L’entrata di un’opera nel pubblico dominio rappresenta un momento cruciale nel ciclo di vita del diritto d’autore, segnando il passaggio dal monopolio dell’autore, o dei suoi eredi, alla fruizione libera e senza restrizioni da parte della collettività.
Ma cosa comporta esattamente questo passaggio e quali sono le implicazioni legali che ne derivano? Il caso “Steamboat Willie” primo corto animato in cui appare il celebre personaggio di Topolino, offre uno spunto per riflettere su queste questioni, tra diritti d’autore e tutela del marchio, mentre il caso “Uomo Vitruviano” illustra le conseguenze legali dell’uso non autorizzato di opere in pubblico dominio.
In questo scenario complesso, emerge la necessità di bilanciare adeguatamente la tutela della proprietà intellettuale con lo sviluppo culturale.
La caduta nel pubblico dominio di “Steamboat Willie”
Le principali testate giornalistiche internazionali hanno dato ampio risalto alla notizia della caduta nel pubblico dominio di “Steamboat Willie”, la prima versione di un cartone animato che raffigura Mickey Mouse nel disegno originale di Walt Disney da lui creato nel 1928[1].
La rivelazione, al di là del suo clamore mediatico, non assume una particolare rilevanza giuridica per gli effetti assai circoscritti del decorso dei 95 anni di durata del diritto d’autore stabiliti dalla legge federale statunitense per le imprese detentrici di diritti sulle opere dell’ingegno.[2]
Se è vero, infatti, che la “The Walt Disney Company” non dispone più dei diritti esclusivi sul cartoon “Steamboat Willie,” è altrettanto vero che da tale perdita essa subirà un danno limitato per effetto della probabile inesistenza sul mercato di copie fisiche originali del filmato, le uniche che potrebbero essere liberamente utilizzabili da terzi per uno sfruttamento audiovisivo.
Poiché il legittimo possesso del supporto che riproduce il filmato rappresenta la condizione che rende il prodotto audiovisivo suscettibile di sfruttamento, in alternativa a tale ipotesi, possiamo immaginare che la caduta in pubblico dominio del cortometraggio di animazione possa consentire ai terzi il solo legittimo impiego del suo soggetto per realizzare una diversa narrazione della storia. Anche un siffatto impiego, peraltro, appare assai improbabile e limitato, in quanto il “Mickey Mouse” non più protetto, quello riprodotto in “Steamboat Willie”, è oggi carente di attrattiva rispetto al personaggio successivamente creato dalla Disney e apparso sul mercato dei fumetti e dei film di animazione a cominciare da “Fantasia” (1940) in avanti: quest’ultimo, inoltre, usufruisce di una tutela di diritto d’autore che perdurerà fino all’anno 2036.
Per quanto riguarda “Steamboat Willie” va detto poi che la Disney Enterprises Inc. ha depositato all’U.S.P.T.O., ottenendone la registrazione, il marchio relativo a tale breve filmato di animazione.[3] La tutela garantita dalla legge a tale titolo si estende anche al personaggio di “Topolino,” presente nel filmato, tanto da potersi affermare che, almeno nel settore della produzione e distribuzione audiovisiva, l’opera in questione dispone dell’ulteriore tutela ventennale che le compete come marchio registrato, con scadenza nel settembre dell’anno 2042.
La durata della protezione dell’opera d’ingegno: confronto tra USA e UE
Se, in base a quanto è stato sopra rilevato, la durata della protezione delle opere dell’ingegno negli U.S.A. appare un ostacolo alla caduta in pubblico dominio delle opere per circa un secolo dalla loro creazione, in Italia (e nei paesi dell’Unione Europea) le cose non assumono significative differenze rispetto alla Nazione d’oltreoceano in quanto le regole vigenti nel nostro paese prevedono una tutela delle opere di anni 70 dalla morte dell’autore (Art. 25 L.A.). Avuto riguardo ai diritti di utilizzazione economica dell’opera cinematografica in base agli Artt. 32 e 32-ter LDA, essi permangono per la durata di settanta anni a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui si è verificata la morte dell’ultima persona sopravvissuta tra le seguenti: il direttore artistico (regista), gli autori della sceneggiatura, ivi compreso l’autore del dialogo e l’autore della musica specificamente creata per l’opera cinematografica.[4]
L’importanza del rispetto del diritto morale d’autore
In un contesto di protezione estesa dei diritti d’autore,[5] la caduta nel pubblico dominio di un’opera è il momento dal quale ciascuno può liberamente utilizzarla, senza necessità di consensi o autorizzazioni, sempre fatto salvo il rispetto – da parte di chi la sfrutta – del diritto “morale d’autore” che consente al titolare e ai suoi eredi “di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione”[6].
