Intelligenza artificiale

L’IA e il rischio di contenuti “senz’anima”: i problemi nel marketing



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L’intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, promette efficienza e produttività, ma solleva preoccupazioni di omogeneizzazione dei contenuti. Marketer e aziende devono bilanciare l’uso dell’IA con interventi manuali per mantenere l’autenticità e la qualità distintiva dei loro brand, evitando così narrazioni standardizzate e anonime

Pubblicato il 17 giu 2024

Alessio Pecoraro

coordinatore PAsocial Emilia-Romagna, marketing & communication manager



Digital,Contents,Concept.,Social,Networking,Service.,Streaming,Video.,Nft.,Non-fungible

Dopo la rapida diffusione e la facilità di accesso, anche agli utenti meno esperti, i sistemi di intelligenza artificiale generativa (AI) stanno migliorando velocemente. Ad esempio, ChatGPT, il chatbot basato su intelligenza artificiale e apprendimento automatico, sviluppato da OpenAI e specializzato nella conversazione con un utenti umani, ha recentemente dimostrato la sua capacità avanzata di eseguire compiti complessi e comportamenti simili a quelli umani.

Lo scorso 13 maggio, l’azienda con sede a San Francisco, durante l’OpenAI spring update ha annunciato un nuovo aggiornamento di ChatGPT, il suo prodotto di punta, che avrà nuove funzionalità per dialogare anche a voce con il chatbot e che potrà analizzare ciò che si ha intorno tramite la fotocamera dello smartphone.

La versione a pagamento inoltre avrà maggiori capacità di elaborazione delle informazioni, per ottenere risposte più velocemente.

Rischi e opportunità dell’IA nell’ambito dei contenuti

Tuttavia però sui contenuti generati dai sistemi di intelligenza artificiale generativa come ChatGPT, DALL-E 3 o MidJourney per citare i più conosciuti, c’è più di qualche preoccupazione. Soprattutto da parte dei marketer che lavorano per le aziende e i brand che temono l’omologazione come conseguenza della larga diffusione di questi sistemi.

L’adozione dell’intelligenza artificiale generativa promette un significativo aumento della produttività, un aspetto particolarmente apprezzato nel mondo corporate. Tuttavia, questa maggiore efficienza potrebbe compromettere la qualità dei contenuti, sacrificando lo stile e le peculiarità distintive di un’azienda, un brand o di un singolo individuo. I contenuti generati dall’IA rischiano, così, di essere meno personalizzati e meno in linea con le specifiche preferenze comunicative di quelli realizzati senza l’ausilio dell’IA.

Per ovviare a questo problema e allineare meglio i risultati dei sistemi di IA generativa alle caratteristiche uniche di ogni tipo di comunicazione, i team marketing e comunicazione delle aziende e dei loro brand dovranno dedicare più tempo e risorse a rivedere e modificare l’output generato. Questo processo implica costi aggiuntivi e può annullare i benefici di produttività inizialmente promessi dall’IA. In sostanza, il vantaggio dell’efficienza rischia di essere compromesso dalla necessità di interventi manuali per mantenere l’autenticità e la qualità dei contenuti.

L’effetto omogeneizzazione nel marketing

C’è, poi, l’effetto omogenizzazione. Quando gli utenti usano l’intelligenza artificiale per aiutarsi nella creazione dei contenuti, i risultati tendono ad essere più simili o “omogeneizzati” che se lo facessero senza l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Ampliando la scala, quando tutti utilizzano l’intelligenza artificiale, i risultati sono meno diversificati rispetto a quando si lavora individualmente. Inoltre, questo fenomeno può essere esasperato quando questi contenuti generati dall’intelligenza artificiale verranno utilizzati per addestrare la prossima generazione di intelligenza artificiale. Ciò è preoccupante, soprattutto perché gran parte dei dati utilizzati per addestrare strumenti come ChatGPT provengono direttamente da internet. Se il web venisse inondato di contenuti generati dall’intelligenza artificiale, potremmo ritrovarci in un mondo in cui tutto sembra simile.

Così diventa essenziale fornire un feedback continuo e specifico ai chatbot. In pratica dire a un chatbot AI che deve fare meglio quando fornisce uno o più risultati non all’altezza delle aspettative, richiedendo miglioramenti, altrimenti – senza questi feedback – il risultato più generale potrebbe essere un contenuto troppo generico e di qualità mediocre aggravando, anche, il problema dei pregiudizi.

Uno studio accademico condotto da tre ricercatori: Francisco Castro, Jin Gao, Sebastien Martin e pubblicato dalla UCLA Anderson Review, il centro studi della prestigiosa Università di Los Angeles, afferma che, se un discreto numero di persone quando un chatbot AI fornisce una risposta abbastanza buona ma non esattamente quella desiderata non gli chiederanno qualcosa di meglio i contenuti prodotti, come scrittura, immagini, video, codici di programmazione e altro ancora, potrebbero diventare sempre più omogeneizzati e distorti.

Un problema, quello dell’omogenizzazione, di non poco conto anche per il mondo del marketing e della comunicazione che fa – soprattutto a livello aziendale – degli elementi distintivi dell’azienda o dei brand ciò che la rendono competitiva sul mercato.

