l’analisi

Il falso nell’arte: nuove tecniche di indagine tra tradizione e digitale



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L’era digitale ha introdotto nuove sfide e opportunità nella creazione e identificazione dei falsi, rendendo la digitalizzazione uno strumento sia per la conservazione che per la creazione artistica. Esperti e intelligenza artificiale sono fondamentali nel discernere l’autenticità, mantenendo un equilibrio tra conoscenza tecnica e sensibilità artistica

Pubblicato il 8 apr 2024

Lorella Lorenzoni

Grafologa forense, esperta in accertamenti su firme grafometriche

Bruna Pascali

avvocato grafologa forense esperta in accertamenti grafometrici



ai e arte

Da sempre le opere d’arte sono state oggetto di imitazione e falsificazione, sia per fini didattici che speculativi. Già nel mondo antico, infatti, esisteva, accanto al mercato delle opere originali, un mercato parallelo destinato alla compravendita delle “copie”: nell’antica Roma abbondavano le copie di sculture e vasi greci, mentre nel Medioevo la vendita delle false reliquie si muoveva addirittura sui sentieri destinati ai pellegrini.

How to Spot a Fake Painting [Art Forgery Forensics] | Artrageous with Nate

Secondo Cesare Brandi (Siena, 8 aprile 1906 – Vignano, 19 gennaio 1988) un falso non è tale finché non ne viene riconosciuta la sua falsità intrinseca, perché la materia che compone l’opera è autentica, falsa è solo la sua attribuzione.

Colui che vuole distinguere il vero dal falso deve avere un’idea adeguata di ciò che è vero e di ciò che è falso.” Baruch Spinoza

Quindi la falsità è nel giudizio e non nell’opera in sé per sé. Inoltre, per lo storico d’arte la differenza tra i tre termini sta solamente nelle intenzioni di chi realizza l’opera.

1) Un falso è quello che viene realizzato a somiglianza di un altro oggetto, con lo scopo di proporlo sul mercato come opera originale, ingannando circa l’epoca e l’autore.

2) Un’imitazione è tutto ciò che prende come esempio un’altra opera perché si vuole riprodurre lo stile o la tecnica di tale oggetto.

3) Una copia è quell’opera realizzata a somiglianza di un altro oggetto ma con il solo scopo di documentare.

La copia delle opere d’arte ha avuto spesso finalità didattiche, in quanto era proprio attraverso l’imitazione degli artisti più prestigiosi che i giovani apprendisti imparavano le tecniche del mestiere.

Ma in altri casi la realizzazione dei falsi aveva finalità meno edificanti e la diffusione del falso già nel Cinquecento aveva assunto proporzioni allarmanti, tanto che il famoso pittore Durer fu costretto a difendersi dai falsari coniando per primo un proprio marchio e promuovendo la sua arte al di fuori dei confini nazionali.[1]

Interessante riflettere anche su come l’utilizzo di opere prodotte da altri sia servito talvolta a “reinventarle”; a tal proposito non si può non ricordare la corrente dadaista, artefice del ready-made: oggetti pronti, “confezionati”, estrapolati dal loro contesto e resi opera d’arte tramite la semplice selezione degli stessi da parte dell’artista (come la nota riproduzione fotografica della Gioconda di Leonardo da Vinci alla quale sono stati aggiunti i baffi e un pizzetto).

Negli anni più recenti le tecniche di smascheramento del falso si sono affinate sempre di più, di pari passo con le modalità di falsificazione, eppure la riconoscibilità del falso continua ad essere un’attività complessa, per lo più da affidare ad esperti conoscitori della materia, dotati di una profonda competenza ma anche di una eccezionale sensibilità artistica.

Famosi falsari nella storia e insolite tecniche di realizzazione

Il falsario d’arte è spesso un artista talentuoso ma incompreso, che tenta di riscattarsi del mancato riconoscimento spacciando le proprie opere per quelle di artisti più famosi. Emblematica la vicenda di Han Van Meegeren, pittore olandese considerato uno dei più abili falsari d’arte del Ventesimo secolo, che realizzò numerosi dipinti riproducendo lo stile di Jan Vermeer tanto che le opere furono erroneamente ritenute originali anche dai più esperti critici d’arte.

L’abilità di Meegeren fu quella di non “copiare” le opere di Vermeer ma di creare dipinti nuovi utilizzando le tecniche degli originali e i materiali tipici dell’epoca, inserendo anche appositi pigmenti e polveri per simulare l’invecchiamento o la “craquelure”, le crepe tipiche degli oli invecchiati.