La facoltà di fare libero uso delle opere cadute nel pubblico dominio deriva dal principio secondo cui i diritti esclusivi decadono con il termine della protezione vigente nei singoli Stati, in base a quanto prescritto dall’art. 7 della C.U.B. Inoltre, nell’Unione Europea lo sfruttamento diviene libero in ogni e ciascuno Stato membro secondo il principio per cui, se un’opera è caduta nel pubblico dominio in uno Stato, essa non è più tutelata anche negli altri Stati unionisti. Quest’ultima regola (c.d. “condizione di reciprocità”) va applicata senza discriminazioni secondo il dettato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in base all’Art. 18 del T.F.E.U.
La Direttiva EU/790/2019 e l’obiettivo di valorizzare il patrimonio culturale
Sullo stesso tema del pubblico dominio, cioè quello del momento in cui vengono meno i diritti esclusivi d’autore, è intervenuta di recente la Direttiva EU/790/2019 del 17 aprile 2019 “sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale”, la quale ha inserito nel testo del provvedimento una specifica norma, l’art. 14 che reca: “Opere delle arti visive di dominio pubblico”[7]. In base a tale disposizione, il cui dettato nel testo della Direttiva DSM viene riferito solo alle opere visive[8], si desume che la caduta in pubblico dominio comporta la “scadenza dei diritti sulle opere.” Si tratta, quindi della comprova che, venuto a compimento il termine di tutela delle creazioni dell’ingegno, esse sono appropriabili liberamente da chiunque. L’intento di questa disposizione è comunque diretto a fare sì che i musei, gli archivi e le collezioni d’arte conservate presso le istituzioni di retaggio culturale nazionali non possano ulteriormente rivendicare diritti di riproduzione, in qualsiasi formato e modo, delle opere ivi conservate.[9]
Eccezioni alla regola del pubblico dominio: l’esempio italiano
Il dogma per cui tutte le opere cadono nel pubblico dominio con il decorso del tempo non sembra peraltro irrefragabile alla luce dei fatti atteso che gli ordinamenti giuridici si trovano di fronte a situazioni che ci inducono a supporre che, anche in questo ambito, esistano delle deroghe e non di poco conto.
Se riprendiamo la disposizione dell’art. 14 della Direttiva D.S.M. e del suo Recital n. 53) osserviamo che, fatta salva la regola della libera utilizzazione delle opere in pubblico dominio, vi è un’apertura al riconoscimento, a favore degli istituti di tutela del patrimonio culturale di “vendere riproduzioni, come ad esempio le cartoline”[10]. Per quanto la lettura di tale inciso possa indurre il lettore al sorriso per l’esemplificazione poco felice e riduttiva, tale deroga al venir meno del monopolio sulle opere visive, secondo la definizione offerta dal nostro legislatore (cfr. nota n. 8) ha inciso sull’assetto normativo nazionale del nostro paese.
La medesima questione assume ulteriori connotazioni di complessità se, approfondendo la lettura dell’art. 32-quater L.A., osserviamo che essa pone alcune condizioni alla caduta in pubblico dominio delle opere visive del patrimonio artistico italiano: al decorso del tempo stabilito per legge tali opere non sono più soggette al diritto d’autore o ai diritti connessi, salvo che esse costituiscano “un’opera originale” e ferme restando “le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42[11]“.
È di tutta evidenza che con questi “caveat” il nostro legislatore ha inteso sottrarre alla libera disponibilità del pubblico un rilevante novero di opere “uniche” e “originali”, per le quali lo sfruttamento a scopo di lucro, inteso in senso opposto a quello di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero, viene assoggettato, come si è visto nell’articolo richiamato in nota n. 10, ad autorizzazione del Ministero della Cultura (M.I.C.) che applica a tali utilizzazioni le “Linee guida per la determinazione dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali[12]”.
