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AIWM, il controllo a distanza dei lavoratori a prova di privacy: vantaggi e sfide



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L’AIWM (Artificial Intelligence for Worker Management) può rappresentare una svolta nella gestione dei dipendenti e, soprattutto, della loro sicurezza. Nonostante i vantaggi, la sua implementazione comporta sfide tecniche, normative e giurisprudenziali

Pubblicato il 3 apr 2024

Angelo Jannone

Coordinatore del Comitato Scientifico di Federprivacy



telecamere privacy

L’Artificial Intelligence Workforce Management (AIWM) è una tecnologia avanzata che permette di monitorare a distanza le attività dei lavoratori, mantenendo al contempo un controllo difensivo sulle informazioni sensibili. Tuttavia, la sua implementazione porta con sé una serie di sfide non solo tecniche, ma anche normative e giurisprudenziali.

Il quesito a cui cercheremo di offrire risposta è: in che modo le tecnologie digitali basate sulla intelligenza artificiale possono inquadrarsi all’interno dell’attuale framework normativo che ne disciplina il tema che stiamo affrontando?

Il dibattito sul controllo a distanza dei dipendenti

La tematica dei controlli sui dipendenti e sulla correttezza del loro operato è da sempre oggetto di grande dibattito tra gli addetti ai lavori, alla ricerca del giusto equilibrio tra l’interesse alla salvaguardia della integrità dell’Ente, largamente inteso, e la tutela del lavoratore che, una tradizione culturale storica, vuole nei paesi occidentali, come il soggetto debole del rapporto di lavoro.

A rendere più problematica l’intricata materia, l’accelerazione digitale che può permettere insidiose forme di controlli a distanza sui lavoratori e trattamenti illeciti dei loro dati personali.

Che cos’è l’AIWM e a cosa serve

Ci si avvia anche nel campo dell’organizzazione del lavoro, infatti, verso sistemi AIWM (Artificial Intelligence for Worker Management) ossia il ricorso all’ intelligenza artificiale per la gestione del personale.

Sistemi intelligenti che permetteranno nuove forme di gestione dei lavoratori, già oggi in costante crescita nell’intera area euro.

Si tratta di sistemi che raccolgono informazioni dall’area di lavoro e dai comportamenti dei lavoratori che immessi in un’applicazione gestita da intelligenza artificiale, sono in grado prendere decisioni automatizzate o semi-automatizzate o di fornire supporto ai decisori su questioni che attengono la  gestione dei lavoratori, quali il miglioramento della produttività, il monitoraggio/la sorveglianza dei lavoratori, delle prestazioni, della sicurezza e finanche delle emozioni. In altri termini si tratta di sistemi di people analytics che permettono  ad esempio di identificare il lavoratore che ha abbandonato il proprio percorso lavorativo o di identificare i lavoratori in fase di profonda demotivazione che potrebbero  dimettersi.

In altri casi potrebbero fornire indicazioni e raccomandazioni ai lavoratori in tempo reale su come svolgere i propri compiti in modo più efficiente e sicuro le proprie mansioni.

Se ne comprendono intuitivamente le opportunità ma anche i rischi, che sono stati ben evidenziati da una recente ricerca voluta dalla Commissione Europea sui sistemi di AIWM.

Il quadro normativo dei controlli a distanza sui lavoratori

Tutto questo quanto è oggi compatibile con le norme giuslavoriste attuali?

Un passo indietro si rende necessario.

Il nostro Statuto dei lavoratori, ossia la l.300 del 20 maggio 1970, inaugurava una nuova era in materia di controlli, disciplinando, da un lato i c.d. controlli diretti, ossia quelli esercitabili direttamente sulla persona del lavoratore e regolati dagli artt. 4-6 dello Statuto, dall’altro cercando di risolvere con l’art. 4 il tema dei controlli indiretti o preterintenzionali, ossia quelli che, con l’utilizzo delle prime embrionali tecnologie, potevano, pur senza quella destinazione d’uso primaria, tradursi de facto in un controllo sull’operato dei lavoratori.

Il vecchio articolo 4, infatti imponeva al datore di lavoro, un accordo con le rappresentanze sindacale, tutte le volte che si fosse dovuta adottare, per finalità organizzative, produttive e di sicurezza sul lavoro, una tecnologia che, per sua natura potesse consentire anche il controllo a distanza sui lavoratori, prima tra tutti, la videosorveglianza.

Dal 1970 la tecnologia ha fatto passi da gigante, a cominciare dal ricorso alla posta elettronica aziendale, passando banalmente per i centralini telefonici, per arrivare rapidamente ad internet ed all’intranet aziendale, agli smartphone aziendali, al controllo digitale o biometrico degli accessi o ai sistemi di geolocalizzazione dei mezzi aziendali e così via.

Si disse anche che se il datore, direttamente o a mezzo di apposite funzioni aziendali, avesse voluto controllare l’operato e l’efficienza del lavoratore, ben avrebbe potuto ricorrere ai controlli diretti, come il buon padre che chiede al figlio se ha studiato, purché tali controlli siano asfissianti e vessatori, come ancora da ultimo ha ricordato la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civile, Sez. Lav., 20 luglio 2023, n. 21682), che si tradurrebbero in una di quella forme degenerative del rapporto datore di lavoro/lavoratore, che in termini moderni chiamiamo Mobbing, bossing, o straining.