Il falsario fu smascherato solo nel 1947, quando – accusato di aver venduto ad Himmler alcuni dipinti falsi – riuscì ad evitare l’ergastolo dichiarando di essere un falsario e dimostrando la sua abilità pittorica in tribunale dipingendo un bellissimo “Gesù nel tempio”.

La ricerca dell’elemento unico o insolito per la credibilità del falso

Spesso il falsario ha il desiderio di lasciare anche traccia della sua abilità, pensiamo ad esempio a Mark Landis, pittore americano autore di numerose opere contraffatte, talvolta copie di autori molto famosi ma più spesso di autori minori della storia dell’arte, che ha poi donato per anni a diversi musei americani spacciandole per opere originali, ottenendo che fossero esposte.

Tale artista offre spunti interessanti per comprendere le fasi dell’imitazione perfetta: in un’intervista ha infatti descritto le sue tecniche, affermando che nelle sue riproduzioni l’utilizzo di aspetti pittorici insoliti rappresentava la chiave perché le opere risultassero credibili.

Non solo, la sua tecnica privilegiata era quella della “memoria”, in quanto il disegno veniva riprodotto aiutandosi con la visione in trasparenza del tracciato ma poi, per rendere più naturale il gesto, l’autore era solito proseguire a ricordo per rendere il disegno spontaneo. La firma è poi l’aspetto fondamentale: lo stesso Landis afferma che se “convincente” viene data meno importanza all’opera.

Falsificazioni tra genialità e goliardia: il desiderio di lasciare la propria impronta

Icilio Federico Joni è il caposcuola dei falsari senesi, noto per le sue Madonne ispirate allo stile di Duccio di Boninsegna e di Simone Martini, realizzate con tavole lasciate invecchiare e sottoposte, sul terrazzo di casa, all’azione degli agenti atmosferici.

Il falsario è noto per l’inserimento, sulle sue opere, di una sigla misteriosa “PAICAP” che compariva insolitamente in numerosi dipinti trecenteschi (presenti al Metropolitan di New York come a Dublino); tale dicitura restò un enigma fino a quando Kenneth Clark sollevò forti dubbi circa l’autenticità dei dipinti e finalmente risultò chiaro il significato dell’acronimo: “Per Andare In C* Al Prossimo”.

Federico Joni era un artista talentuoso ma ribelle, che si specializzò nella creazione del falso perché il mercato dell’epoca ne aveva forte richiesta, spesso con la complicità di critici e collezionisti.

Il suo acronimo divenne quindi una forma di protesta e di contestazione verso il “prossimo”, identificato nel ricco, che veniva beffato e derubato attraverso l’inganno di aver acquistato un originale mentre invece si trattava di un falso.

Le insidie negli accertamenti su presunti originali

Se l’arte, in tutte le sue espressioni, dovrebbe avere il compito di elevare l’animo umano e di ispirarlo al bello, purtroppo nella realtà attuale è facile imbattersi in mercanti d’arte e mediatori che mirano a realizzare vendite senza avere l’esperienza e la capacità di riconoscere gli originali, spesso ingannando persone oneste che confidano nella loro preparazione tecnica.

Le regole Cartesiane applicate al mondo dei falsi

“Il dubbio è l’inizio della conoscenza.” Cartesio

La prima regola del metodo cartesiano ci spinge ad accettare come vero solo ciò che è evidente: per il resto bisognerebbe dubitare di tutte le cose che non sono chiare e comprensibili. Occorre quindi assumere il dubbio come procedimento metodologico anche nell’indagine tecnica su dipinti e scritture.

Talvolta i dubbi sull’originalità delle opere (o delle firme apposte sulle stesse) sono all’origine di liti e contenziosi, e generalmente il grafologo forense è la figura di riferimento chiamata ad esaminare l’opera per una prima valutazione tecnica sulla riferibilità all’autore, attraverso l’ispezione sulla firma e sugli inchiostri.

Può accadere che il ritrovamento di un’opera già pubblicata su cataloghi dell’autore, generi il convincimento che la stessa possa essere originale, mentre invece – ad un’ispezione accurata – si accerta che trattasi di una copia.

Nel caso che esponiamo di seguito l’indagine tecnica aveva ad oggetto un acquerello a firma Morandi, che il proprietario aveva ritenuto autografo e aveva tentato di vendere – incautamente consigliato – con l’aspettativa di ricavare importanti cifre, essendo già presente in un catalogo ragionato ed essendo il disegno perfettamente sovrapponibile, anche nella firma, all’opera oggetto di pubblicazione.

L’opera, ad una prima ispezione tecnica, sembrerebbe un originale.[2]

Solo l’esame in trasparenza, con luci ad alta intensità poste sul retro della tavola, ha fatto emergere la filigrana sul Verso del foglio, contenente la firma stampata in grigio «Morandi», chiaramente apposta dall’editore sul foglio utilizzato per la stampa, proprio per evitare ogni possibile confusione con gli originali.