Tale normativa regolamentare, che fa specifico riferimento sia alle norme della Direttiva EU/790/2019 del 17 aprile 2019, che a quelle del D.lgs. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali), allude – in riferimento a tale ultima normativa – all’esistenza di “ipotesi di gratuità in assenza di scopo di lucro al fine di semplificare e razionalizzare le norme sulla riproduzione di beni culturali”, che fanno da contraltare alla necessità di “realizzare un’adeguata valorizzazione economica del patrimonio culturale statale ove le fattispecie di concessione in uso e di riproduzione si realizzino a scopo di lucro, ai sensi dell’art. 108 del codice dei beni culturali e del paesaggio”[13].
La particolare rilevanza delle ragioni che muovono il nostro legislatore a derogare alle regole sul pubblico dominio non è dissimile a quelle che spingono le imprese private a massimizzare i ricavi attraverso l’estensione della durata della protezione del diritto d’autore, cui abbiamo fatto cenno in apertura di questo lavoro.
Le conseguenze legali dell’uso non autorizzato di opere in pubblico dominio: il caso ‘Uomo Vitruviano’
In tal senso, l’applicazione in Italia delle disposizioni sopra descritte ha avuto effetti pratici che si stanno cristallizzando in provvedimenti giudiziari di non poco conto. Sono infatti note le cause intentate dagli enti museali di Venezia e di Firenze nei confronti di imprese private che hanno rispettivamente sfruttato, senza autorizzazione, riproduzioni dell’opera “L’Uomo vitruviano”[14] di Leonardo da Vinci, ospitato presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia, e della “Nascita di Venere” di Sandro Botticelli che si trova collocata agli Uffizi di Firenze.[15]
Le due controversie, svolte rispettivamente dagli enti museali e dal Ministero della Cultura nei confronti di un’impresa multinazionale produttrice di giochi e di puzzle per bambini e adulti (questa aveva realizzato un puzzle con la riproduzione dell’”Uomo vitruviano”, e di una casa di moda (che ha riprodotto la “Venere di Botticelli” su un abito), si incentrano sull’applicazione delle norme del Codice dei Beni Culturali che abbiamo sopra tratteggiato[16].
Per quanto riguarda la causa azionata dalle Galleria dell’Accademia di Venezia assieme al M.I.C. nei confronti del produttore e distributore dei puzzle che riproducevano “L’Uomo vitruviano”, va detto che l’ordinanza del Tribunale di Venezia, resa in data 24.10 – 23.11.2022, ha motivato in maniera analitica ed esaustiva, anzitutto le questioni di giurisdizione e di competenza territoriale che erano pregiudiziali alla decisione nel merito, identificando nel locus delicti commissi il giudice deputato a dirimere la controversia, in tal modo, riformando la decisione del giudice di prime cure che si era dichiarato la propria incompetenza a decidere la questione, e poi affrontando le ragioni dei ricorrenti sui fatti di causa.[17]
Avuto riguardo a tale ultimo aspetto, il giudice, richiamando in primis l’articolo 108 del Codice dei Beni Culturali, che prevede la necessaria autorizzazione / concessione dell’ente per lo sfruttamento a scopo di lucro delle opere facenti parte dei beni culturali, ha ripreso il concetto contenuto nell’ordinanza del tribunale di Firenze (cfr. nota 16) di “svilimento dell’immagine e della denominazione del bene culturale” che si traduce – secondo i giudici di Venezia – in un utilizzo privo dei necessari consenso allo sfruttamento e controllo rispetto alla destinazione del bene, oltre che in una perdita economica per il mancato pagamento del canone dovuto.
All’acclarata sussistenza del fumus boni juris e del periculum in mora, il tribunale ha fatto seguire l’inibitoria di qualsiasi utilizzazione da parte della resistente attraverso qualsivoglia prodotto o servizio anche digitale o telematico che riproducesse, in tutto o in parte, “L’Uomo vitruviano”, stabilendo una penale per ciascuna violazione e per ogni giorno di ritardo nell’ottemperanza al provvedimento giudiziale, con la pubblicazione dell’ordinanza su due quotidiani per due volte e a caratteri di dimensione doppia rispetto a quelli ordinari di stampa.
