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Smart working nella PA: come farne una leva di vero cambiamento



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Le organizzazioni devono ridefinire i modi di lavorare in un contesto instabile e incerto. Lo smart working si consolida, ma con differenze tra settore pubblico e privato. L’adozione nelle PA richiede azioni di accompagnamento e misurazione degli impatti. Migliorare il benessere e l’attrattività è cruciale per affrontare le sfide future

Pubblicato il 28 giu 2024

Mariano Corso

Responsabile Scientifico Tavolo di Lavoro Smart Working nella PA del Politecnico di Milano

Fiorella Crespi

Direttrice Tavolo di Lavoro Smart Working nella PA del Politecnico di Milano



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Venuta meno la spinta emergenziale, le organizzazioni si trovano oggi a dover definire i nuovi modi di lavorare, ritrovandosi così a disegnare il futuro del lavoro. Questa scelta non avviene in un contesto di nuova normalità arricchito dalle straordinarie occasioni di apprendimento degli ultimi tre anni, bensì in uno scenario di crisi, caratterizzato da instabilità e incertezza, con tensioni sempre più forti sul mercato del lavoro.

Le crescenti richieste di flessibilità da parte delle persone, il disagio per l’aumento dei costi della vita e l’ansia verso il futuro innescata da scenari economici e geopolitici sempre più imprevedibili, si scontrano con la difficoltà nel dare risposte efficaci da parte delle organizzazioni. Queste devono, a loro volta, ritrovare struttura e identità affrontando con urgenza il tema della sostenibilità, non solo economica, ma anche sociale e ambientale.

La diffusione delle pratiche di smart working nella PA

Contrariamente a quanto letto in molti media, che hanno impropriamente parlato di un ritorno al passato o di un arretramento dello Smart Working, gli ultimi dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano descrivono un fenomeno in sostanziale consolidamento.

Sono circa 3,58 milioni i lavoratori da remoto di cui circa la metà di questi lavorano in grandi aziende private (con oltre 250 addetti). I lavoratori delle PA sono invece circa 515.000, pari al 16% dei lavoratori del settore pubblico. Se i lavoratori delle grandi aziende che praticano lavoro da remoto sono in leggera crescita rispetto all’anno precedente, nel settore pubblico tale numero si è ridotto del 9,6%.

Nel novero dei lavoratori da remoto per il settore pubblico sono inclusi sia coloro che possono effettuare il lavoro a distanza, ovvero sia i lavoratori agili (che non hanno vincoli in termini di orario e luogo di lavoro) sia i lavoratori da remoto che possono lavorare dalla loro abitazione o da spazi di coworking e per i quali rimangono i vincoli di orario.

Concentrandosi sul settore pubblico e analizzando la diffusione dei modelli di Smart Working tra le PA, i dati evidenziano una leggera crescita: quelle che hanno introdotto o stanno introducendo modelli di Smart Working sono il 61%, in rialzo rispetto al 57% registrato un anno fa.

Lo smart working nelle varie tipologie di ente pubblico

Analizzando la diffusione dello Smart Working in base alla tipologia di ente pubblico emerge che nelle PA Centrali vi è sia una media più elevata di giornate lavorate da remoto (circa 9 al mese) sia una più ampia platea di lavoratori coinvolti (quasi il 70% della forza lavoro). Meno estesi risultano – mediamente – i modelli di lavoro agile introdotti dalle università e dalle regioni e, infine, nei comuni dove solo il 58% dichiara di adottare progettualità di questo tipo e mediamente solo il 10% delle persone può lavorare da remoto, possibilità che spesso non viene sfruttata.

La bassa diffusione dipende da diversi aspetti: l’elevata eterogeneità dei profili di lavorativi impiegati, molti dei quali svolgono spesso attività essenziali per la cittadinanza che sono difficilmente remotizzabili (es. polizia locale, insegnanti di scuole dell’infanzia, …) e un aspetto di tipo culturale, ancorato a una logica di lavoro in presenza. Questi due aspetti fanno sì che nei comuni, soprattutto in quelli di più piccole dimensioni, vi sia un disallineamento tra presenza di iniziative di Smart Working e assenza di personale che effettivamente lo utilizza.

