La recente decisione n. 01802 del 2 febbraio 2024 del Consiglio di Stato ha deciso su una questione fondamentale per la sopravvivenza del Regolamento per la protezione del diritto d’autore online di Agcom nelle forme con cui esso è stato applicato finora.
La questione del contraddittorio nel procedimento digitale di Agcom
Si trattava in sostanza di determinare se la gestione digitale del procedimento Agcom fosse legittima, anche quando le parti interessate sono soggetti stranieri, e quindi privi di uno strumento come la PEC (posta elettronica certificata). La questione, squisitamente processuale, ha a che fare con la corretta istaurazione del contraddittorio, che è fondamentale per garantire l’effettiva conoscenza e partecipazione delle parti al procedimento, in modo che esse possano presentare le necessarie difese ed eventualmente ottenere una decisione favorevole.
Se il contraddittorio non è correttamente istaurato, si può compromettere la difesa ed in ultima istanza arrivare all’emanazione di un provvedimento di natura incisiva, come l’inibitoria, senza che sia stata adeguatamente verificata la sussistenza dei necessari presupposti. E’ per tale ragione che in linea generale nel nostro sistema giuridico le comunicazioni, in particolare quelle collegate a procedimenti o processi, devono essere effettuate con modalità regolamentate e certificate.
La comunicazione di avvio di un procedimento: l’importanza della PEC
Ciò è particolarmente vero per la comunicazione di avvio di un procedimento, da cui decorrono i termini a difesa, entro i quali è possibile per la parte interessata svolgere le proprie argomentazioni difensive e depositare le prove a sostegno. In molti casi è possibile (ed anzi obbligatorio) utilizzare la PEC, di cui imprese e professionisti italiani si devono obbligatoriamente dotare. Utilizzando la PEC nel sistema dedicato è possibile ottenere la certificazione che la comunicazione sia stata inviata e ricevuta correttamente e nei termini indicati. Si tratta tuttavia di un sistema proprio al nostro ordinamento, che non può essere utilizzato all’estero, dove peraltro spesso non si trova neppure alcuno strumento assimilabile (ossia tale da fornire un livello paragonabile di certezza informatica e conseguentemente giuridica). Quando non si può utilizzare la PEC è pertanto in generale necessario ricorrere ad altre formalità equipollenti, come l’invio di posta raccomandata con ricevuta di ritorno, ovvero altre forme di notificazione/comunicazione che sono variamente regolate dalla legge.
E’ tuttavia evidente che l’impossibilità di utilizzare la PEC rende la comunicazione non soltanto più costosa, ma soprattutto più complessa ed onerosa, più lunga dal punto di vista temporale, ed anche meno sicura (non essendo infrequente che le cartoline di ritorno vadano smarrite).
Per le ragioni che precedono il Regolamento per la protezione del diritto d’autore online ha fatto una scelta di campo ben precisa, stabilendo che tutto il procedimento avanti ad Agcom, diretto ad ottenere un ordine di inibitoria, debba svolgersi in forma digitale e che Agcom sia tenuta ad effettuare le comunicazioni di cui al regolamento esclusivamente mediante posta elettronica, la quale deve essere, ove possibile, certificata (art. 15 Regolamento).
La regolarità della procedura applicata da Agcom è stata tuttavia recentemente messa in discussione nella controversia decisa dal Consiglio di Stato con la già richiamata sentenza del 2 febbraio 2024.
Questi i fatti di causa: Agcom riceveva dall’industria discografica una segnalazione relativa alla violazione di diritti d’autore e connessi relativi ad un vasto repertorio musicale, a seguito della quale Agcom avviava un procedimento ex art. 9 Regolamento. L’azione veniva instaurata anche nei confronti di un service provider estero, situato in un ordinamento privo del sistema PEC (o assimilabile), così che la comunicazione di avvio del procedimento da parte di Agcom, inviata tramite PEC, si trasformava in un messaggio di posta elettronica ordinaria, relativamente al quale non si formava alcuna prova certa di invio e ricezione da parte del soggetto destinatario.
La sentenza del TAR Lazio e i rilievi del service provider straniero
L’ordine di inibitoria che Agcom emetteva veniva quindi impugnato davanti al TAR Lazio dal service provider straniero, il quale lo riteneva nullo per violazione del contraddittorio, affermando di non aver ricevuto la comunicazione di avvio (né Agcom era in grado di fornire la prova certa della ricezione, per le ragioni sopra indicate). Il TAR Lazio accoglieva il rilievo del service provider straniero, e si pronunciava quindi per l’annullamento dell’inibitoria di Agcom (sentenza n. 12060 del 17 luglio 2023). Secondo la decisione del TAR, Agcom avrebbe dovuto inviare la comunicazione con modalità idonee a dimostrare la ricezione, per esempio utilizzando la posta raccomandata con ricevuta di ritorno o un altro mezzo di trasmissione idoneo a garantire la certezza dell’avvenuta comunicazione del messaggio. Ancora, secondo il TAR sarebbe contrario ai principi dell’ordinamento eurocomunitario ed in specie al principio di libera circolazione dei servizi la possibilità di oscurare sull’intero territorio nazionale un sito internet di un soggetto straniero, senza aver preventivamente instaurato un effettivo contraddittorio, in palese violazione del principio del giusto procedimento.