Pur non conoscendosi ad oggi l’esito della causa radicata dalle Gallerie degli Uffizi di fronte al tribunale di Firenze nei confronti dello stilista che ha realizzato un modello di abito che riproduce parte del dipinto della “Venere di Botticelli”, possiamo supporre che, anche in questo caso, la linea giurisprudenziale vada consolidandosi a sostegno dei beni culturali italiani[18].
Il bilanciamento tra tutela della proprietà intellettuale e sviluppo culturale
A conclusione di questo excursus sul tema del pubblico dominio e dei beni culturali, possiamo affermare che la tutela della proprietà intellettuale può e deve lasciare spazio alla conoscenza e allo stesso sfruttamento delle opere i cui diritti siano venuti meno per il decorso del termine della loro protezione.
Tali beni immateriali, una volta caduti nel pubblico dominio, possono infatti servire da ispirazione e favorire l’innovazione per creare nuove opere o manufatti che arricchiscono la cultura e la conoscenza umana. Essi possono contribuire anche allo sviluppo tecnologico per la realizzazione di software e di altri prodotti di elevata qualità, promuovendo così il progresso della scienza.
Note
[1] Fra le numerose fonti di informazione sul tema, la rivista statunitense “Time” ha riportato la notizia il 2 gennaio 2024 con un articolo raggiungibile qui: https://time.com/6551496/mickey-mouse-public-domain-steamboat-willie/ Come vedremo nel corso di questo lavoro il titolo “Mickey Mouse Is Now in the Public Domain After 95 Years of Disney Copyright.” Come vedremo nel corso dell’articolo, si tratta di un’affermazione che non riflette correttamente la situazione giuridica del personaggio disneyano.
[2] Negli Stati Uniti la legge che regola la durata della protezione delle opere creative è il Sonny Bono Copyright Extension Act del 10 luglio 1998 raggiungibile qui: https://www.congress.gov/bill/105th-congress/senate-bill/505, in base al quale le opere creative sono tutelate per 70 anni dalla morte dell’autore e a 95 anni dalla data in cui il copyright è stato ottenuto (Titolo I).
[3] Qui si trova la registrazione del segno distintivo in questione, ottenuta il 13 settembre 2022: https://tsdr.uspto.gov/documentviewer?caseId=sn97285747&docId=ORC20220828053158&linkId=2#docIndex=1&page=1
[4] A conforto dell’automatica operatività della tutela settantennale delle opere cinematografiche in Italia, sono intervenute molteplici sentenze, fra cui ricordiamo quella del Tribunale di Roma del 28 marzo 2002, con particolare riferimento al calcolo dei periodi della proroga della durata della protezione dovuta al periodo bellico. In tale pronuncia, ove si richiamano i principi fissati dalla Corte di cassazione con l’arresto del 4 settembre 1993 n. 9326, si stabiliscono i criteri necessari ai fini di accertare la durata di protezione delle opere cinematografiche, concludendosi poi che dei quattro film oggetto di quel giudizio, proiettati per la prima volta nel periodo compreso tra il 1940 ed il 1947, nessuno di essi risultava essere caduto in pubblico dominio. Si segnalano, a piena conferma dei principi di durata di 70 anni p.m.a. dei diritti d’autore sulle opere filmiche, oltre a quanto stabilito dalla Sent. n. 4476/2020 del Tribunale di Napoli – Sezione Impresa, resa in data 10 giugno 2020, l’arresto n. 3086 del 27/02/2014 del medesimo Tribunale e la sentenza n. 32 in data 3 gennaio 2017 della Corte di cassazione Civile nel caso del film “Zorro”.
[5] Per i diritti connessi la durata ordinaria della protezione è di anni 50, ma vi sono numerosi casi di minore brevità della tutela.
