Cosa significa per i lavoratori italiani essere felici? Cosa intendono per benessere? Come si legano questi aspetti al mondo del lavoro e alla great resignation?
L’ultimo Barometro della Felicità, rilasciato dall’Osservatorio BenEssere Felicità cerca di mettere in evidenza questi aspetti attraverso un’indagine puntuale, giunta alla sua quarta edizione. Interrogare un campione italiano di oltre 1000 persone è essenziale per comprendere quali siano gli elementi oggettivi su cui intervenire per una necessaria rivalutazione del senso del lavoro in relazione alla vita delle persone.
Per parlare di futuro e innovazione è importante domandarci in quale misura vogliamo dare centralità agli interessi, ai bisogni e alla volontà di realizzazione dei lavoratori. Per lungo tempo le imprese hanno anteposto a qualsiasi altro fattore il profitto come priorità del business, ritenendo che fosse quello e solo quello il metro con cui misurare lo stato di salute delle proprie attività.
Rivalutazione del senso del lavoro: un nuovo paradigma
Oggi se vogliamo traghettare la società verso un futuro davvero sostenibile dobbiamo costruire un paradigma nuovo, consapevoli che questa innovativa visione della produttività può portare a un vero miglioramento di sistema. Un paradigma che veda l’azienda come un organismo costituito prima di tutto dalle individualità di coloro che collaborano alla sua crescita, che si sviluppa attraverso la realizzazione di queste unicità e che non punta al profitto come unico obiettivo del fare impresa. L’organizzazione deve e può generare valore per la propria sostenibilità e per il benessere di tutto il sistema Paese.
Un lavoratore che percepisca quest’attenzione nei suoi confronti da parte della realtà per cui lavora o con cui collabora sarà il primo a volerla restituire, in un circolo virtuoso che alimenta la redditività stessa dell’azienda: questo è il punto centrale, non ci sono vincitori e vinti, con un paradigma che rivaluti programmaticamente la postura nei confronti delle persone in quanto tali il risultato è uno sviluppo omogeneo in cui ciascuno dà il proprio contributo per sé stesso e per tutta l’impresa.
Impresa armonica: l’importanza dell’ascolto e del dialogo
Durante un recente evento organizzato dal CUEIM, Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale il professor Claudio Baccarani, emerito di Economia e gestione delle imprese nell’Università di Verona, ha portato una lezione incentrata proprio sul nuovo paradigma for good necessario per un’evoluzione sostenibile del mondo del lavoro: il professore parla dell’impresa “armonica” come di un’opera d’arte collettiva, in continuo divenire e costantemente accresciuta nel suo valore e nella sua attività dagli attori che la vivono ogni giorno, per gran parte della loro vita, attraverso l’ascolto, il dialogo, l’umiltà, la fiducia e tutti gli ingredienti necessari per la piena realizzazione di un sistema di relazioni che permetta all’impresa stessa di realizzarsi. Una proiezione verso l’altro che si trasforma in pratiche virtuose per una sintonia interna ed esterna, capace di abbracciare le esigenze di tutti gli stakeholder in una comune visione di futuro.
Quando ben il 45% dei lavoratori dichiara di voler cambiare lavoro entro 12 mesi (dato misurato dall’Osservatorio Benessere e felicità delle persone attive nel febbraio 2024) si capisce che la sfida è tutt’altro che vinta, e che anzi le azioni da mettere in campo sono più che mai necessarie e urgenti. Sempre secondo il Barometro 2024 per gli italiani la felicità consiste nella soddisfazione per la propria vita, nella serenità, nell’equilibrio psicofisico, nello stato di benessere e nel tempo libero prima ancora che nel compenso economico, e per ben il 41% il lavoro non dà un senso alla propria vita, per il 47% non aiuta a capire sé stessi e per il 35% non soddisfa i propri bisogni. Manca reciprocità nel rapporto lavoratore-impresa, soprattutto se si nota che il 76% ritiene che il proprio lavoro migliori l’azienda in cui lavora.
Empowerment e attrazione dei talenti
Le persone vogliono essere riconosciute per il valore che portano, incentivate a migliorarsi per migliorare l’intero ecosistema: non a caso l’empowerment è considerato l’aspetto più importante tra i fattori di attrazione e retention, con un 30%, perché contempla le opportunità per la crescita personale, le aspirazioni, l’autonomia e la salute mentale.
Poca importanza attribuita invece alla fama dei brand, che ha valore solo per il 3%: non basta essere un marchio noto per attrarre talenti, serve piuttosto dimostrare di saper rispondere alle loro esigenze, di saper ascoltare, includere, accompagnare, co-costruire i futuri migliori. Grazie alla misurazione oggettiva di queste dimensioni comprendiamo i problemi degli italiani al lavoro ma percepiamo anche le soluzioni che possiamo intraprendere da subito: i leader e gli imprenditori hanno la grande opportunità di scrivere le nuove pagine di un lavoro produttivo e in benessere.
L’attenzione delle aziende alla sostenibilità
Sì, perché insieme si può costruire meglio e infatti un dato incoraggiante è quello emerso sull’attenzione delle aziende per la sostenibilità, intesa come sociale e ambientale, nella percezione dei lavoratori. Per il 54% essa è molta o moltissima, mentre solo per l’11% è quasi o del tutto assente. Allo stesso tempo il 38% degli intervistati ci ha descritto come prioritarie la difesa dell’ambiente e la riduzione dei problemi sociali nella propria scala di valori: questo denota come i lavoratori siano aperti e disponibili a co-costruire un sistema basato sulla sostenibilità, anche considerando che il 64% ritiene giusto che un lavoratore dia il suo contributo per la sostenibilità dell’azienda. Ci chiediamo come ingaggiare al meglio i nostri collaboratori, c’è dichiarazione di contributo migliore?
Costruire un sistema basato sulla sostenibilità
Resta da chiedersi perché tali volontà non si trasformino in atti: salta all’occhio allora una discrepanza relativa ai ruoli, che vede imprenditori e manager leggermente sotto la media del 38% per quanto riguarda l’approccio prioritario al tema della sostenibilità, media nutrita invece dai professionisti e autonomi con il 41%.
Altre considerazioni si possono fare poi in termini intergenerazionali e di genere: le donne sono le più propense a ritenere la sostenibilità una priorità, con il 43% a fronte del 38% di media complessiva. Inaspettatamente poi i lavoratori più maturi, con il 47%, superano di gran lunga tutte le altre generazioni, che vedono attestarsi al 34% la genZ, al 36% i millennials e al 38% la genX. Un altro dato che ci ricorda come le quattro eliche dell’innovazione debbano integrarsi a vicenda: l’educazione alla sostenibilità deve avere radici profonde, precedenti all’ingresso nel mondo del lavoro e già robuste durante gli studi universitari, che in molti casi stanno fortunatamente imboccando questa strada. La ricerca stessa deve dialogare con le imprese, con le istituzioni e la società civile, perché le nuove generazioni sviluppino anche in ambito lavorativo un crescente senso di partecipazione costruttiva alla sostenibilità.
Resta preoccupante e da tenere in osservazione un 23% di aziende che, secondo i lavoratori, non dà minimamente attenzione alle dimensioni sociale e ambientale della sostenibilità, che per il 30% sono invece presidiate entrambe.
Conclusioni
Ci attende un cammino lungo e a tratti complesso, ma la crescita della sensibilità per certi temi è inarrestabile e incoraggiante: con uno sforzo corale si può davvero ritenere che il paradigma cambierà e lo farà in meglio, se metteremo il valore delle persone al centro l’innovazione sostenibile sarà possibile e gratificante per tutti.