L’importanza di azioni di accompagnamento nello Smart Working

Lo smart working, per essere valorizzato come strumento di innovazione per ridisegnare la relazione tra lavoratori e organizzazione rendendola più moderna e adeguata alle sfide attuali e dei prossimi anni, richiede lo sviluppo di efficaci azioni di accompagnamento.

Tali azioni devono riguardare i diversi aspetti che impattano il modo di lavorare: dalla capacità di saper lavorare per obiettivi, all’utilizzo più consapevole degli strumenti digitali, al saper definire all’interno dei gruppi di lavoro come organizzare l’interazione in un contesto ibrido e come valorizzare la presenza negli spazi aziendali.

Ad oggi sono poche le realtà che, nel contesto pubblico, sviluppano tali iniziative e questo può in parte pregiudicare il successo dell’applicazione dello Smart Working.

Misurazione degli impatti dello smart working

Un altro aspetto fondamentale per contribuire ad una corretta visione del fenomeno è la misura degli impatti che lo Smart Working ha su persone e performance dell’ente. Anche in questo caso, solo 1 PA su 3 che ha iniziative ne sta misurando, o intende farlo nel prossimo futuro, tali impatti.

Pur in assenza di misurazioni oggettive, oltre la metà dei referenti pubblici che si occupano di gestire le iniziative di Smart Working si dichiarano soddisfatti sia del livello di gradimento tra le persone dell’ente sia della loro capacità di organizzare le giornate di lavoro da remoto tenendo in considerazione sia le esigenze personali sia quelle organizzative.

Sono meno i referenti che si dicono soddisfatti dell’impatto dello Smart Working sulla sostenibilità ambientale o sulla riduzione dei costi di gestione degli spazi fisici. In particolare, quest’ultimo aspetto è spiegabile con il limitato ricorso, da parte delle PA, ad iniziative di ripensamento degli spazi fisici di lavoro.

Comprendere il possibile impatto dello Smart Working sulla sostenibilità, ambientale ma anche sociale, saperlo orientare e misurare è fondamentale per le PA non solo perché tale risultato ha degli effetti sui cittadini ma anche perché l’impatto su queste dimensioni è uno degli elementi maggiormente attrattivi per i lavoratori che lavorano in questo settore, più che per coloro che lavorano nel privato.

Il punto di vista dei lavoratori pubblici sullo smart working

Come stanno i lavoratori pubblici? Per poter rispondere a questa domanda vanno considerate diverse dimensioni che descrivono la sfera lavorativa e che connotano il lavoro “buono e sostenibile”, tali voci sono state misurate in una recente ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice sui lavoratori.

  • Percezione di giusto riconoscimento del proprio lavoro da parte dell’organizzazione: solo il 14% (rispetto al 16% del campione totale) è soddisfatto rispetto a questa dimensione. E sono le donne a sentirsi più svantaggiate.
  • Benessere lavorativo che include il benessere fisico, psicologico e relazionale associabili al contesto lavorativo. Solo il 9% dei lavoratori pubblici dichiara di stare bene su queste dimensioni e a stare peggio sono i più senior (baby boomer e generazione X).
  • Rispetto a flessibilità e work-life balance il 19% dei lavoratori pubblici si sente soddisfatto, dato sostanzialmente in linea con il campione complessivo, ad essere più insoddisfatti su questa dimensione sono i Millennials, se guardiamo il profilo anagrafico, e le donne.
  • Inclusione e valorizzazione, solo il 14% (rispetto al 16% del campione totale) dei lavoratori pubblici si sente pienamente incluso e valorizzato nel contesto organizzativo. Sono i più giovani (generazione Z e Millennials) a sentirsi maggiormente discriminati.
  • Sviluppo e employability, il 28% dei lavoratori pubblici sente che le proprie competenze vengono adeguatamente aggiornate e garantiscono loro un’impiegabilità nel medio periodo.

