il velo di maya

Umanisti, stop ai pregiudizi sul lavoro: il digitale cambia tutto



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Contrapporre nel dibattito pubblico gli studi umanistici alle materie stem denota una visione dicotomica superficiale: la digitalizzazione, l’AI e la transizione green arricchiscono gli umanisti, portatori di competenze peculiari molto apprezzate sul mercato del lavoro. Terza puntata della rubrica Il velo di Maya

Pubblicato il 14 giu 2024

Nicoletta Pisanu

Giornalista professionista, redazione AgendaDigitale.eu



Il velo di Maya rubrica AgendaDigitale.eu
Il velo di Maya rubrica AgendaDigitale.eu

Gli studi umanistici soffrono l’impatto di pregiudizi annosi e feroci che nei secoli si sono sempre riproposti, per funestare anche noi nel presente. Non è una novità dell’era del digitale: per raccontarne una nel XIV secolo Boccaccio voleva fare il letterato, ma il padre cercò in ogni modo di spingerlo alla carriera di mercante che, invece, proprio non gli piaceva ma era più redditizia. Cogliere il sentiment sul tema in modo veloce captando tendenze e dibattiti sui social permette di farsi un’idea dello scenario: ci sono agguerrite fazioni online tra chi ritiene le humanities materie per sfaticati, poco svegli, al massimo benestanti o snob, e chi invece sostiene che servono competenze a tutto tondo, approcci diversi e pensieri critici per affrontare la complessità di oggi. Gli stereotipi dilaganti coinvolgono soprattutto il mercato del lavoro, e riguardano la presunta mancanza di spazio per letterati, filosofi, storici e linguisti.

Al fenomeno va riconosciuta una profondità che deve necessariamente essere analizzata evitando i luoghi comuni e le dicotomie per essere più compresa. I dati Almalaurea presentati il 13 giugno 2024 indicano che l’ambito di studio ha un impatto sulle possibilità di occupazione dei neolaureati e che i laureati in settori umanistici sono meno favoriti. Tuttavia, studi come The value of the Humanities dell’Università di Oxford rilevano come le skills dei laureati in discipline umanistiche siano le più richieste dai datori di lavoro. Gli studi inoltre indicano come la strada vincente è quella del superamento della dicotomia humanities-stem in favore di un approccio pervasivo: la digitalizzazione cambia anche le materie umanistiche e i professionisti a esse legate.

Umanisti e mercato del lavoro: cosa dicono i dati

La fresca sintesi dei dati Almalaurea riporta, tra le altre osservazioni, anche che “il percorso di studio concluso esercita un effetto sulle chance occupazionali dei neolaureati”. A parità di condizioni, secondo l’analisi risultano più favoriti nel trovare lavoro i laureati nelle materie legate all’informatica e all’ICT, nelle aree medico-sanitarie e farmaceutiche, così come i laureati in ingegneria industriale, civile e dell’informazione, i laureati in architettura. Risultano meno favoriti “i laureati dei gruppi disciplinari psicologico, giuridico, letterario-umanistico, così come arte e design”.

Del resto, risulta crescente la richiesta di professionisti in ambiti tecnici e il pernicioso problema italiano del gap tra domanda e offerta di specialisti sul mercato del lavoro imperversa ancora. Il contesto emerge dal report Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2024-2028) del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere – Anpal, che segnala appunto una importante carenza di offerta di professionisti negli ambiti stem, tuttavia il mismatch riguarda anche l’ambito insegnamento e formazione, quello economico-statistico, il medico-sanitario. Rivela lo studio che invece si prevede “un eccesso di offerta soprattutto per gli indirizzi dell’area umanistica, in particolare quello politico-sociale, psicologico e linguistico”.

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AI, digitale, green e soft skill per la rivincita delle humanities

I dati aiutano a inquadrare la situazione, ma bisogna portare il discorso su un piano più raffinato. È superficiale oggi pensare a silos: ingegneri privi di pensiero critico e umanisti che non sanno accendere un computer sono rappresentazioni anacronistiche e stereotipate di categorie di professionisti che, in realtà, possono e devono avere molto in comune per essere competitivi.