Eppure accanto alle opere dei falsari truffaldini non mancano “falsi innocenti”, opere realizzate da abili restauratori e pittori che, per puro piacere estetico, realizzano falsi antichi (spesso rifacendosi a pittori fiamminghi), riproducendo le tipiche colorazioni dell’epoca e persino le crepe dell’invecchiamento (craquelere).

Nelle immagini soprastanti, un falso realizzato dall’artista Grazia Maria Lolli (1921-2004), restauratrice e pittrice, formatasi al laboratorio di restauro della Soprintendenza di Pisa.

L’artista, grazie allo studio delle tecniche antiche osservate nell’attività di restauro, ha sperimentato le stesse nella sua personale produzione pittorica, realizzando dei falsi “per studio”, dipinti ispirati allo stile dell’epoca e realizzati spesso con sovrapposizione di vernici.

La firma era realizzata con le iniziali in lettere capitali, nel tipico stile in uso tra i pittori fiamminghi, difforme dal suo stile grafico abituale.

Le tecniche di indagine e il riconoscimento del falso

Le tecniche di indagine devono avvalersi di strumentazione adeguata, in grado di osservare in profondità il tracciato sia grafico che pittorico in modo da svelare ciò che ad occhio nudo non è visibile.

L’ispezione deve essere svolta quindi non soltanto sulla superficie visibile, ma anche nella sfera del “non visibile” per rintracciare possibili manomissioni, aggiunte postume, sovrapposizioni di inchiostri e altre anomalie quali abrasioni o cancellature sospette.

L’utilizzo dell’ispezione IR è fondamentale per osservare gli inchiostri e i pigmenti nella loro risposta a seconda della lunghezza d’onda utilizzata. Tale ispezione consente di rilevare le sovrapposizioni di tracciati sia nelle firme che nelle parti pittoriche, evidenziando anche le fasi preparatorie.

L’ispezione con raggi UV può essere utile ad evidenziare anomalie nel supporto, carta cartoncino o tela, e rilevare anomale abrasioni, alterazioni della filigrana o tipologie di carta non conformi all’epoca di creazione dell’opera esaminata.

Anche l’esame degli inchiostri è cruciale nel determinare la corretta datazione sia in base alla disponibilità dei pigmenti all’epoca di creazione dell’opera, sia nell’accertamento sul grado di invecchiamento.

Come cambia il falso nell’era digitale e la digitalizzazione dell’arte

L’avvento dell’era digitale ha semplificato la creazione del falso, in quanto le moderne tecniche di rielaborazione delle immagini rendono più facile la creazione e la diffusione di falsi.

Anche l’evoluzione delle tecnologie di stampa ha reso più facile la creazione di copie apparentemente identiche agli originali, rendendo difficile il riconoscimento dell’imitazione, se non attraverso specifica strumentazione ed ispezioni ad hoc.

Tuttavia la digitalizzazione dell’arte può essere anche un utile strumento sia per creare nuove forme di arte che per la tutela e conservazione delle opere antiche.

Attraverso la digitalizzazione delle opere d’arte, infatti, le stesse vengono rese più fruibili senza rischi di danneggiamento o deperimento, consentendo una conservazione migliore delle opere originali e un miglioramento della qualità visiva delle stesse.

Talvolta, infatti, non è possibile utilizzare le tecniche di restauro tradizionali perché l’opera verrebbe irrimediabilmente danneggiata, mentre le tecniche di fotoritocco digitale consentono di ripristinare i tratti originali e di ricreare l’opera nella sua bellezza originaria senza alcuna perdita o danno.

Inoltre, la tecnologia digitale può essere d’ausilio nel ‘recuperare’ le opere scomparse a seguito di furto, rendendole virtualmente disponibili e restituendole alla fruizione della collettività.

E’ ciò che è avvenuto al museo Isabella Stewart Gardner di Boston, dove nel marzo del ’90 erano stati rubati 13 quadri di autori famosissimi come Rembrandt, Manet, Degas e Vermeer, per un valore totale di 500 milioni di dollari. Le cornici erano rimaste vuote e molti visitatori del museo non avevano idea di cosa ci fosse prima del furto.

Una startup di Boston ha riportato nelle cornici le opere scomparse con un’app denominata “Hacking the Heist” che fa uso della realtà aumentata. Attraverso questa applicazione è stato possibile “ricollocare” le opere trafugate all’interno del museo in attesa che gli originali possano essere recuperati.