Mantenere l’autenticità nel mondo dell’IA

Sebbene dal punto di vista tecnologico i passi avanti, e relativi vantaggi, siano notevoli, non mancano quindi gli svantaggi. L’intelligenza artificiale ha la tendenza a favorire le tendenze prevalenti. Imparando e replicando prevalentemente stili ampiamente accettati e popolari, questi algoritmi spesso trascurano aspetti creativi e comunicativi meno tradizionali e non convenzionali, portando a un’omogeneizzazione dei risultati ottenuti.

Dal punto di vista dei prodotti le nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale generativa, quindi, spesso finiscono con il rafforzare i comportamenti dei consumatori esistenti anziché espanderli. Presentando continuamente prodotti e annunci basati su interazioni e preferenze passate, questi sistemi creano un ciclo di feedback che restringe l’ambito di esposizione a nuove scelte. Questo ciclo di auto-rafforzamento può portare a un’omogeneizzazione delle esperienze dei consumatori, dove l’esposizione a prodotti diversi è limitata e la scoperta di articoli nuovi, innovativi o di nicchia è ridotta.

L’intelligenza artificiale, però, ha radicalmente ampliato i confini della creazione artistica, venendo utilizzata per generare opere d’arte imparando da vasti database artistici, o per comporre musica analizzando modelli nei generi musicali popolari, ma i sistemi di intelligenza artificiale formati prevalentemente su dati mainstream non solo impoveriscono i nostri paesaggi culturali e intellettuali, ma diminuiscono anche il potenziale di idee e creazioni rivoluzionarie che spesso provengono dai margini piuttosto che dal mainstream.

L’IA e la diversificazione del panorama culturale

L’essenza della questione sta in questo paradosso: mentre l’intelligenza artificiale ha il potenziale per arricchire e diversificare il nostro panorama culturale, ci sta anche guidando verso un mondo più monolitico e meno diversificato.

Sam Altman, CEO di OpenAI, in una recente intervista ad Harvard sembra andare in direzione contraria: “Penso che il problema più grande sia semplicemente che gli Llm (large language models) non sono abbastanza bravi. Tipo GPT-4 rispetto a quello che spero avremo presto è incredibilmente stupido fa un sacco di errori sciocchi. Non può davvero ragionare”, ma si dice fiducioso sul futuro.

Da una ricerca condotta da Tgm Research per conto di NoPlagio, la piattaforma internazionale di prevenzione del plagio, è emerso che nelle scuole italiane, il 71% dei ragazzi dai 16 ai 18 anni usa l’IA per cercare informazioni il 60% per fare i compiti, il 33% per imparare, il 18% per rispondere ai test, il 21% la usa come assistente personale (per scrivere e-mail per esempio), il 13% per scrivere saggi.

Una fotografia della generazione alpha alla quale il marketing e la comunicazione guarda con attenzione e un dato che dimostra quanto l’allarme lanciato dalla giornalista del Wall Street Journal Jackie Snow che ha riportato diversi spunti dello studio “Human-AI Interactions and Societal Pitfalls” pubblicato dalla UCLA Anderson Review sia attuale.

L’esperto di marketing Tom Würzburg ha scritto che entro il 2025, il 75% di tutta la pubblicità sarà erogata e ottimizzata tramite l’intelligenza artificiale. Se le aziende e i loro brand non si differenzieranno “soup to nut”, dall’inizio alla fine, ovvero in ogni fase del processo di marketing, dalla scrittura del brief alla strategia, dalla pianificazione alla consegna, dalla sperimentazione alla misurazione e ottimizzazione, allora l’intelligenza artificiale finirà per rendere sempre più omogenei i prodotti finali.

Le strategie per evitare l’omogeneizzazione dei contenuti

In passato la differenziazione poteva essere applicata, unicamente, nella strategia, ma con i processi AI- automatizzati, ogni fase del processo deve ora garantire la differenziazione. In caso contrario ciò porterà all’omogeneità ed a minare il successo nei mercati.

Se tutto ciò che l’intelligenza artificiale generativa fornirà sarà un’“omogeneità efficiente” per le aziende e i loro brand, non si tratterà di un vero vantaggio. L’omogeneizzazione, pur in presenza di un reale efficientamento, rischia di appiattire le narrazioni delle aziende e dei loro brand.

In un mercato sempre più competitivo, dove i consumatori cercano autenticità e connessioni reali, un approccio standardizzato e privo di peculiarità potrebbe alienare il pubblico anziché attrarlo. La creatività e l’originalità sono fondamentali per costruire relazioni emotive e durature. Senza queste qualità, i contenuti rischiano di diventare anonimi e facilmente dimenticabili.

Conclusioni

L’approccio innovativo, delle aziende e dei loro brand, deve guardare oltre la semplice efficienza e investire nel miglioramento, continuo, delle interazioni uomo-IA. Gli uffici marketing e comunicazione devono dedicare risorse anche all’addestramento dei sistemi di IA generativa, solo così l’IA potrà essere uno strumento potente per amplificare la voce distintiva delle aziende e dei loro brand, anziché soffocarla in un mare di uniformità.

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