Una velocità minima di connessione è un requisito tecnico irrinunciabile per la diffusione di alcuni servizi quali telelavoro o telemedicina, ma anche per l’intrattenimento. In sintesi, per l’avvio di ogni tipo di attività a distanza.
La velocità minima per assicurare un “servizio di accesso adeguato a internet a banda larga” è stata fissata a 20 Mbps dalla delibera Agcom 390/23/CONS del 5 dicembre scorso, recante “Procedimento istruttorio concernente la definizione del servizio di accesso adeguato a internet a banda larga necessario per la partecipazione sociale ed economica alla società”.
Il “servizio adeguato” deve garantire la larghezza di banda necessaria per supportare almeno l’insieme minimo di servizi di cui all’allegato 5 (sempre del Codice): e-mail; motori di ricerca che consentano la ricerca e il reperimento di ogni tipo di informazioni; strumenti basilari di istruzione e formazione; stampa o notizie; ordini o acquisti di beni o servizi; ricerca di lavoro e strumenti per la ricerca di lavoro; reti professionali; servizi bancari; utilizzo dei servizi dell’amministrazione digitale; media sociali e messaggeria istantanea; chiamate e videochiamate (qualità standard).
L’accesso a internet è fondamentale per il benessere economico e la crescita sociale e civile delle persone. Le difficoltà di accedervi, per operazioni di upload e download, rappresentano un vero e proprio vulnus alle capacità relazionali e di comunicazione per i consumatori, ma ancora di più per le imprese: la diffusione della banda larga è un fattore di crescita economica e occupazionale di un territorio.
Velocità minima e servizio universale
Nel comunicato stampa diramato dall’Autorità si legge che con la suddetta delibera è stata fissata “a 20 Mbps la velocità nominale in download per un servizio di accesso adeguato a internet a banda larga” e che “la disponibilità di un servizio universale di accesso a internet a banda larga di tale velocità, in postazione fissa, dovrà essere garantita da almeno un operatore, su tutto il territorio nazionale, come previsto dall’articolo 94, comma 1, del Codice”. Stando al comunicato, dunque, l’accesso a internet con una velocità minima di 20 Mbps entra a far parte del Servizio universale, dato che deve essere garantito “da almeno un operatore su tutto il territorio nazionale”.
Le norme che regolamentano il Servizio universale e l’accesso adeguato a internet
Per comprendere meglio la questione, esaminiamo le norme che regolamentano il Servizio universale (nella UE USO, Universal Service Obligation) e l’accesso adeguato a internet. Nell’art. 2, comma 1, del Codice, sono contenute alcune definizioni utili.
Partiamo da quella, appunto, di “Servizio universale”: “un insieme minimo di servizi di una qualità determinata, accessibili a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni nazionali specifiche, offerti ad un prezzo accessibile”; alla lettera bb) troviamo quella di larga banda: “l’ambiente tecnologico costituito da applicazioni, contenuti, servizi ed infrastrutture, che consente l’utilizzo delle tecnologie digitali ad elevati livelli di interattività; alla lettera fff) quella di servizio di comunicazione elettronica: “(…) i tipi di servizi seguenti: 1) servizio di accesso a internet quale definito all’articolo 2, secondo comma, punto 2), del regolamento (UE) 2015/2120”, e cioè: “un servizio di comunicazione elettronica a disposizione del pubblico che fornisce accesso a Internet, ovvero connettività a praticamente tutti i punti finali di Internet, a prescindere dalla tecnologia di rete e dalle apparecchiature terminali utilizzate”. Andiamo avanti nel codice, all’art. 94 (Servizio universale a prezzi accessibili), comma 1. “Su tutto il territorio nazionale i consumatori hanno diritto ad accedere a un prezzo accessibile, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, a un adeguato servizio di accesso a internet a banda larga e a servizi di comunicazione vocale, che siano disponibili, al livello qualitativo specificato, ivi inclusa la connessione sottostante, in postazione fissa, da parte di almeno un operatore”.