L’accordo sindacale, dunque, rappresentava il contrappeso di controllo da rischio che dietro la tecnologia necessaria all’organizzazione della produzione, si celasse una modalità di controllo occulto sui lavoratori.

Controlli difensivi: la posizione della giurisprudenza

Ma come cogliere invece il dipendente infedele o frodatore? Nel tempo ci ha pensato la giurisprudenza sia civile, sia penale, ad introdurre il debito distinguo tra controlli a distanza, evidentemente vietati e controlli c.d. difensivi o protettivi, quelli cioè posti in essere dal datore di lavoro per accertare eventuali illeciti extracontrattuali commessi dai lavoratori.

La Corte di Cassazione aveva infatti più volte escluso l’operatività del divieto di cui all’art. 4 dello Statuto nei casi di “controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cd. controlli difensivi), quali, ad esempio, i sistemi di controllo dell’accesso ad aree riservate o, appunto, gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate”, come nel caso dei controlli sulla mail aziendale.

Sulla stessa scia anche alcune pronunce importanti di primo grado hanno escluso la responsabilità penale del datore di lavoro per i controlli esercitati sulla posta elettronica del dipendente, considerata uno strumento aziendale, quando si trattava di accertare un illecito aziendale.

Ma anche nel caso di telecamere collocate per provare, ad esempio, il furto da parte di una cassiera.

Nel caso in specie, il datore di lavoro, accortosi dei continui ammanchi, aveva collocato delle telecamere che hanno ripreso la dipendente mentre sottraeva danaro dalla cassa.

La cassiera era stata denunciata e condannata per appropriazione indebita.

La Corte aveva ancora una volta evidenziato «…l’utilizzabilità nel processo penale delle videoriprese effettuate con telecamere installate sui luoghi di lavoro per accertare comportamenti delittuosi. Ciò in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori, poste a presidio della loro riservatezza, non prevedono alcun divieto dei cd. controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio. Secondo il giudice di legittimità, dunque, dai fatti emerge chiaramente che le videoriprese sono state finalizzate non al controllo dei lavoratori a distanza (pratica vietata dallo Statuto dei lavoratori) bensì alla difesa del patrimonio aziendale attraverso la documentazione di attività potenzialmente criminose”.

L’impatto del Jobs Act sui controlli a distanza

Nel 2015,  l’ultimo decreto attuativo del cosiddetto Jobs Act¸ modificando profondamente l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, pareva, con i primi commentatori, aver posto fine alla fattispecie dei  controlli difensivi, essendo stata inserita,  tra le esigenze legittimanti il ricorso a strumenti di controllo a distanza anche quelle di tutela del patrimonio aziendale.

Per cui secondo una parte della dottrina, in modo sicuramente illogico, riteneva che anche i controlli finalizzati ad accertare illeciti aziendali, fossero da ricondursi sotto la disciplina dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori. Ancor più in quanto il comma 3 del nuovo articolo 4 prevede che “Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”

A porre fine al dibattito degli addetti ai lavori, è intervenuta ancora una volta e più volte, la Suprema Corte che, al contrario, ha sostenuto la sopravvivenza dei controlli difensivi (Cass. 18168/2023, Cass. 25732/2021 e Cass. 34092/2021).

Come interpretare il comma 3 del nuovo art. 4 SL

Ma allora come interpretare il comma 3 del nuovo art. 4 SL?

La giurisprudenza ha voluto distinguere il dilemma sostenendo che, mentre l’art.4 attiene a controlli preventivi a difesa del patrimonio aziendale rivolti a tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti), nello svolgimento della prestazione lavorativa – ma anche a terzi (si pensi alle telecamere poste all’ingresso di un’azienda), i controlli difensivi «in senso stretto», sono diretti ad accertare specifiche condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti. Quest’ultimi si collocano all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4 (Cass. 25732/2021).

Ma si può aggiungere – ed in ciò si spiega il comma 3 dell’articolo 4 – che, in presenza di un sospetto legittimo, come ad esempio una segnalazione pervenuta sulle piattaforme di previste dalla normativa sul c.d. whistleblowing (d.lgs 24/23), sarà sempre possibile accedere alle informazioni derivanti da quei sistemi o dagli strumenti di lavoro regolati dall’articolo 4 (co. 1 e co. 2), se ciò dovesse risultare  utile per accertare l’illecito aziendale, purché siano rispettate 2 condizioni: l’informativa preventiva e le norme primarie in materia di privacy.

Conclusioni

Adesso abbiamo la risposta al nostro quesito iniziale: come si disciplinano i sistemi AIWM? È indubbio che tali sistemi non potranno che richiedere ai sensi del co.1 dell’art. 4, un previo accordo sindacale ed una informativa dettagliata ai lavoratori circa le finalità del trattamento di quelle informazioni, termini e modi di conservazione dei dati e la base giuridica del trattamento.

E trattandosi in molti casi applicativi di trattamenti automatizzati e di profilazione, come solo l’IA può assicurare, il consenso dell’interessato sarà un passaggio obbligato. Insomma, scogli che saranno ben difficili da superare e che rischiano sicuramente di rendere tortuosa la strada verso una gestione intelligente, efficiente ma sicuramente pervasiva delle risorse umane.

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