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Icityrate, le isole felici non bastano più: sia “Crescita digitale”

La classifica redatta da Fpa denuncia le grandi differenze che ci sono tra le città italiane: alcune molto smart, altre molto poco. Una asimmetria ormai intollerabile: è tutto il contrario dell’idea che sta dietro il piano Crescita digitale da 4,6 miliardi di euro, il quale questa settimana ha ricevuto il definitivo via libera dalla Commissione

Pubblicato il 21 Ott 2016

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La ricerca Icityrate 2016 di Fpa arriva anche quest’anno a dire vincitori e sconfitti, tra le città italiane. Stavolta nei parametri della classifica entrano anche i valori dell’Agenda digitale. Pagare la Sanità via internet o avere una scuola ben connessa alla rete sono tra i nuovi fattori che ci rendono la nostra città più o meno amica.

Ma proprio da questi nuovi valori si dovrebbe partire per fare quel passo che finora è mancato. Che superi il paradigma delle isole felici, città smart o “dumb”, e sposi l’idea di una “crescita digitale” Paese, di sistema. Tutti insieme, in modo sia capillare sia coordinato centralmente. E’ l’idea appunto del piano Crescita digitale da 4,6 miliardi di euro che questa settimana ha ricevuto il definitivo via libera dalla Commissione (esattamente, per i mancanti 1,2 miliardi di euro di fondi strutturali Obiettivo Tematico 2, tassello di un puzzle senza il quale era difficile anche pensare il resto, mettere a frutto le risorse nazionali, regionali ed europee già disponibili). Nella nuova formulazione del Crescita, per altro, ci sono 420 milioni di euro per le smart city.

“La ricerca Icityrate ci dice questo: ci sono in Italia isole felici che stanno spingendo nel digitale, ma che sono inserite in una mare di comuni indifferenti”, mi dice Luca Gastaldi, dell’osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, che a novembre presenterà i nuovi risultati della ricerca.

“Pensiamo a Spid. Ci siamo detti tutti che è infrastruttura chiave per la trasformazione digitale. Eppure tre quarti dei Comuni italiani, che sbanderiamo come smart city, non offrono servizi online. Dura lanciare Spid in queste condizioni”, continua Gastaldi. “Quindi se aspettiamo che la PA si faccia smart sarà dura cambiare l’Italia. Per questo motivo è importante coinvolgere il privato nello Spid e non solo nello Spid”.

“Stessi ritardi si avvertono su PagoPA. Vogliamo fare smart city? Consentiamo a tutti i cittadini di pagare online la PA”.

Come fare? Da una parte è importante la giusta governance perché le PA rispettino (e siano aiutate a farlo) le scadenze indicate nelle norme per l’adesione alle piattaforme nazionali (come Spid, Anpr). “Queste tolgono alibi agli enti per la digitalizzazione, perché facilitano loro il compito di offrire i servizi digitali”, dice Gastaldi.

Una delle grandi sfide qui sarà coordinare i progetti locali perché le risorse in mano alle regioni arrivino effettivamente e correttamente su quei progetti del Crescita.

“Altro tassello sarà coinvolgere il privato: una grossa sfida, ma necessaria”, continua.

Guidare tutte le PA, ben gestendo il mix tra il bastone del vincolo di legge con la carota dell’accompagnamento. Ma coinvolgere anche i privati nel percorso, che per loro è solo facoltativo (per legge); quindi dovranno essere ben motivati a seguirlo.

Cosa hanno in comune queste due sfide, mai tentate prima in Italia? Che richiedono una governance capillare e trasversale, sui temi dell’Agenda digitale, cercando di sfruttare al massimo- nel poco tempo disponibile- la macchina dell’Agenzia per l’Italia Digitale e la (ancora in formazione) squadra del commissario Diego Piacentini.

Sapremo di aver vinto questa partita se uno dei prossimi Icityrate o rapporti dell’Osservatori del Politecnico di Milano restituiranno un quadro nazionale più uniforme.

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