Julian Assange è libero, ma questa libertà tanto attesa è una notizia agrodolce perché condita da un’ammissione di colpevolezza e da dodici anni di tormenti. Bisogna tornare alle origini dell’accaduto e levare dai fatti la patina di eroicità che ricopre il protagonista per capire come questa intera vicenda sia una macelleria di diritti.
Uno scenario che porta ad allargare lo sguardo alla situazione della libertà della stampa in tutto il mondo e in cui il digitale e la tecnologia, utilizzati per diffondere informazioni al pubblico, diventano megafono della conoscenza ma anche armi del delitto.
Assange libero, perché gioire ma anche preoccuparsi
Come fa notare Julian Borger su The Guardian, da una parte i procuratori statunitensi ritenevano che Assange non fosse un giornalista ma un attivista e hacker, mentre i sostenitori affermano non sia importante se sia o no un giornalista, in quanto l’attività per cui è stato incriminato, cioè l’aver ottenuto e diffuso informazioni classificate, è materia di cui si occupano per lavoro i giornalisti che seguono la sicurezza nazionale. I giornalisti di tutto il mondo si sono mobilitati per Assange, l’italiana Fnsi, il sindacato della categoria, lo ha iscritto, così come hanno fatto altre sigle in tutta Europa. E, nel 2022, è diventato di fatto giornalista in Italia: l’Ordine dei giornalisti lo ha iscritto ad honorem.
Ricordando i fatti che vedono coinvolto Assange, le accuse erano relativi alle informazioni che WikiLeaks, no profit di cui Assange è ceo, aveva pubblicato riguardo alle campagne militari in Iraq e Afghanistan del 2010 e che trattavano anche di presunte violazioni dei diritti umani. Documenti e informazioni che erano stati procurati da Chelsea Manning, analista dei servizi segreti dell’esercito. È chiaro come la conclusione della vicenda porti a chiedersi quali scenari apra il patteggiamento, non tanto per Assange quanto per i giornalisti in tutto il mondo.
Gli impatti sulla libertà di informazione
Trevor Timm, executive director della Freedom of the Press Foundation, ancora su The Guardian ieri scriveva che è difficile “non essere scossi dall’accusa che il dipartimento di giustizia statunitense ha costretto Assange a dichiarare per ottenere la sua libertà: una cospirazione per violare l’Espionage Act, che secondo la legge equivale a ricevere e ottenere documenti segreti e comunicarli intenzionalmente a persone non autorizzate a riceverli (nel caso di Assange, ciò significa il pubblico). Si tratta di un crimine che i giornalisti dei principali organi di stampa di tutti gli Stati Uniti commettono praticamente ogni giorno”. Timm sottolinea che anche se il caso difficilmente sarà citato come precedente, in quanto concluso come un patteggiamento, non significa “che questa dichiarazione di colpevolezza non incoraggerà i futuri procuratori federali con un’ascia di guerra contro la stampa”.
E al di là dell’ambito giudiziario, le conseguenze potrebbero esserci anche nelle redazioni. Secondo l’avvocato esperto di privacy Massimo Borgobello, “potrebbero esserci impatti alla luce di questo patteggiamento. Lo scenario è vario: c’è chi pensa che il caso di Assange possa fomentare altri soggetti a compiere azioni simili, ma anche chi ritiene che vedendo le conseguenze del suo agire si trattenga dal fare inchieste”. Dunque, conseguenze tutt’altro che secondarie sul piano della libertà di informazione.
Politica, libertà di stampa e tecnologia
Una libertà che, nel mondo, è sempre più minacciata come rilevano i dati del 2024 World press freedom index di Reporters without borders. Tra i cinque indicatori usati dai ricercatori per stilare la classifica della libertà di Stampa nei vari Paesi del mondo, quello che ha subito il calo più importante è l’indicatore politico: meno 7,6 punti in media a livello globale.
Questo dato è interessante perché, nel contesto del rapporto, sottolinea come la libertà di stampa nel mondo sia “minacciata proprio da coloro che dovrebbero esserne i garanti: le autorità politiche”, si legge sul sito dell’associazione. Il rapporto con la politica si manifesta in diversi modi, come un minore supporto e rispetto dell’autonomia dei media, ingerenze e pressioni, azioni come il controllo dei social network, ma anche minacce e insulti ai giornalisti. Non manca mai, inoltre, la censura, presente in molti Paesi del mondo.
Deepfake e giornalismo: il caso Todova
In questo contesto, il report segnala anche come in assenza di una regolamentazione specifica l’intelligenza artificiale possa essere utilizzata come mezzo di attacco alla libertà di stampa e, in particolare, come strumento per influenzare le elezioni politiche. È il caso di quanto accaduto alla giornalista Monika Todova durante le elezioni parlamentari in Slovacchia nel settembre 2023.
Si tratta, spiega Reporters without borders, di uno dei primi casi documentati di attacco tramite deepfake a una giornalista, con l’obiettivo di influenzare l’andamento delle elezioni. Due giorni prima che si aprissero le urne era circolato un audio, che poi è emerso era falso, della giornalista che con un leader politico organizzava una frode elettorale. L’accaduto aveva portato a un’ondata d’odio nei confronti della giornalista.