[6] Si tratta di una tutela che non è prevista, ad esempio, negli Stati Uniti d’America i quali, pur firmatari della C.U.B. (Convenzione dell’Unione di Berna) sul diritto d’autore che, all’art. 6-bis, impone il diritto dell’autore ad opporsi a modifiche o deformazioni dell’opera, consentono interventi sostanziali modificativi dei contenuti delle opere tutelate i cui diritti vengono di frequente acquisiti dagli editori / produttori come “opere su commissione.” Il medesimo problema della carenza di una difesa del diritto morale d’autore si evidenzia nel testo dell’Accordo TRIPs – “Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio”, ratificato dall’Italia con la legge 29 dicembre 1994, n. 747.
[7] Questo è il testo del “Considerando” n. 53 della Direttiva DSM:
“(53) La scadenza della durata di protezione di un’opera comporta l’entrata di tale opera nel dominio pubblico e la scadenza dei diritti che il diritto d’autore dell’Unione conferisce a tale opera. Nel settore delle arti visive, la circolazione di riproduzioni fedeli di opere di dominio pubblico favorisce l’accesso alla cultura e la sua promozione e l’accesso al patrimonio culturale). Nell’ambiente digitale, la protezione di tali riproduzioni attraverso il diritto d’autore o diritti connessi è incompatibile con la scadenza della protezione del diritto d’autore delle opere. Inoltre, le differenze tra le legislazioni nazionali in materia di diritto d’autore che disciplinano la protezione di tali riproduzioni causano incertezza giuridica e incidono sulla diffusione transfrontaliera delle opere delle arti visive di dominio pubblico. Alcune riproduzioni di opere delle arti visive di dominio pubblico non dovrebbero pertanto essere protette dal diritto d’autore o da diritti connessi. Tutto ciò non dovrebbe impedire agli istituti di tutela del patrimonio culturale di vendere riproduzioni, come ad esempio le cartoline.”
[8] La nostra Legge Autore definisce le “opere visive” all’art. 69-septies lett. d) (che rientra nell’ambito di regolamentazione delle opere c.d. “orfane”, ove le prime vengono elencate come segue: “gli oggetti d’arte, la fotografia, le illustrazioni, il design, l’architettura, le bozze di tali opere e di altro materiale riprodotto in libri, riviste, quotidiani e rotocalchi o altre opere“.
Invece, la norma comunitaria dell’Art. 14 della Direttiva D.S.M. è stata recepita in Italia nell’art. 32 – quater della Legge Autore che recita: “Alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arti visive, anche come individuate all’articolo 2, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non è soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi, salvo che costituisca un’opera originale. Restano ferme le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42“.
[9] La Commissione Europea ha pubblicato una pagina web che illustra il funzionamento dell’istituto del pubblico dominio: https://intellectual-property-helpdesk.ec.europa.eu/news-events/news/public-domain-2020-11-19_en Qui si trova la Public Domain Charter: https://www.europeana.eu/en/rights/public-domain-charter Fra le regole contenute nel documento vi è la seguente affermazione: “La protezione del diritto d’autore è temporanea. Il diritto d’autore conferisce ai creatori un monopolio limitato nel tempo riguardo al controllo delle loro opere. Trascorso tale periodo, tali opere rientrano automaticamente nel Pubblico Dominio. L’insieme della conoscenza raccolta nel tempo è di dominio pubblico; il diritto d’autore offre un’eccezione a questa situazione che deve essere adeguata e limitata nel tempo.”
[10] Sembra che la Direttiva DSM abbia tratto spunto dal caso del Café Gondrée a Parigi, il primo che fu liberato dagli alleati nel 1944. Relativamente allo sfruttamento delle cartoline che ne riproducevano l’immagine si è pronunciata la Corte di cassazione francese dichiarando che “lo sfruttamento dell’immobile sotto forma di sue fotografie viola il diritto di godimento del proprietario” (Cass. I sez. Civile, Sent. 10 marzo 1999, G, II, 10078).
[11] Del tema dei beni culturali ci siamo in precedenza occupati avuto riguardo alle opere delle arti visive e librarie, sotto differente prospettiva, in questo articolo: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/diritto-dautore-sulle-opere-visive-e-librarie-i-nodi-ancora-da-sciogliere/
[12] Qui si trova il provvedimento del M.I.C. emanato l’11 aprile 2023: https://media.beniculturali.it/mibac/files/boards/be78e33bc8ca0c99bff70aa174035096/DECRETI/ANNO%202023/DM%20linee%20guida%20canoni_marzo%202023%20-%20def-signed.pdf
[13] Questo il testo dell’art. 108 CBC: “1. I canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto:
a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso;
b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni;
c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni;
d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente.