E il cerchio si chiude tornando al comma 3 dello stesso articolo e all’allegato 5, che abbiamo già visto. Oggi, mettendo insieme le tessere del mosaico normativo per come l’abbiamo appena visto, ogni cittadino italiano dovrebbe poter reclamare dall’obbligata alla fornitura del servizio universale (TIM) un accesso a internet che consenta di compiere le attività elencate nell’allegato 5 al Codice, avendo una velocità minima nominale in download di 20 mbps. Con le conseguenze giuridiche annesse, e cioè il diritto di agire in sede di tentativo obbligatorio di conciliazione prima, e di definizione (sempre davanti al Co.re.com.) o di giudizio poi, anche ricorrendo agli strumenti di tutela d’urgenza previsti (procedimento per provvedimento d’urgenza ex art. 5 del Regolamento di procedura, Allegato B alla Delibera AGCOM n. 358/22/CONS).
La delibera Agcom 309/23/CONS
Vediamo ora di approfondire la delibera Agcom 309/23/CONS e il propedeutico procedimento istruttorio, per avere un quadro preciso di cosa davvero muta nella regolamentazione della velocità minima e del Servizio universale.
Nella premessa vengono citate, tra le altre, la Direttiva UE 2018/1972, che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, e il d.lgs. 207/21 che, in attuazione di detta direttiva, modifica il Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs. 259/03).
La direttiva del 2018 evidenzia che il servizio universale dovrebbe evolvere “al fine di rispecchiare il progresso tecnologico, l’evoluzione del mercato e della domanda degli utenti; ribadisce la sua rilevanza per “garantire almeno la disponibilità di un insieme minimo di servizi per tutti gli utenti finali e a un prezzo abbordabile per i consumatori, dove il rischio di esclusione sociale derivante dalla mancanza di tale accesso impedisce ai cittadini di partecipare pienamente alla vita sociale ed economica”; non prevede limitazioni per quanto riguarda i mezzi tecnici utilizzati, quindi la possibilità di utilizzare tecnologie con filo e senza.
Agli Stati membri, tenuto conto della relazione (Report on Member States’ best practices to support the defining of adequate broadband internet access service) del BEREC (l’Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche) sulle migliori prassi adottate dai paesi che hanno già incluso la banda larga negli obblighi del servizio universale, spetta il compito di definire “l’accesso adeguato a internet (…)”.
La larghezza di banda dovrebbe essere sufficiente per supportare “l’accesso a, e l’utilizzo di, almeno un insieme minimo di servizi di base che rispecchino i servizi utilizzati dalla maggioranza degli utenti finali”. Quanto previsto dalla direttiva è stato recepito negli artt. da 94 a 98 del Codice. L’art. 94, ai commi 1 e 2, prevede che su tutto il territorio nazionale sia garantito, da parte di almeno un operatore, il diritto ad accedere a un prezzo accessibile a un adeguato servizio di accesso a internet a banda larga. A tal fine risulta propedeutico che l’Autorità definisca (comma 3 dello stesso articolo) il servizio di accesso adeguato a internet a banda larga […] al fine di garantire la larghezza di banda necessaria per la partecipazione sociale ed economica alla società”.
Dell’art. 94, comma 3, e dell’allegato 5 del Codice abbiamo già scritto sopra. Secondo l’art. 96, comma 1, del Codice, l’Autorità valuta se “imporre adeguati obblighi di servizio universale per soddisfare tutte le richieste ragionevoli di accesso a tali servizi in tutto il territorio quanto meno da un operatore designato. Ciò può peraltro essere stabilito previa verifica che la disponibilità in postazione fissa di un servizio di accesso adeguato a internet a banda larga non può essere garantita alle normali condizioni commerciali o mediante altri strumenti potenziali delle politiche pubbliche.
L’Autorità, quindi, in un primo momento, deve definire il servizio di accesso adeguato a internet a banda larga atto a garantire la partecipazione sociale ed economica alla società.
Solo successivamente valuta l’imposizione di obblighi di fornitura del servizio universale. Il procedimento che ha condotto all’adozione della delibera Agcom del 5 dicembre scorso aveva perciò lo scopo di definire il servizio di accesso adeguato a internet a banda larga; ne era esclusa, in attesa di un nuovo procedimento istruttorio, l’eventuale imposizione di obblighi di fornitura del servizio universale. Quindi, la fornitura del servizio di accesso adeguato a internet a banda larga, definito in esito a detto procedimento, non rientra negli obblighi del fornitore del servizio universale. (torneremo sulla questione più avanti).
