macchine vs studenti

Riforma del curriculum scolastico: insegnare ad apprendere o a essere?



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Il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Validatara ha istituito una commissione di esperti per rivedere le indicazioni nazionali del sistema scolastico. Un’occasione per riflettere su come l’accumulazione di conoscenze, adatta alle macchine, si discosti dal processo umano di diventare, che implica una trasformazione personale profonda

Pubblicato il 15 lug 2024

Vittorio Midoro

già dirigente di ricerca CNR presso l'Istituto Tecnologie Didattiche



scuola school digitale

Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Validatara ha nominato una commissione di “esperti di comprovata qualificazione scientifica e professionale” per elaborare proposte “volte alla revisione delle indicazioni nazionali e delle linee guida relative al primo e al secondo ciclo di istruzione”, cioè di tutto il percorso scolastico.

Il tema assegnato alla commissione è quindi quello di avanzare proposte per revisionare i contenuti della nostra scuola, cioè di quello (contenuti e competenze) che gli studenti devono apprendere. A questo proposito propongo una riflessione sul significato di apprendimento e su come questo influenzi la struttura dei curricola scolastici.

Il significato di “apprendimento” nel contesto educativo moderno

Secondo me, il termine “apprendimento” si adatta più alle macchine e all’intelligenza artificiale che agli esseri umani. L’etimologia del verbo apprendere, infatti, richiama l’idea di prendere, afferrare, impossessarsi (ad è intensiva e prehendere vuol dire appunto queste cose), quindi apprendere vuol dire letteralmente prendere qualcosa dal di fuori (un concetto, una nozione, un’abilità, una competenza) e portarsela dentro. Anche imparare (in parare) evoca l’idea di procacciarsi con operazione di mente cognizione nuova di checchessia. Apprendere e imparare condividono, dunque, una concezione della conoscenza costituita da concetti o abilità che si possono avere e l’apprendere è visto come l’atto del procurarseli prendendoli dall’ambiente esterno con operazione di mente.

La metafora che descrive l’apprendimento è, quindi, quella di un trasferimento e immagazzinamento nel nostro cervello di entità esterne reali esistenti in un qualche ambiente. Lo studio sui libri di testo e le lezioni sono visti come processi di trasferimento dall’esterno all’interno dell’individuo di oggetti concettuali come nozioni, competenze, ecc.  

Critiche alla modalità tradizionale dell’apprendimento

La tradizione anglosassone degli standard di apprendimento, come anche i curricula scolastici nostrani, incarnano questa metafora, prestabilendo nozioni, conoscenze e competenze che devono essere acquisite dagli studenti. La verifica “oggettiva” del raggiungimento di questi standard è la misura di ciò che è stato acquisito.

Nella dicotomia tra avere e essere teorizzata da Erich Fromm, l’idea di prendere qualcosa e mettersela dentro appartiene alla modalità esistenziale dell’avere,

Studenti che facciano propria la modalità esistenziale dell’avere, assisteranno a una lezione udendo le parole dell’insegnante, afferrandone la struttura logica e il significato e facendo del loro meglio per trascrivere ognuna delle parole stesse nel loro quaderno d’appunti, in modo da poter poi mandare a memoria le annotazioni e quindi superare la prova di un esame. Ma il contenuto non diviene parte del loro personale sistema di pensiero, arricchendolo e dilatandolo; al contrario, essi trasformano le parole che odono in agglomerati di idee cristallizzate oppure in complesse teorie che comunque immagazzinano passivamente.

H. von Foerster indica chiaramente qual è la critica sostanziale al modo di concepire l’educazione nella modalità dell’avere:

Considerate il modo in cui è costruito il nostro sistema educativo. Lo studente entra a scuola come una “macchina non banale” imprevedibile. Non sappiamo che risposta darà a una domanda. Comunque se egli vuole avere successo in questo sistema, le risposte alle nostre domande devono essere note.

I test sono strumenti per stabilire la misura di banalizzazione. Un voto perfetto nel test è indicativo di una perfetta banalizzazione: lo studente è completamente prevedibile e così può essere ammesso nella società. Non causerà sorprese, non darà fastidio.

L’impatto delle teorie costruttiviste sull’educazione contemporanea

Contro questo modo di intendere i processi di sviluppo dell’essere umano i costruttivisti proposero l’idea che il sapere non è un dato oggettivo al di fuori dell’individuo, ma va costruito tramite l’interazione con l’ambiente sociale. Ma al di là delle teorie, è da notare il processo di apprendimento delle macchine (machine learning e deep learning) è proprio quello auspicato per gli individui dai curricula scolastici: un trasferimento di conoscenze a partire da documenti che codificano il sapere.

