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Siti in guerra con gli adblocker ma una pubblicità migliore è possibile: ecco come



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Gli adblocker consentono di bloccare pubblicità ma fanno perdere importanti fonti di guadagno ai siti che supportano annunci, i quali in risposta hanno attivato strategie per forzare gli utenti a scegliere: avere contenuti gratuiti ma con pubblicità o non averne affatto. Vediamo cosa influenza la scelta degli utenti e come si può prevenire l’uso di…

Pubblicato il 16 feb 2024

Chiara Cilardo

Psicologa psicoterapeuta, esperta in psicologia digitale



pubblicità digital services act

La pubblicità digitale ha le sue peculiarità e vantaggi: è supportata da numeriche aggiornate in tempo reale, propone annunci mirati e personalizzati sulla base del comportamento di navigazione degli utenti.
Si tratta di un business di ampia portata e, in una certa misura, di un male necessario: a volte gli annunci online sono poco rispettosi dell’esperienza dell’utente perché fastidiosi, intrusivi, invadenti.


Ci si può tutelare attivando adblocker che ne bloccano la visualizzazione. Dal punto di vista dell’utente i benefici sono chiari: queste soluzioni restituiscono un’esperienza di navigazione libera da intrusioni e annunci non richiesti.
Bloccare gli annunci però ha degli effetti sui siti che li supportano, i quali non possono più monetizzare gli spazi pubblicitari con un ovvio impatto negativo sui ricavi. Considerando che, secondo il PageFair Adblock Report pubblicato lo scorso anno, in Europa circa il 30% degli utenti ha attivato un adblocker (in Italia il 18%), la questione inizia a diventare di una certa rilevanza per il settore.

In risposta, molti editori hanno a loro volta attivato alcune strategie come l’adblock wall, che impedisce l’accesso ai contenuti previa disabilitazione del blocco degli annunci. Così come il paywall e cookie wall (che, rispettivamente, richiedono l’abbonamento o il rilascio del consenso all’installazione di tracciamenti), la strategia di bloccare i contenuti se non si ha “qualcosa in cambio” (che sia lo spazio pubblicitario, la sottoscrizione o il tracciamento) è una scelta obbligata data la necessità di monetizzare per sostenersi. Non sempre però queste strategie portano i risultati sperati: spesso gli utenti preferiscono abbandonare il sito piuttosto che cedere e disattivare il blocco.
È importante quindi capire perché gli utenti attivano adblocker e cosa li spinge a rinunciare a contenuti pur di evitare la pubblicità; conoscerne le motivazioni può aiutare editori ed inserzionisti a venire incontro alle esigenze degli utenti.

La norma della reciprocità

In linea teorica ci sarebbe una sorta di patto implicito: si accetta la pubblicità in cambio dell’accesso al sito; la pubblicità sarebbe quindi un costo legittimo da pagare per usufruire di contenuti e, in questo senso, ci si aspetta da parte degli utenti disponibilità, flessibilità e adattamento (Goldstein et al., 2014).
Questo patto sarebbe basato sulla “norma della reciprocità”, su un mutuo scambio di benefici.

Gli utenti che rispettano la norma della reciprocità accettano la “ricompensa” di avere contenuti e il “costo” di sopportare gli annunci o viceversa, la ricompensa di evitare le pubblicità al costo di non accedere ai contenuti (Redondo e Aznar, 2023). La strategia più efficace è presentare in maniera chiara i vantaggi per entrambe le parti: pubblicità vuol dire poter sostenere e produrre più contenuti, di maggiore qualità e in diversi formati (testo, audio, video, …).

In alcuni casi, infatti, l’adblock wall fa appello proprio alla reciprocità: nell’avviso viene richiesto all’utente di rimuovere l’adblocker perché gli annunci servono a finanziare il sito e mantenerne alta la qualità. Gli utenti sono informati in maniera trasparente del perché è necessaria la pubblicità, anche se può essere fastidiosa, e sta poi all’utente mantenere o meno l’impegno implicito e reciproco.