2. I canoni e i corrispettivi sono corrisposti, di regola, in via anticipata.
3. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione concedente.
3-bis. Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né all’interno degli istituti della cultura, l’uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro.
4. Nei casi in cui dall’attività in concessione possa derivare un pregiudizio ai beni culturali, l’autorità che ha in consegna i beni determina l’importo della cauzione, costituita anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa. Per gli stessi motivi, la cauzione è dovuta anche nei casi di esenzione dal pagamento dei canoni e corrispettivi.
5. La cauzione è restituita quando sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state rimborsate.
6. Gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per l’uso e la riproduzione dei beni sono fissati con provvedimento dell’amministrazione concedente”.
[14] Noto a tutti come il disegno leonardesco più famoso, inciso su carta bianca con lievi tonalità di giallo, risalente intorno all’anno 1490 e realizzato dall’Autore con l’uso di due distinte penne metalliche con inchiostro che ha mutato colorazione con il tempo, ora tendente al bruno, e con prevalenza dell’arancione sulla figura umana.
[15] La tela risale all’anno 1485 ed è un dipinto a colori dell’Artista che raffigura Venere circondata da nove figure vestita con un drappo rosso e verde sulla veste di seta. Essa raffigura l’approdo sull’isola di Cipro della dea della bellezza.
[16] La materia del contendere ha visto un precedente giurisprudenziale risalente all’anno 2017, quando la Galleria dell’Accademia di Firenze ad uno con il Ministero della Cultura ha adito il tribunale della stessa città lamentando la violazione dell’immagine del “David di Donatello” di Michelangelo Bonarroti, riprodotta sul sito web e sul materiale pubblicitario di un’agenzia di viaggi, rimasta contumace nel procedimento d’urgenza.
In applicazione dell’art. 108 del CBC e dell’art. 2043 del Codice civile, il giudice ha emesso un’ordinanza, in data 25 ottobre 2017, con cui ha ordinato la cessazione dello sfruttamento della riproduzione dell’opera, motivando il provvedimento, esteso a tutto il territorio europeo, al fatto che l’uso indiscriminato delle immagini dell’opera in contestazione dava vita a un’utilizzazione della medesima “suscettibile di svilirne la forza attrattiva” e per ciò stesso giustificava il ricorso per inibitoria.
[17] In punto giurisdizione, il tribunale di Venezia richiama nell’ordinanza resa nel procedimento RG 5137/2022 l’art. 7, punto 2 del Regolamento 1215/2012 e numerose decisioni della CGUE in materia, fra cui quelle rese nelle cause C-12/15, la C-451/18 e la C-242/19.
[18] Il tema della tutela dei beni culturali si è posto da numerosi anni anche in Francia, ove ci si è posti, fra le varie questioni che riguardano i beni culturali e il diritto di informazione, il problema dell’abbinamento abusivo di prodotti commerciali ripresi di fronte a edifici pubblici di importanza nazionale, come è accaduto nell’anno 2010 con il castello di Chambord. Dai fatti emersi nel corso di questa controversia, su pressione del presidente Mitterand, il parlamento francese ha adottato la Legge del 7 luglio 2016 che reca il titolo: “Loi relative à la liberté de la création, à l’architecture et au patrimoine” https://www.culture.gouv.fr/Thematiques/Monuments-Sites/Actualites/Loi-relative-a-la-liberte-de-la-creation-a-l-architecture-et-au-patrimoine Tale normativa è volta a proteggere l’uso dell’immagine di alcuni monumenti francesi e una delle sue disposizioni è stata inserita nel “Code du Patrimoine”, stabilendosi che: “l’utilizzazione a fine commerciale dell’immagine degli edifici che costituiscono il demanio nazionale, attraverso qualsiasi supporto, è subordinata all’autorizzazione preventiva del gestore competente per quella parte del demanio nazionale”.