Quanto può fare la tecnologia nel limitare lo spreco e la perdita alimentare? Tanto. È la risposta, semplice quanto inoppugnabile, che emerge nell’osservare gli strumenti che l’industria mette a disposizione per affrontare un problema che si sta dimostrando sempre più un’emergenza globale. Si pensi, infatti, che, se le emissioni di CO2 generate dalla macrofiliera agroalimentare vanno dal 21 al 37% del totale, l’8-10% delle stesse è computabile a cibo non consumato. Della lotta allo spreco di cibo, si è preso carico anche l’Onu, che l’ha inserito nei suoi Sustainable development goals. Secondo l’Sdg 12.3, entro sei anni, è necessario dimezzare il fenomeno.
Spreco alimentare: le responsabilità delle forze produttive
Già in passato, il tema è stato affrontato da queste stesse colonne, per concentrarci sulla parte “consumer”. Stavolta invece, è necessario far luce su una zona d’ombra del “cibo sprecato e buttato”. Ovvero la quota di cui sono responsabili le forze produttive. Agricoltura, industria di trasformazione, quella dei trasporti, la Gdo, ma anche il settore cosiddetto horeca (quello dell “Hotellerie-Restaurant-Café”) e retail hanno tutte l’opportunità per rendersi più efficienti in fatto di cibo giunto a destinazione del consumatore nelle sue migliori condizioni, così da poter essere consumato e, allo stesso tempo, rispondere virtuosamente alle richieste dell’Unione europea.
In occasione del convegno organizzato da Competere a febbraio al Parlamento europeo, intitolato “Le tecnologie che possono salvare dagli sprechi la filiera alimentare (e il Pianeta)”, è stata proprio Alexandra Nikolakopoulou, alla guida della Direzione salute e sicurezza alimentate (Dg Sante) della Commissione Ue a sottolineare che ai soggetti a monte della filiera è richiesto uno sforzo, da qui al 2030, di ridurre lo spreco alimentare del 10%. Il 30% è invece assegnato rispettivamente al mondo del retail e dei cittadini.
Nello specifico, l’agricoltura deve avviare nuove pratiche di efficientamento delle risorse utilizzate, sia naturali sia energetiche. L’applicazione dell’economia circolare nella sua completezza, come anche l’agricoltura di precisione e rigenerativa possono fare la differenza.
Riduzione degli sprechi alimentari: l’importanza di una filiera del freddo sostenibile
Tuttavia, in questa partita corale, il boccino è effettivamente nelle mani dell’industria di conservazione degli alimenti. Nello specifico, nella cosiddetta filiera del freddo. La cold chain raggruppa tutti quei soggetti industriali impegnati al mantenimento di prodotti freschi e surgelati a una temperatura costante in tutto il loro ciclo di vita. Si parte quindi dallo stabilimento di produzione e si raggiunge il punto vendita, attraverso tutti i momenti di trasporto e stoccaggio. Il mantenimento di un determinato livello di temperatura garantisce la conservazione degli alimenti, facendo sì che arrivino integri sulla tavola del consumatore finale.
Durante questo processo, devono essere evitati shock termici, che potrebbero alterare le proprietà organolettiche dell’alimento. L’interruzione la catena del freddo, al contrario, potrebbe compromettere le proprietà nutritive del prodotto, mettendone a rischio l’integrità, gli standard igienici e la sicurezza alimentare. In pratica, portandolo a diventare un rifiuto.
Se ci concentriamo sui comparti di frutta e verdura, per esempio, componenti importanti di una dieta europea sana, si rilevano perdite prossime al 50% della produzione totale. Disporre di una catena del freddo efficiente e sostenibile è dirimente nel contenere queste cifre. È qui che le industrie della filiera – dalla raccolta, al trasporto, fino alla distribuzione finale – devono fare un passo avanti.
Il modello thermo king
Tra i più sofisticati modelli di catena del freddo, merita attenzione quello applicato dalla statunitense Thermo King, le cui innovazioni più recenti sono, in un certo senso binarie. Da un lato, vanno osservati i processi di elettrificazione e monitoraggio digitale per il mantenimento delle temperature massime che variano da -70°C a +40°C, su tutte le linee di trasporto. Sensoristica e data analysis dei vettori per aria, mare e su strada sono la dimostrazione di come l’Intelligenza artificiale possa effettuare un’azione preventiva ai casi di spreco e non consumo di alimenti. Dall’altro, la riduzione di emissioni di CO2 in tutte le fasi di lavorazione: dall’introduzione dei cibi nelle unità frigorifere, fino alla consegna alla Gdo.
L’impatto sull’ambiente delle procedure di conservazione
A questo proposito bisogna riflettere sul fatto che anche le procedure di conservazione hanno un loro impatto sull’ambiente. Il caldo e il freddo, così strategici per la nostra quotidianità, sono i veri responsabili del climate change antropogenico. Va ricordato infatti che approssimativamente il 15% delle emissioni globali annuali di gas serra sono legate al riscaldamento e al raffreddamento degli edifici e delle abitazioni, mentre un altro 10% proviene dagli alimenti persi durante il trasporto o mai consumati. Gli impianti di refrigerazione sono fonti di CO2. Altrettanto i mezzi di trasporto. Ecco perché, Trane, per realizzare la grande sfida di ridurre di 1 gigatone di CO2 emessa entre il 2023 (Gigaton Challenge), ha inserito una progressiva conversione delle fonti energetiche dei suoi centri produttivi e, ancor più, del suo intero parco mezzi. Attualmente, si contano circa 40mila unità frigorifere dell’azienda per il trasporto elettrificate sulle strade europee.
Tuttavia, nonostante le dimensioni, lo sforzo di un singolo soggetto può non essere sufficiente.
Packaging, l’Europa a un bivio
La battaglia sul packaging condotta in Europa tra riciclo e riuso rischia di ridimensionare i ritorni virtuosi anche di queste operazioni. La catena del freddo, infatti, funziona se a fargli da spalla c’è un buon imballaggio. Servono materiali inerti, duttili e asettici. Più banalmente, serve un packaging di plastica che sia a prova di deterioramento degli alimenti.
In questo caso, è evidente che il packaging da riuso risulti sconveniente. L’accordo raggiunto di recente per il nuovo Packaging & Packaging Waste Regulation (Ppwr) stabilisce obiettivi di riduzione dell’imballaggio (5% entro il 2030, 10% entro il 2035 e 15% entro il 2040) e richiede ai paesi dell’Ue di rivedere, in particolare, la quantità di rifiuti di imballaggi di plastica.
L’Europa è a un bivio, quindi. Se desidera che il sui Green Deal diventi davvero il suo marchio di fabbrica, per dei prodotti di qualità ed Esg compliant, deve avviare una politica industriale integrata, in cui nessuna delle filiere o settori produttivi oscuri l’altra. Al contrario, favorire un’industria, a svantaggio di una concorrente diretta, vuol dire aver propugnato una politica di sostenibilità di facciata, che fa il gioco soltanto dei nostri competitor.