L’ad avoidance: cosa ci spinge a rifiutare la pubblicità

L’ad avoidance, l’evitamento della pubblicità, è l’atteggiamento generale che abbiamo nei confronti della pubblicità, a prescindere dal medium o dallo specifico formato. Cambiare canale durante uno spot televisivo o radiofonico oppure abbandonare un sito quando spuntano pop up, sono entrambi esempi di ad avoidance: insomma, chi tende all’ad avoidance, a provare fastidio e avversione per le pubblicità, lo farà su tutti i media (Redondo e Aznar, 2023). Questo evitamento può essere attivo o passivo: cambiare canale o chiudere un sito sono evitamenti attivi, distrarsi o aspettare che l’ad si chiuda da solo invece sono evitamenti passivi (Tang et al., 2015).

L’ad avoidance è una risposta agli stimoli pubblicitari che, secondo Cho e Cheon (2004), comporta attivazioni a livello cognitivo, emotivo e comportamentale. Le componenti cognitive riguardano giudizi e valutazioni sugli annunci: se negativi, portano all’evitamento deliberato e attivo; quindi, per esempio all’uso di adblocker; le componenti affettive si riferiscono alle reazioni emotive legate all’esperienza degli annunci: se l’esposizione agli annunci è spiacevole o fastidiosa, le emozioni saranno inevitabilmente negative; infine, la componente comportamentale riguarda l’effettiva azione di evitare gli annunci.

Quando e perché la pubblicità ci disturba

Un annuncio è intrusivo quando disturba o interrompe la fruizione di un qualsiasi contenuto; questa interruzione spezza l’attenzione e impoverisce l’esperienza dell’utente col risultato che genera una valutazione negativa del sito in sé e in generale accresce la tendenza all’ad avoidance (Tudoran, 2019). In generale, la pubblicità online viene percepita più facilmente come problematica perché interrompe quello che stiamo facendo, distrae, in alcuni casi ci impedisce forzatamente di fare quello che vorremmo, per esempio proseguire nella lettura di un articolo o consentendoci di farlo solo dopo un certo numero di secondi in cui l’ad non è rimovibile.

L’intrusività interferisce con gli obiettivi dell’utente (avere quelle informazioni, accedere a quei contenuti) e viene percepita come “rumore”, interferenza, distrazione, ostacolo. Fatta eccezione per quando l’utente è in cerca di un prodotto e quindi realmente interessato a scoprire di più, in generale questa intrusività aumenta la resistenza agli annunci. Alcune delle caratteristiche che rendono un annuncio intrusivo sono per esempio la durata forzata di visualizzazione, l’espansione al passaggio del mouse, le animazioni, i suoni, tutto ciò che sì, lotta per avere la nostra attenzione, ma lo fa in modo esagerato e invasivo, distraendo le persone dalle loro attività pianificate.
L’intrusività agisce su tutte le componenti dell’ad avoidance: ci sovraccarica di stimoli, genera emozioni negative e ci porta ad agire, per esempio attivando gli adblocker.

La reattanza psicologica

L’atteggiamento generale nei confronti della pubblicità dipende anche dal senso di controllo percepito: sentirsi forzati, costretti, a subire degli annunci, minaccia il nostro senso di controllo e di autonomia.
Sono questi i presupposti della teoria della reattanza, cioè della resistenza, psicologica: quando avvertiamo stimoli che minacciano il nostro senso di controllo e autonomia, reagiamo di conseguenza. Per questa teoria, la reattanza può essere una risposta situazionale (“reattanza di stato”) o un tratto di personalità (“reattanza di tratto”): mentre la prima si attiva solo in risposta ad uno specifico stimolo, la seconda è una disposizione generale.