L’appello di Agcom al Consiglio di Stato
Contro la decisione del TAR ricorreva Agcom, con l’intervento ad adiuvandum di FIMI (Federazione industria musicale italiana), in rappresentanza dell’industria discografica. Il Consiglio di Stato, riconosciuta la legittimità dell’intervento di FIMI, accoglieva il ricorso di Agcom ed annullava la decisione del TAR, così confermando la legittimità dell’operato dell’Autorità. In particolare, il Consiglio di Stato riteneva che Agcom avesse agito in modo del tutto conforme a quanto prescritto dal proprio Regolamento, al cui rispetto Agcom doveva ritenersi vincolata. Nel caso di specie, non sussisteva la possibilità di indirizzare la comunicazione a mezzo posta elettronica certificata, non essendone provvista la destinataria. Agcom , in ogni caso, aveva provveduto all’invio dell’atto ai recapiti di posta elettronica resi disponibili dall’operatore, assolvendo in tal modo agli obblighi imposti in base al Regolamento. Peraltro, sottolineava il Consiglio di Stato, nello specifico settore deve ritenersi improbabile che gli stessi soggetti responsabili di atti di pirateria collaborino con l’Autorità di vigilanza rendendosi facilmente reperibili, così che avvallando un’applicazione eccessivamente formalistica dei principi si favorirebbe la creazione di ampie sacche di impunità. Infine, secondo il Consiglio di Stato non poteva neppure ritenersi che il Regolamento dovesse essere disapplicato per contrasto con norme superiori (come quelle invocate dal TAR), non essendo individuabile una palese contrapposizione fra il Regolamento stesso ed un disposto legislativo primario.
Il riconoscimento della legittimità del procedimento digitale di Agcom
La decisione del Consiglio di Stato costituisce un riconoscimento importante e comprensivo della legittimità del procedimento digitale di Agcom, basato sul sistema delle PEC, ancorché queste si trasformino necessariamente in posta elettronica ordinaria quando siano inviate nei confronti di soggetti esteri. La ratio alla base della decisione del Consiglio di Stato sembra basarsi sul riconoscimento che in ambiente digitale l’unico modo effettivo per agire credibilmente nei confronti di violazioni diffuse, massive e in costante aggravamento sia quello di fornirsi di strumenti veloci e digitali, anche a prezzo di rinunciare a quale formalità collegata alla maggiore certezza giuridica. Si tratta di un orientamento che potrebbe essere giustificato anche dalla circostanza che il procedimento avanti ad Agcom è di natura amministrativa, e prevede comunque sempre una revisione piena avanti ad un giudice indipendente (con i due gradi di giudizio avanti al TAR e al Consiglio di Stato). La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo in un caso recente ha ritenuto che il procedimento sanzionatorio avanti Agcom sia conforme ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 6 CEDU, proprio perché esiste la possibilità di ricorrere al giudice amministrativo (o meglio ad un giudice indipendente ed avente “piena giurisdizione”) per ottenere una revisione giudiziale, e ciò è stato giudicato sufficiente a riportare il procedimento sanzionatorio AGCOM, visto nel suo complesso, sui binari di legittimità convenzionale.
Certamente va anche tenuto in considerazione che nella propria decisione la CEDU ha ritenuto di evidenziare alcune lacune del procedimento sanzionatorio di Agcom di cui alla vicenda processuale posta alla sua attenzione, fra cui la circostanza che alle parti interessate non era stato garantito un pieno accesso agli elementi di prova, che il procedimento era meramente cartolare, e che non era del tutto chiara la reale distinzione fra organo inquirente ed organo giudicante.
Le possibili implicazioni future della decisione del Consiglio di Stato
Secondo alcuni interpreti questo dovrebbe indurre Agcom ad improntare per quanto possibile i propri procedimenti alle garanzie del giusto processo, a prescindere dall’esistenza di modalità di ricorso successivo ad un giudice indipendente, poiché una possibile evoluzione giurisprudenziale potrebbe essere indirizzata a richiedere che anche nella fase amministrativa il procedimento sia adeguatamente conforme alle regole del giusto processo.
Anche in questa circostanza, tuttavia, dovrebbe essere prestata particolare attenzione alla sostanza delle cose, e non alle mere forme, così che dovrebbe essere ben possibile continuare ad applicare un procedimento semplificato e più snello, a condizione che sia comunque rispettoso delle regole principali del giusto processo, come quelle relative alla formazione ed alla verifica della prova, e quelle connesse all’effettività della difesa delle parti interessate (eventualmente anche garantita con un contraddittorio differito).