Leggendo tali dati è immediatamente evidente come lo Smart Working può contribuire a migliorare alcuni di queste dimensioni, come il benessere e la flessibilità e il work-life balance. Non bisogna dimenticare però che per far sì che lo Smart Working abbia un impatto positivo non ci si deve limitare all’implementazione del lavoro da remoto ma occorre che a questo si accompagni l’introduzione di una logica di lavoro per obiettivi e anche altre forme di flessibilità, come quella oraria.

Per passare ad un lavoro che non solo sia sostenibile, ma che permetta alle persone di sentirsi valorizzate appieno, occorre considerare anche altre tre dimensioni: l’engagement, il legame affettivo con l’organizzazione e la job satisfaction (che riguarda la natura del proprio lavoro, le opportunità di crescita e la condizione lavorativa nel suo complesso). Se si considerano questi 3 aspetti si riescono a identificare coloro che possono definirsi felici al lavoro. Nel settore pubblico sono il 6%, rispetto al 9% del campione complessivo.

Anche queste dimensioni sono correlate con le modalità di organizzazione del lavoro. Dalle analisi dell’Osservatorio Smart Working emerge che gli smart worker hanno un più elevato livello di engagement rispetto agli on-site worker (i lavoratori che non hanno alcuna flessibilità) e rispetto ai remote- non smart (i lavoratori che hanno flessibilità di luogo ma non oraria né che lavorano per obiettivi). Allo stesso modo sono gli smart worker i profili di lavoratori che in misura maggiore dichiarano un legame più forte con la propria organizzazione: il 40% rispetto al 33% degli on-site worker e il 29% dei remote non smart.

Lo smart working come leva di attraction e retention

Tra il 2024 e il 2028 la PA dovrà procedere alla sostituzione di circa 682mila dipendenti pubblici pari a una media di oltre 135mila all’anno. Questa necessità, unita all’espansione occupazionale prevista, genererà un fabbisogno complessivo di 742mila unità, di cui quasi il 92% sarà necessario per turnover. Si pone quindi, per la PA così come per il settore privato, un tema di attrattività.

A questo aspetto si aggiunge la necessità di trattenere i lavoratori. Da quanto emerso da una recente rilevazione dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano su oltre 1.500 lavoratori italiani, il fenomeno delle dimissioni volontarie, seppur meno sentito rispetto al settore privato, in cui il 41% dei lavoratori ha cambiato o intende cambiare lavoro, riguarda comunque il 30% dei lavoratori pubblici. L’8% ha cambiato negli ultimi 12 mesi, in alcuni casi senza avere una alternativa, e la restante parte è costituita da intenders ovvero coloro che hanno intenzione di farlo entro i prossimi 18 mesi.

Tra le principali motivazioni che spongono le persone a voler cambiare lavoro vi è la ricerca di un miglior benessere fisico e mentale e anche in questo, i lavoratori pubblici sono allineati con i lavoratori del settore privato.

Il ruolo dei manager nella diffusione dello Smart Working

A giocare un ruolo importante nell’adozione dello Smart Working nel settore pubblico, sono le già citate azioni di accompagnamento che devono riguardare innanzitutto i manager. In un contesto come quello della PA dove sono presenti dei vincoli (come la necessità di garantire la prevalenza del lavoro in sede) e vi è una rigida tassonomia dello Smart Working (come si evince dalla distinzione delle diverse forme di lavoro a distanza), il ruolo dei capi diventa ancora più strategico per favorire la diffusione di un nuovo modo di lavorare che porta vantaggi per persone e organizzazioni.

Proprio per questo è fondamentale curarne la formazione, aiutandoli a reinterpretare il loro modo di essere leader e permettendo loro di acquisire nuove competenze soft che li aiutino a migliorare la gestione di team che lavorano in modalità ibrida.

Smart Working: un’opportunità per la PA

Considerando la relazione e l’impatto che un corretto Smart Working può avere sul benessere e sulle altre dimensioni che riguardano il legame tra persona e lavoro e organizzazione, emerge come per le organizzazioni in generale, ma per le PA in particolare sia fondamentale, “sfruttare” appieno questa opportunità per rinnovarsi, migliorare le proprie prestazioni e accrescere la propria competitività nel mercato del lavoro dei prossimi anni.

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