Il ruolo dell’IA tra creatore e creazione

Accanto all’uso innovativo delle tecnologie digitali, l’avvento dell’Intelligenza Artificiale pone nuovi interrogativi sulla possibilità di creare nuove forme artistiche simulando l’attività creativa umana.

L’applicazione delle reti neuronali all’IA, al fine di creare immagini astratte o realistiche basandosi su set di dati, è un esempio di come il confine tra creazione umana e artificiale vada assottigliandosi sempre di più.

In questo senso l’interrogativo etico sul significato della creazione e del creatore non può non tenere conto del valore “umano” dell’espressione grafica e artistica, che resta una componente individuale, irripetibile ed inconfondibile, indissolubilmente legata all’uomo e alla sua manualità.

Ausili tecnici uso dell’IA negli accertamenti

L’uso dell’IA apre prospettive interessanti anche sulla possibilità di smascherare i falsi attraverso un riconoscimento automatico basato sulle tecnologie 3D.

Recenti studi hanno affiancato ai tradizionali metodi di analisi ottica, innovative tecniche di indagine in grado di rilevare con alta precisione se trattasi di originale o falso, ma anche discriminare tra le parti originali e quelle create da altri (ad esempio collaboratori “di bottega”) oppure tra parti originali e parti manipolate o falsificate.

Uno studio pubblicato sulla rivista Heritage Science a novembre 2021 ha evidenziato l’applicazione della tecnica 3D e il grado di efficacia in base a uno studio sperimentale bastato sul confronto tra un’opera originale e alcune copie di altra mano.[3]

Il ruolo dell’esperto nel riconoscimento dei falsi

Nonostante le tecniche di indagine siano, come visto, sempre più sofisticate, grazie anche all’avvento dell’IA, il ruolo del professionista – sia nell’esame delle opere che delle firme – riveste ancora un ruolo fondamentale ai fini dell’autenticazione ma anche del riconoscimento del falso.

L’occhio attento dell’esaminatore esperto, unito alla preparazione tecnica e all’esperienza, possono rivelarsi cruciali nello svelare falsi apparentemente perfetti e talvolta esposti come originali anche nei musei e nelle collezioni d’arte più prestigiose.

Famosa la capacità di osservazione del critico d’arte Federico Zeri, che nel corso della sua lunga attività ha espresso più volte con decisione il suo giudizio di falsità, talvolta contro l’opinione corrente che ne ha condiviso solo tardivamente l’esito (famoso il caso delle false teste di Modigliani o il Kouros del Getty Museum di Los Angeles, che non fu più esposto proprio a seguito del giudizio del critico italiano).

La ricerca del falso costituisce spesso un’autentica sfida per gli esperti d’arte, tanto che la Fondazione Federico Zeri ha raccolto un archivio di oltre 450mila foto di opere false, visionabili on line.[4]

Conclusioni

Dietro la produzione artistica si aprono infiniti scenari di inganni e possibili truffe, sia guardando al passato che all’epoca attuale, in cui è divenuta estremamente facile la riproduzione e la creazione di opere false apparentemente originali.

Ai fini dello smascheramento del falso la preparazione tecnica è fondamentale ma va coniugata con la maturazione di uno sguardo collegato ad un sapere che va oltre la sola razionalità.

Spesso l’esperto considera il suo rapporto con le opere d’arte come un atto di amore e quel legame profondo permette un riconoscimento anche istintivo e intuitivo che va oltre la meccanicità della tecnica. Infine, vale sempre la regola cartesiana che se si vuol “essere un vero cercatore della verità, è necessario che almeno una volta nella tua vita tu dubiti, per quanto possibile, di tutte le cose.”

Note

  1. Articolo di Lorella Lorenzoni, Alessandra Panarello, Agenda Digitale https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/il-watermarking-a-tutela-del-vero-nellera-del-deepfake
  2. Ispezione tecnica con luce diretta, trasmessa, radente, sia sul fronte che sul retro; all’ispezione IR e UV non si rilevano anomalie nel tracciato e nell’inchiostrazione.
  3. Discerning the painter’s hand: machine learning on surface topographyF. Ji, M. S. McMaster, S. Schwab, G. Singh, L. N. Smith, S. Adhikari, M. O’Dwyer, F. Sayed, A. Ingrisano, D. Yoder, E. S. Bolman, I. T. Martin, M. Hinczewski & K. D. Singer – Heritage Science volume 9, Article number: 152 (2021) e
  4. I Falsi nell’archivio fotografico della Fondazione Federico Zeri” https://fondazionezeri.unibo.it/it/fototeca/archivio-fotografico/i-falsi-nei-fondi-fotografici-della-fondazione-zeri

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