Vediamo ora come si è arrivati a fissare la velocità minima di cui alla delibera Agcom 390/23/CONS.
Il report del Berec
Il report del BEREC, che fa riferimento a un periodo precedente alla Brexit e all’allora vigente quadro regolamentare (Direttiva 2002/22/CE, come modificata dalla Direttiva 2009/136/CE), e non alla direttiva del 2018, illustra le modalità adottate da 9 Stati membri che nel 2020 avevano già introdotto la banda larga negli obblighi di fornitura del servizio universale. Essi hanno dunque effettuato tale scelta, differenza non da poco conto come vedremo, basandosi sulla nozione di “accesso funzionale a Internet” e non in termini di “accesso adeguato a internet”.
Definizione dell’ampiezza di banda adeguata ai fini del servizio universale e analisi dei criteri per la definizione del servizio di accesso adeguato a internet.
Alla luce delle indicazioni del Codice, di cui all’art. 94, comma 3, l’Autorità ha ritenuto di definire la larghezza di banda necessaria per fornire un servizio di accesso adeguato a internet tenendo conto: della qualità del servizio; dei requisiti tecnici per garantire almeno l’utilizzo dell’insieme minimo di servizi (allegato 5 al Codice; delle circostanze nazionali; della larghezza minima di banda di cui dispone la maggior parte della popolazione.
I requisiti di qualità
L’Agcom ha ritenuto che la larghezza di banda necessaria per la partecipazione degli utenti alla vita sociale ed economica dovesse essere definita in termini di velocità minima. Essenziale anche che la fornitura sia continua: salvo circostanze eccezionali, ogni e per tutto il giorno, senza alcuna interruzione. Infine, ai consumatori che utilizzano il servizio universale vanno garantiti i medesimi parametri di qualità offerti ai clienti “affari”.
I requisiti tecnici
Per quel che concerne i requisiti tecnici, la delibera prevede che l’accesso a internet supporti almeno l’insieme minimo di servizi di base riportati all’allegato 5 del Codice. Essi solitamente richiedono basse velocità di connessione e requisiti poco stringenti in termini di latenza. La videochiamata invece, essendo, a differenza degli altri, un servizio sincrono, necessita di qualcosa in più in termini di velocità, di ampiezza della banda. Ai fini, quindi, della valutazione tecnica della larghezza di banda minima necessaria per tutti i servizi basta prendere a riferimento quella adeguata per la videochiamata in qualità standard.
Per essa, nessuno dei fornitori richiede una velocità di connessione consigliata superiore a 2 Mbps (per videochiamate tra due utenti). L’Agcom ha ritenuto di dover tener conto dei mutamenti sociali intervenuti a seguito dell’emergenza sanitaria, imprevedibili nel 2018, che hanno determinato un profondo cambiamento nelle abitudini dei consumatori. In particolare: il ricorso alle videochiamate di gruppo per la didattica a distanza e l’aumento dello smart working; l’aumento della probabilità di utilizzo contemporaneo delle videochiamate, per la presenza di più persone collegate da casa per motivi di lavoro o di studio. Approfondendo tali fenomeni, l’Autorità ha concluso che più videochiamate in contemporanea siano poco probabili e, comunque, poco rilevanti ai fini del procedimento, esulando dallo scopo del servizio universale consentire a tutti gli utenti un (improbabile) accesso contemporaneo a servizi di videochiamata.
Alla luce delle valutazioni effettuate, l’Autorità ha ritenuto che una velocità minima in download di 4 Mbps, fornita salvo circostanze eccezionali, ogni giorno e per tutto il giorno, senza interruzioni, consenta un adeguato servizio di accesso a internet a banda larga. Di norma, una velocità minima in download di 4 Mbps può essere fornita con accessi ADSL con velocità nominali di 10 Mbps. Gli accessi con velocità nominale maggiore o uguale a 10 Mbps rappresentano attualmente circa il 93% delle linee BB/UBB (broadband e ultra broadband) attive.