Il digitale unisce i mondi delle stem e delle humanities, cambiandoli e preparandoli ad affrontare i cambiamenti sociali, economici e lavorativi dell’attualità. Il report del sistema informativo Excelsior spiega infatti che “il lavoro del futuro sarà caratterizzato da una maggiore complessità, richiedendo competenze diversificate e in continuo aggiornamento”. Sarà importante, si legge nel rapporto, avere competenze trasversali, cioè affiancare a capacità tecniche anche skill di diverso ambito, come quelle cognitive e sociali. Competenze legate all’intelligenza artificiale, alla sostenibilità ambientale e alla transizione ecologica oltre che ovviamente competenze digitali, saranno la chiave giusta per i professionisti.

È evidente, partendo da questa analisi generale, che le digital humanities sono qualcosa con cui ogni umanista ora deve familiarizzare. Mohammed Saaida dell’università palestinese Al-Istiqlal in un paper afferma che per gli studiosi delle humanities è fondamentale adattarsi e adottare approcci e metodi nuovi, in quanto la tecnologia ridisegna le modalità di interazione, di percezione e analisi delle informazioni.

La ricerca umanistica, del resto, come emerge da altri studi è sempre più mediata dal digitale e abbraccia il tema da due punti di vista opposti ma uniti, come un Giano bifronte: usare il digitale per portare avanti gli studi tradizionalmente legati alle humanities, oppure servirsi dei valori umanistici per interrogare l’innovazione[1].

Perché ai datori di lavoro piacciono gli umanisti

Al di là delle competenze tecniche, che si possono sempre acquisire qualunque percorso di studi si sia affrontato, ci sono caratteristiche intrinseche negli umanisti alle quali è utile, per i datori di lavoro, dare importanza. In un articolo per Forbes del 10 novembre 2023, Marvin Krislov, presidente della Pace University, afferma che “quello che sentiamo sempre dire dai datori di lavoro è che la differenza tra un dipendente adeguato e uno eccellente non sta nelle competenze tecniche – i datori di lavoro credono sempre di poterle insegnare – ma nelle cosiddette soft skills che un’educazione classica alle arti liberali aiuta ad affinare”. Nel corso del suo intervento, Krislov spiega quali sono queste skill, dichiarando che gli studi umanistici aiutano le persone a essere collaborative e curiose, a pensare in modo critico, a comunicare con efficacia e a sviluppare capacità di problem solving. Qualità che, scrive, i datori di lavoro gradiscono.

Più nel dettaglio, l’Università di Oxford con lo studio “The value of the humanities”, che vede come principale autore James Robson del Centre for skills, knowledge and organisational performance (Skope) dell’ateneo britannico rileva che gli studi umanistici supportano lo sviluppo di capacità di resilienza e adattabilità, che fanno di chi ha una formazione umanistica qualcuno in grado di affrontare il cambiamento, sia esso dovuto all’introduzione di una tecnologia come l’AI o una crisi finanziaria mondiale o scossoni del mercato del lavoro.

Secondo lo studio, gli aspetti più interessanti emersi durante la ricerca sono:

  • I laureati in humanities hanno sviluppato qualità come la flessibilità, la resilienza e l’adattamento a “mercati del lavoro impegnativi e mutevoli”,
  • Gli studi umanistici offrono numerosi sbocchi di carriera, come l’ambito economico o quello legale, ma la ricerca rileva un aumento di umanisti, soprattutto donne, entrate nel settore Ict,
  • I datori di lavoro apprezzano qualità che si sviluppano in un percorso di studi umanistico, come la capacità di comunicare, essere creativi e saper fare lavoro di squadra. Un pensiero che coincide con quanto espresso nell’articolo di Forbes. Gli studiosi di Oxford spiegano nel dettaglio che sono particolarmente graditi la capacità di pensiero critico e strategico, il dono di sintetizzare e di semplificare informazioni molto complesse, problem solving creativo, maggiore empatia,
  • Gli umanisti traggono benefici durante la loro carriera dall’apprendimento in un campo specifico,
  • Le materie umanistiche supportano i laureati nel dare “un contributo più ampio alla società”, si legge nello studio,
  • Lo studio delle materie umanistiche ha la conseguenza di trasformare le persone e le loro vite. I laureati in questi ambiti coinvolti nello studio hanno indicato più alti livelli di soddisfazione sul lavoro. Interessante notare, si legge nello studio, che la motivazione principale che li ha spinti a intraprendere un percorso umanistico non era economica. Tuttavia, sono emersi nella ricerca compensi superiori alla media nazionale Uk, con picchi riguardanti i laureati in storia e lingue moderne.

