Non è un mistero che sulle politiche scolastiche il PNRR preveda investimenti su STEM (le cosiddette materie scientifiche) e digitalizzazione della didattica, con l’obiettivo di rafforzare le competenze soprattutto nelle materie scientifiche (matematica in primis) e combattere la dispersione scolastica.
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito per questo ha adottato un piano denominato Scuola 4.0 (DM n. 161 del 14 giugno 2022), strumento di sintesi e accompagnamento all’attuazione delle relative linee di investimento destinato a “realizzare ambienti di apprendimento ibridi, che possano fondere le potenzialità educative e didattiche degli spazi fisici concepiti in modo innovativo e degli ambienti digitali”.
A questo sono seguiti i decreti di destinazione delle risorse stanziate dal PNRR (DM 222 e 161 del 2022) relativi alle linee di investimento 2.1 “Didattica digitale integrata e formazione alla transizione digitale per il personale scolastico” e 3.2 “Scuola 4.0: scuole innovative, cablaggio, nuovi ambienti di apprendimento e laboratori”.
Pnrr e scuola digitale, operazioni al ralenti
Nel lungo e tormentato percorso di attuazione del PNRR, passato da una legislatura a un’altra, attraverso tre differenti governi, le operazioni procedono a tutt’oggi a rilento.
Prendo ad esempio il caso della regione Lombardia, quella nella quale lavoro e che in fin dei conti è dai più presentata come la regione all’avanguardia e, soprattutto, stimolata dalla pioggia di soldi del PNRR.
Il caso della Lombardia
La Lombardia ha ricevuto per la realizzazione del piano “Scuole 4.0” circa 273.8 milioni di euro: sono stati presentati ben 4.426 progetti (teniamo presente che in Lombardia ci sono circa mille scuole statali, il resto dunque è del settore non statale: scuole paritarie, enti di formazione professionale, ITS …).
Tuttavia l’analisi dello stato d’attuazione dei progetti, da quanto possiamo ricavare dal portale OpenPnrr ci consegna un ritardo diffuso: un’analisi a campione di questi progetti denota un ritardo del quasi 50% rispetto alle aspettative (vuol dire che siamo di fronte a una attuazione effettiva soltanto del 20% delle attività previste, quando a oggi ci aspetteremmo un’attuazione del 70%).
La causa dei ritardi
Questo vuol dire che il ritardo accumulato difficilmente permetterà il rispetto della tempistica imposta dal PNRR, ovvero il 2026: la cosa che più colpisce è che molti ritardi non sono legati agli adeguamenti strutturali, ma anche all’acquisto semplicemente delle apparecchiature (attuazione media intorno al 50%), dei dispositivi informatici.
Dunque registriamo un forte rallentamento dello slancio iniziale, che è stato per lo più del governo e della politica, perché – ed è bene ricordarlo – questi progetti non nascono da richieste specifiche delle istituzioni scolastiche, ma dalla furia politica che, in uscita dalla pandemia Covid, ha legato la ripresa economica a finanziamenti a pioggia che avrebbero dovuto garantire un ammodernamento del nostro Paese e avrebbero dovuto moltiplicare i posti di lavoro, almeno temporaneamente.
Progetti PNRR scuola digitale: i nodi da sciogliere
Restano inoltre non poche perplessità sulla necessità e sulla gestione di questi progetti, per i seguenti motivi.
La formazione degli insegnanti
La formazione degli insegnanti è indispensabile, è il fulcro della didattica, per cui è indubbiamente una novità positiva vedere che c’è interesse ad arricchire la proposta formativa con corsi per il personale scolastico finalizzati all’acquisizione delle competenze digitali. Resta però un dubbio di natura procedurale: solo le scuole, in piena autonomia, possono decidere se poi utilizzare quegli strumenti all’interno dei percorsi didattici e in che modo farne uso.
La subalternità dell’istruzione e della formazione alla tecnologia
Chi ha pensato il PNRR, probabilmente ha poca dimestichezza con la didattica e la pedagogia, ed è grave ma non gravissimo. Tuttavia è gravissimo ignorare i numeri che le statistiche europee ci forniscono con regolare e pedante continuità: i dati OCSE ci informano che le competenze in reading, cioè comprensione e lettura di testi più o meno complessi, sono in progressivo impoverimento, ovvero al ribasso. L’introduzione e il potenziamento delle STEM e degli strumenti digitali, non in ultimo l’uso dell’intelligenza artificiale applicata all’elaborazione dei testi (ChatGPT per citarne uno), non vanno incontro a queste esigenze comunicative. L’idea che sta progressivamente prendendo piede è la subalternità dell’istruzione e della formazione alla tecnologia, come dimostra l’aggancio forte di questi PNRR agli ITS (Istituti Tecnici Superiori, sui quali si investe 1,5 miliardi) con l’idea che tutto si risolva all’interno del paradigma scientifico. Del resto, Scuola 4.0 richiama Industria 4.0: è questo il futuro/destino della Scuola?
Lotta alla dispersione scolastica
La dispersione scolastica non si combatte soltanto con innovazione didattica, ma con forti investimenti nel tempo scuola, l’esatto contrario di quello che si fa oggi quando si avviano sperimentazioni di percorsi scolastici ridotti (Liceo Made in Italy, filiera tecnico-professionale), accompagnate da massicce operazioni di dimensionamento scolastico. Servono al contrario scuole aperte sul territorio, ma aperte dal personale scolastico e non in appalto al terzo settore, scuole dove si fa scuola e non parcheggio; servono innovazione didattica, non semplicemente strumenti innovativi; serve una società che creda e valorizzi la scuola come momento di crescita di cittadini con una coscienza critica e democratica.
Conclusioni
Dunque, quella che doveva presentarsi come un’opportunità si sta rivelando una iattura: la progettazione forzata di attività PNRR è stata compressa e calata dall’alto, senza una discussione vera in seno alla comunità scolastica che ha subito, pena in molti casi la minaccia del commissariamento, l’arrivo dei fondi senza l’adeguato supporto, anche in termini di risorse umane, per la loro gestione.
Le scuole sono state ingolfate da una macchina burocratica che le ha trasformate in progettifici, con un aggravio pesante sull’attività ordinaria e soprattutto una scarsissima condivisione sulla necessità di quei progetti.
Perché le sperimentazioni e i cambiamenti per avere un senso devono nascere da una discussione collettiva con gli addetti ai lavori, non decise da lontano.