Tale ampiezza di banda verifica tutti seguenti requisiti:
- consente di usufruire almeno dell’insieme minimo di servizi elencati dal Codice, garantendo anche la possibilità di effettuare videochiamate di gruppo;
- almeno il 50% delle famiglie utilizza accessi con una velocità minima di connessione su rete fissa maggiore o uguale a 4 Mbps;
- almeno l’80% delle famiglie che dispongono di una connessione su rete fissa a banda larga utilizza accessi con una velocità minima di connessione maggiore o uguale a 4 Mbps;
- non si sovrappone alla strategia italiana per la diffusione della banda larga e non comporta distorsioni competitive.
Quale larghezza di banda per la partecipazione sociale ed economica alla società
L’Autorità non ha ritenuto necessario analizzare la molteplicità di indicatori presi in considerazione nel report del BEREC, il quale è stato predisposto analizzando le esperienze delle ANR che avevano introdotto nel servizio universale un servizio di accesso a banda larga prima dell’entrata in vigore della direttiva del 2018. Le esperienze riportate, pertanto, fanno riferimento a un quadro regolamentare che richiedeva alle ANR di effettuare le proprie scelte in termini di “accesso funzionale a internet” e non di “accesso adeguato a internet”.
La differenza tra “funzionale” e “adeguato”
La differenza tra “funzionale” e “adeguato” comporta che la velocità di connessione sia definita non più in termini di “funzione”, ossia semplicemente permettere l’accesso a internet, ma che risponda ai requisiti di “adeguatezza” richiesti dal Codice, ossia che consenta un accesso a internet tale da garantire l’utilizzo di una serie di servizi. Si tratta, quindi, di un requisito più stringente. Tale differenza si traduce nella possibilità che la velocità di banda definita per consentire un accesso “adeguato” – scopo del procedimento – possa risultare superiore a quella definita per consentire un accesso “funzionale”. La proposta di definire una velocità minima garantita era guidata dalla necessità di assicurare che tutti gli utenti possano sempre avere accesso (tranne in circostanze eccezionali) ai servizi necessari alla partecipazione alla vita sociale ed economica. Garantire tale accessibilità significa, in concreto, definire un valore di banda che sia sempre adeguato.
Il concetto di “garanzia” di una velocità minima di connessione, oltre che di difficile realizzazione, può risultare troppo stringente e gravoso, determinando un onere eccessivo in capo agli operatori.
In considerazione delle riscontate problematiche tecniche e dell’eccessivo onere, l’Autorità ha considerato opportuno definire il servizio di accesso adeguato a internet a banda larga in termini di velocità nominale piuttosto che di velocità minima garantita.
Nella definizione del servizio di accesso adeguato a internet a banda larga, l’Autorità ha rilevato che il Codice è stato adottato in attuazione delle indicazioni della direttiva del 2018. Pur essendo trascorsi solo pochi anni da allora, sono innegabili i cambiamenti tecnologici e sociali intercorsi, determinati anche dall’emergenza sanitaria. Definire un servizio di accesso adeguato a internet a banda larga senza tenere conto di tali mutamenti sarebbe risultato quindi anacronistico. L’Autorità ha infine ribadito che le valutazioni circa l’imposizione di obblighi di fornitura rientranti nel servizio universale non erano parte del procedimento: esso aveva ad oggetto la definizione del servizio di accesso adeguato a internet a banda larga ai sensi dell’art. 94, comma 3, del Codice.
È su esso che l’Autorità ha acquisito osservazioni ed elementi di informazione. Solo in seguito l’Autorità valuterà se imporre obblighi di servizio universale, qualora la disponibilità in postazione fissa di tale servizio non potesse essere garantita alle normali condizioni commerciali o mediante altri strumenti delle politiche pubbliche. Nella delibera, in fondo alle premesse, si chiarisce in maniera netta che l’inclusione dell’accesso a internet con velocità minima di 20 Mbps nel servizio universale non è oggetto della stessa: “Come espressamente previsto dal Codice, art. 97, e richiamato nel presente provvedimento, il servizio di accesso adeguato a internet a banda larga, qui definito, non rientra automaticamente negli obblighi imposti in capo all’operatore incaricato come fornitore del servizio universale precedentemente all’entrata in vigore del nuovo Codice. Altrimenti detto, l’attuale operatore incaricato di fornire il servizio universale non è obbligato a rendere disponibile, su tutto il territorio nazionale e tantomeno ai civici che attualmente non dispongono di una velocità di connessione pari a 4 Mbps”. Speriamo di aver offerto un contributo alla chiarezza.