Apprendimento umano vs apprendimento delle macchine: una distinzione cruciale

Infatti, se consideriamo come le chatbot (ChatGPT, Gemini…) sono addestrate, è calzante la metafora dell’apprendimento come processo di acquisizione dall’esterno di qualcosa di oggettivo (un’enorme quantità di dati sotto forma di testi, immagini video e audio). Durante l’addestramento, infatti, opportuni algoritmi ottimizzano i pesi delle connessioni tra i circuiti, che simulano i neuroni, per adattarsi ai dati di input e produrre output accurati.

Una volta addestrate, le reti neurali possono essere utilizzate per prendere decisioni o fare previsioni tramite un processo di inferenza. L’input viene fornito alla rete neurale, che lo elabora attraverso i suoi strati di algoritmi che simulano neuroni interconnessi.

Durante questa elaborazione, la rete neurale utilizza le informazioni apprese durante l’addestramento per inferire l’output corrispondente. Di conseguenza, l’elaborazione all’interno di una rete neurale addestrata può essere vista come un processo inferenziale che non implica comprensione. Non per caso le chatbot rispondono correttamente ai test che mirano a misurare l’acquisizione degli standard da parte degli studenti. È da notare che, una volta, per descrivere il cervello, i cognitivisti utilizzavano un’analogia con il computer, mentre, oggi, sono alcune tipologie di algoritmi ad essere descritte in analogia con il cervello.

Dunque, le macchine possono apprendere dai dati e rispondere correttamente anche senza comprendere ciò che hanno appreso, mentre per gli esseri umani le cose stanno diversamente.

Come il concetto di “essere” potrebbe trasformare l’educazione

L’interazione con il mondo esterno modifica l’individuo e questa modifica non consiste in un accumulo di conoscenze e competenze, ma in un cambiamento del suo sistema nervoso, del suo apparato muscolare, insomma, del suo corpo e del suo essere. Così, non imparo a leggere, ma divento un lettore. Non apprendo gli scacchi, ma divento uno scacchista. Non imparo la matematica o la fisica, ma divento un matematico o un fisico. Non apprendo a suonare il piano, ma divento un pianista. E tutto ciò con un grado di abilità che dipende dalle qualità personali e dal tempo impiegato interagendo con un particolare ambiente, che per un prelettore emergente può essere un lettore esperto e gli scritti, per uno scacchista il gioco degli scacchi e altri scacchisti esperti, per un matematico, un matematico esperto e il mondo della matematica. Insomma si diventa qualcuno in un certo campo interagendo con la comunità che ha come impresa comune lo sviluppo di quel campo. Così Fromm descrive questa modalità di sviluppo dell’individuo in accordo con la categoria dell’”essere”:

Il processo è di tutt’altro tipo per quegli studenti che fanno propria la modalità di rapporto con il mondo incentrata sull’essere. Tanto per cominciare, costoro non andranno alle lezioni, neppure alla prima, di un corso, a guisa di “tabulae rasae”; hanno riflettuto già in precedenza sulle problematiche che le lezioni affronteranno, e custodiscono nella mente un certo numero di domande e problemi personali. Si sono occupati della materia, e questa li interessa. Anziché essere passivi recipienti di parole e idee, ascoltano, “odono” e, cosa della massima importanza, “ricevono” e “rispondono” in maniera attiva, produttiva. Ciò che ascoltano, stimola gli autonomi processi di elaborazione mentale, provocando in loro il sorgere di nuove domande, di nuove idee, di nuove prospettive. Il loro ascoltare è un processo vitale. Prestano orecchio con interesse, odono davvero quel che l’insegnante dice, spontaneamente si rivitalizzano in risposta a ciò che ascoltano. Non acquisiscono semplicemente conoscenze, un bagaglio da portarsi a casa e mandare a mente. Ognuno di loro è stato coinvolto ed è mutato: ognuno dopo la lezione è diverso da come era prima

È da notare che il termine l’inglese “to learn”, che traduciamo con apprendere, condivide l’etimologia con “to list” e con l’inglese antico læst “pianta del piede e anche con il tedesco Gleis “traccia”. L’interazione di un individuo con un ambiente lascia una traccia sul suo stato. I processi di cambiamento dell’individuo sono così meglio descritti dall’idea del diventare qualcuno che da quella dell’apprendere qualcosa. In altri termini, è più rispondente alla realtà pensare a questi processi come modifiche dell’individuo e del suo essere, più che come acquisizione di cognizione nuova, accumulo di conoscenze e abilità.

Prospettive future: verso un approccio educativo più integrato e personale

Questioni di lana caprina? Non proprio se pensiamo a come definire un curricolo per un corso di studi e a come individuare le attività degli studenti. Finora, ciò è stato fatto secondo la modalità dell’avere, definendo conoscenze e competenze da apprendere, mentre secondo la modalità dell’essere bisognerebbe descrivere ciò che sarebbe auspicabile i ragazzi diventassero, in accordo con il loro modo di essere.

Dubito che la su citata adotterà questo approccio.

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