevante finora riguarda però le recenti elezioni in Slovacchia: registrazioni audio generate dall’intelligenza artificiale impersonavano un candidato liberale che discuteva di piani per aumentare i prezzi della birra e truccare le elezioni. I fact-checker si sono affannati a identificarle come false, ma sono state condivise come vere sui social media.

I repubblicani e i democratici al Congresso e la Commissione elettorale federale stanno valutando le misure da adottare per regolamentare la tecnologia, ma non hanno finalizzato alcuna norma o legislazione. Questo ha lasciato agli Stati le uniche restrizioni finora imposte ai deepfake dell’IA politica.

Il presidente Joe Biden ha lanciato una task force per contrastare la disinformazione elettorale con deepfake e alcuni Stati americani stanno fissando i primi paletti, come obbligo alla trasparenza sul fatto che un contenuto è generato dall’IA.

Alcune società di social media, tra cui YouTube e Meta, che possiede Facebook e Instagram, hanno introdotto politiche di etichettatura dell’IA.

Le piattaforme riducono l’impegno contro le fake news

Le piattaforme però stanno dimostrando un ruolo negativo in questa battaglia. X, come detto, è il caso emblematico – ha ridotto lo staff di moderazione e ha ripristinato gli account di teorici della cospirazione ed estremisti che erano stati precedentemente banditi.

Ma quest’approccio di liberismo di espressione è abbracciato in parte anche da altre piattaforme.

In vista del 2024, X, Meta e YouTube hanno rimosso insieme 17 politiche che proteggevano dall’odio e dalla disinformazione, secondo un rapporto di Free Press, un’organizzazione no-profit che si occupa di diritti civili nel settore tecnologico e dei media.

A giugno, YouTube ha annunciato che, pur continuando a regolamentare i contenuti fuorvianti sulle elezioni in corso o imminenti, avrebbe smesso di rimuovere quelli che sostengono che le elezioni del 2020 o altre elezioni statunitensi precedenti siano state inficiate da “frodi diffuse, errori o intoppi”. La piattaforma ha dichiarato che la politica è un tentativo di proteggere la capacità di “discutere apertamente le idee politiche, anche quelle controverse o basate su ipotesi smentite”.

Meta e YouTube (e non solo X) hanno anche licenziato migliaia di dipendenti e collaboratori dal 2020, tra cui alcuni moderatori di contenuti.

Meta spiega sul suo sito web di avere circa 40.000 persone dedicate alla sicurezza e di mantenere “la più grande rete indipendente di fact-checking di qualsiasi altra piattaforma”. Inoltre, spesso smantella reti di falsi account sui social media che mirano a seminare discordia e sfiducia.

“Nessuna azienda tecnologica fa di più o investe di più per proteggere le elezioni online di Meta, non solo durante i periodi elettorali ma in ogni momento”, si legge nel post.

L’ascesa di TikTok e di altre piattaforme meno regolamentate, come Telegram, Truth Social e Gab, ha inoltre creato un maggior numero di silos informativi online, dove possono diffondersi affermazioni prive di fondamento. Difficili da monitorare, anche, spesso: l’algoritmo di Tiktok (a differenza di quello di Meta) orienta totalmente i contenuti sulla base dei nostri interessi presunti (invece che su utenti e gruppi che scegliamo di seguire). Così rende del tutto opaco quali siano i contenuti più popolari sulla sua piattaforma.

Un ruolo in questo silos informativo opaco lo giocano anche le chat private, come WhatsApp, sempre più utilizzate per scambiare informazioni e pareri.

I dati dicono che sempre meno persone hanno un ruolo attivo sui social. Secondo vari esperti, la nostra società, sempre più polarizzata, spinge gli utenti a privilegiare scambi informativi privati rispetto ai post pubblici sui social. Sempre più persone vogliono così evitare possibili conflitti e conseguenze personali causati dall’espressione pubblica del proprio pensiero. Stiamo creando bolle ancora più forti di quelle attuali e tra le conseguenze c’è appunto la difficoltà di monitorare la disinformazione e forme di radicalizzazione; le bolle inoltre favoriscono quest’ultime, in un noto circolo vizioso.

Nobody knows what’s happening online anymore titola un bell’articolo dell’Atlantic.

Conclusioni

Insomma, il 2024 si preannuncia “interessante” per quanto riguarda la geopolitica della nuova comunicazione, ossia quella in rete.

Il Digital Service Act, che dispiegherà pienamente tutti i suoi effetti a partire dal febbraio 2024, è già calato come una clava su X, almeno sul piano strettamente mediatico.

Ora il tema è: come si porranno le altre piattaforme?

Il 2024, nel frattempo, è iniziato il 18 dicembre 2023.

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