Regolamentazioni

Sostenibili perché conviene: l’impatto della direttiva Ue CSDD sulle imprese



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La Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence (CSDD), mira a integrare la sostenibilità nei processi aziendali. Si affianca alla CSRD, focalizzata sulla rendicontazione della sostenibilità, suggerendo un approccio che rende la sostenibilità conveniente e gestibile per le imprese

Pubblicato il 8 mag 2024



Transizione 5.0
Transizione 5.0

Quando sembrava tutto perso, nel mese di marzo il Consiglio Europeo ha approvato la Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence.

Da alcuni mesi si stava discutendo, non senza stop and go, di un provvedimento legislativo europeo che avrebbe normato, tra le varie prescrizioni, anche il controllo sulle emissioni della supply chain.

L’approvazione della Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence

Dopo un lungo dibattito, era stato raggiunto tra Commissione europea, Consiglio e Parlamento europeo un accordo provvisorio. Alcuni Paesi, tra cui Germania e Italia hanno però obiettato che la regolamentazione sarebbe stata eccessivamente invasiva e anche su indicazione delle grandi associazioni imprenditoriali nazionali hanno sollevato apertamente il problema.

È stato quindi necessario negoziare, sul piano politico, un nuovo punto di equilibrio.

Ne è valsa la pena?

Le implicazioni della CSDD per le imprese

La Direttiva è ritenuta il tassello chiave per le politica del diritto dell’Unione Europea, in quanto, per la prima volta, introduce una disciplina di portata generale e un obbligo per le imprese a strutturare gli assetti e i processi organizzativi in modo da governare anche i rischi derivanti dalle tematiche di sostenibilità, quali l’ambiente e la tutela dei diritti umani.

Il testo approvato prevede che la Direttiva si applichi a imprese con oltre 1000 dipendenti e un fatturato mondiale superiore ai 450 milioni.

È una significativa riduzione del perimetro di operatività che, inizialmente, ambiva a includere le imprese con più di 250 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre 40 milioni di euro nell’ultimo esercizio o in alternativa, le imprese società madre di gruppi con 500 dipendenti e un fatturato netto a livello mondiale di oltre 150 milioni di euro nell’ultimo esercizio.

Le ragioni del passo indietro vanno individuate nelle importanti conseguenze che, se approvata con l’iniziale perimetro soggetto, la CSDD avrebbe comportato anche per le imprese di minori dimensioni.

La Direttiva chiede infatti alle imprese di governare anche le attività svolte dai soggetti nella catena del valore, con cui la società soggetta alla CSDD intrattenesse un rapporto d’affari.

L’impatto della CSDD sulle PMI

Ciò apre la la via ad una applicazione anche alle PMI, seppure mediata dalla grande impresa.

È evidente che ponendo ora l’obbligo in capo a soggetti molto più dimensionati, l’impatto sulle PMI viene dilatato e mitigato nel tempo. Non escluso, però.

Infatti, la direttiva mantiene, quale tratto caratteristico della sua impostazione, una logica di filiera, tanto da imporre alle imprese grandi “misure a sostegno dell’esercizio del dovere di diligenza” da parte delle PMI da esse obbligate al rispetto del codice etico; tali misure possono comprendere l’offerta di “sostegno finanziario e amministrativo mirato e proporzionato alla PMI”.

Non solo. Le condizioni contrattuali devono essere “eque, ragionevoli e non discriminatorie” e le PMI avranno il diritto di chiedere quanto meno una compartecipazione della capo-filiera ai costi per le verifiche di terza parte.

Questa breve analisi delle disposizioni della CSDD conferma sicuramente una pervasività della sua disciplina sull’organizzazione delle imprese.

Nonostante i tentativi di accompagnare le nuove misure con cautele ispirate a equità e solidarietà, la CSDD non supera del tutto i dubbi di chi teme che le imprese di minori dimensioni vengano sopraffatte dalle richieste contrattuali e di compliance delle imprese più grandi.

Se, inoltre, si inserisce la proposta di direttiva CSDD nell’ambito del più generale piano di azione normativo, di provvedimenti adottati o annunciati, tutti diretti ad introdurre obblighi per imprese e cittadini per l’obiettivo del contrasto al cambiamento climatico, si comprendono meglio le ragioni di preoccupazioni e il clima politico che ha portato quasi allo stop della approvazione del provvedimento.

Il rapporto tra la CSDD e la direttiva sulla rendicontazione (CSRD)

Va detto che, comunque, a prescindere all’approvazione della CSDD, non sarebbero mancati gli impatti delle politiche di sostenibilità dell’Unione Europea sulle imprese.

Infatti, proprio l’anno scorso è stata approvata definitivamente la CSRD, la direttiva che estende gli obblighi di rendicontazione delle grandi imprese sulle materie della sostenibilità.

La direttiva sulla rendicontazione può essere vista come il provvedimento gemello della CSDD.

Tuttavia, la strada della rendicontazione (ossia: spiegami e dammi conto di cosa stai facendo rispetto alla sostenibilità) appare decisamente più rispettosa dei tempi di maturazione delle imprese perché le lascia più libere nella definizione dei propri modelli organizzativi e di business.

Inoltre, secondo la CSRD, le informazioni di sostenibilità entrano nel bilancio se sono “doppiamente” materiali, ossia se sono rilevanti per comprendere non solo gli impatti che l’attività di impresa ha verso il contesto sociale e ambientale di riferimento ma anche l’effetto che le questioni sociali e ambientali abbiano sulle performance dell’impresa.

In altri termini, la direttiva sulla rendicontazione provoca le imprese a valutare la sostenibilità anche quale condizione per la redditività del capitale economico.

Conclusioni

Sostenibili perché conviene. È uno slogan, ma forse anche il principio che può aiutare a vincere le resistenze culturali.

È un percorso più lungo, ma che può evitare crisi di rigetto “politiche” come quella che abbiamo vissuto nelle scorse settimane.

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