Studi umanistici, l’impatto delle dinamiche sociali e di mercato

È importante però analizzare l’influenza di dinamiche sociali e di mercato sull’istruzione superiore, sulla ricerca e l’offerta in campo umanistico. Prendendola alla larga, per descrivere il contesto sociale della nostra quotidianità Zygmunt Bauman spiega[2] che in una società di consumatori, non si può diventare soggetto se prima non ci si tramuta in merce. In questo contesto, nessuno può mantenere al sicuro la propria soggettività senza risuscitare e reintegrare costantemente “le capacità che vengono attribuite e richieste a una merce vendibile”.

È interessante allargare questa visione della società attuale includendo i percorsi accademici. Bauman in un’intervista rilasciata ad Agostino Portera dell’Università di Verona per la rivista Intercultural Education, pubblicata nel 2018 e dunque dopo la morte del sociologo, spiegava che nella sua visione gli istituti scolastici e gli atenei erano forzati alle dinamiche di domanda e offerta del mercato e non a coltivare il miglioramento personale, puntando a plasmare gli studenti in base a “prodotti formativi che sono attrattivi sul piano del business”, esponendo in questo modo gli studenti alle variazioni del mercato.

Per Bauman, come prosegue nell’intervista, è essenziale che l’istruzione smetta di essere ausiliaria del mercato ed entri nel campo delle politiche sociali, “dove le decisioni e le scelte politiche sono prese in funzione del tipo di mondo nel quale gli Sta­ti e le loro popolazioni voglio­no essere portati; laddove Stati nazionali e le loro popolazioni sono accompagnati e guidati nella scelta di valori da promuovere che aiutano a prendere tali decisioni”, racconta a Portera[3].

Le dinamiche coinvolte tuttavia sono numerose. In un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature nell’aprile 2019, Rosário Couto Costa del Centro di ricerca e studi in Sociologia dell’Instituto universitario di Lisbona, da un lato si assiste a “una contrazione delle risorse all’interno dei dipartimenti accademici di discipline umanistiche”, dall’altro si nota “una chiara riduzione della rappresentanza relativa dei laureati in discipline umanistiche che entrano nel mercato del lavoro”. Due fenomeni che esprimono, secondo l’autrice, una minore influenza delle discipline umanistiche sulla società, forse dovuta a “una crescente incomprensione della loro utilità”.

Costa ritiene che tra le cause ci sia una relazione di potere dominata da una visione dei governanti orientata eccessivamente all’economia: “Attraverso questa lente, il campo può essere pretenziosamente visto come un lusso, come economicamente irrilevante, o addirittura come inutile – peggio ancora, come un ostacolo all’accesso al mercato del lavoro”, conclude la studiosa portoghese.

Sono dinamiche che, secondo la ricercatrice, portano a privilegiare altre aree di competenza nello stanziamento di risorse rispetto alle discipline umanistiche, in quanto in tale scenario rendono complesso per gli accademici che si occupano di Humanities sostenere la rilevanza dei loro campi. Per il futuro, secondo Costa, ci si può augurare che la società sia “zelante e proattiva nel proteggere una ricca diversità di conoscenze dall’instaurazione e dal dominio delle gerarchie politiche”[4].

Note

  1. Zhang, Z., Song, W. & Liu, P. Making and interpreting: digital humanities as embodied action. Humanit Soc Sci Commun 11, 13 (2024)
  2. Z. Bauman, “Consumo, dunque sono”, Laterza 2010
  3. Agostino Portera,Zygmunt Bauman e il bisogno di educazione interculturale” Educazione Interculturale 16(1)
  4. Costa, R.C. The place of the humanities in today’s knowledge society. Palgrave Commun 5, 38 (2019).

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