Applicata alla pubblicità online questa teoria spiega perché gli utenti possono utilizzare adblocker per filtrare gli annunci più intrusivi e fastidiosi e come mai sono restii a disattivarli anche quando farlo è l’unico modo per accedere al sito (Redondo e Aznar, 2023).
Nello specifico, gli individui con un livello alto di reattanza di tratto, che hanno quindi una maggiore resistenza, sono particolarmente riluttanti a ricevere stimoli che non sono stati scelti volontariamente, il che spiega la loro tendenza a rifiutare messaggi promozionali non richiesti – che sono, del resto, la quasi totalità degli annunci pubblicitari, online come offline.
Chi ha un alto livello di reattanza di tratto è anche più suscettibile a sentirsi invaso da pubblicità intrusiva, a tenere maggiormente al senso di controllo, ad essere più attento ai rischi e alle tematiche legate alla privacy e alla raccolta delle informazioni personali.

Una strategia efficace per prevenire l’utilizzo di adblocker

Come si può prevenire l’utilizzo di adblocker?
Per prima cosa realizzando annunci che non infastidiscano gli utenti. Infatti, non è la pubblicità in sé ad essere valutata negativamente, quanto la percezione di invadenza: la reattanza, infatti, è più forte quando sentiamo minacciati il nostro senso di autonomia e di libertà.

Esistono degli standard internazionali su come realizzare ad non intrusivi: la Coalition for Better Ads (CBA) mette insieme le principali aziende del settore (come Google e Facebook) e unisce le forze con l’obiettivo di migliorare l’esperienza dei consumatori con gli annunci online.
Gli utenti oggi sono maturi e consapevoli: gli adblocker wall dovrebbero essere pensati in questa ottica. Non più come avvisi che trattano gli utenti che hanno un adblocker come responsabili di un comportamento inappropriato, come se fosse dovuto accettare la pubblicità, qualsiasi essa sia. In nome della reciprocità (hai un contenuto gratuito – ho lo spazio pubblicitario) è una richiesta legittima; eppure, deve tener conto di come viene percepita dall’utente.
Infatti, far apparire un avviso in cui si chiede di disattivare l’adblocker senza argomentare paradossalmente ottiene l’effetto opposto: far allontanare l’utente dal sito e far sembrare quest’ultimo poco trasparente e credibile (Tudoran, 2019). Meglio allora utilizzare un linguaggio più morbido, più sensibile al punto di vista dell’utente, spiegando perché è importante eliminare blocchi, aiutando a comprendere la posizione di chi fonda, almeno in parte, il suo modello di business su entrate pubblicitarie, sottolineando che è proprio grazie a quelle che si potrà usufruire di contenuti gratuitamente.

Bibliografia

Cho, C.H. & Cheon, J.H. (2004), “Why do people avoid advertising on the Internet?”, Journal of Advertising, Vol. 33 No. 4, pp. 89-97.

Coalition for Better Ads, 2023. https://www.betterads.org/standards/

Goldstein, D.G., Suri, S., McAfee, R.P., Ekstrand-Abueg, M. & Diaz, F. (2014), “The economic and cognitive costs of annoying display advertisements”, Journal of Marketing Research, Vol. 51, No. 6, pp. 742-752.

PageFair Adblock Report, 2022. URL: https://blockthrough.com/blog/2022-pagefair-adblock-report/

Redondo, I., & Aznar, G. (2023). Whitelist or Leave Our Website! Advances in the Understanding of User Response to Anti-Ad-Blockers. Informatics 2023, 10, 30.

Tang, J., Zhang, P. & Wu, P.F. (2015), “Categorizing consumer behavioral responses and artifact design features: the case of online advertising”, Information Systems Frontiers, Vol. 17 No. 3, pp. 513-532.

Tudoran, A.A. (2019). “Why do internet consumers block ads? New evidence from consumer opinion mining and sentiment analysis”, Internet Research, Vol. 29 Issue: 1, pp.144-166.of socio‐technical antecedents and affordances. Information Systems Journal.

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