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Clima, è sfida “green” tra Amazon e Google: le big tech alla prova della sostenibilità



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La sfida tra Amazon e Google si estende al campo della sostenibilità ambientale. Mentre Amazon accelera verso l’energia pulita, Google affronta il consumo energetico dell’IA generativa. Entrambi i colossi adottano strategie diverse, evidenziando che l’efficacia delle azioni climatiche è più importante della velocità di esecuzione

Pubblicato il 25 lug 2024

Luigi Mischitelli

Legal & Data Protection Specialist at Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza



Transizione 5.0
Transizione 5.0

La ultradecennale competizione tra i due colossi tecnologici americani Amazon e Google non si misura unicamente a quantità di “profitti e clientela”, bensì anche con sistemi che potremmo definire “ecosostenibili”.

Com’è risaputo, produrre e utilizzare hardware e software comporta una certa “spesa ambientale” che mal si concilia con la sensibilità dei tempi che corrono. Basti pensare a quanto consuma (e inquina) l’Intelligenza Artificiale “generativa” per far storcere il naso anche a chi non è un aficionado del mondo green[1]. Indi per cui, i due sopra citati colossi statunitensi del settore tecnologico stanno avviando una nuova competizione che si svolge sul terreno di gioco più verde che c’è, ossia quello ambientale.

Amazon e l’energia pulita: un traguardo anticipato

La settimana scorsa, Amazon ha “bruciato” la sua stessa timeline raggiungendo l’approvvigionamento energetico pulito sufficiene a coprire il fabbisogno di tutti gli uffici, i data center (risaputi energivori), i negozi di alimentari e i magazzini delle sue attività su scala globale con ben sette anni di anticipo rispetto alla sua tabella di marcia[2].

Questa clamorosa notizia ha seguito di poco il riconoscimento da parte di Google che l’impennata del fabbisogno energetico delle sue operazioni di nel campo dell’Intelligenza Artificiale ha contribuito ad aumentare le sue emissioni aziendali del 13% lo scorso anno, sancendo una decisiva marcia indietro rispetto alle precedenti affermazioni di “carbon free” di pari passo con i suoi obiettivi di fine decennio[3].

La strategia di Google: investimenti e cambi di rotta nel settore climatico

Messa così, si potrebbe pensare che Google stia “arrancando” mentre Amazon stia staccando il pesante avversario californiano nella corsa per “ripulire l’inquinamento climatico nei propri confini”. Nella pratica, infatti, l’approccio di Google alla riduzione delle emissioni di gas serra è probabilmente più difendibile. Infatti, c’è un crescente consenso sul fatto che il modo in cui un’azienda di tali dimensioni arriva a zero emissioni è più importante della velocità con cui lo fa. Sta emergendo una nuova scuola di pensiero che va oltre il modello di azione climatica aziendale a zero, sostenendo che le aziende dovrebbero concentrarsi sul raggiungimento di impatti climatici più ampi piuttosto che cercare di bilanciare ogni tonnellata di anidride carbonica emessa.

I costi e le complessità dei piani a zero emissioni

Il problema principale per le Big Tech riguarda i costi e la complessità nell’attuare piani a zero emissioni, i quali richiedono spesso di tagliare ogni tonnellata di inquinamento climatico lungo tutte le catene di fornitura. Un procedimento che può creare “incentivi perversi”. I responsabili della sostenibilità aziendale, infatti, potrebbero perseguire “sulla carta” modi rapidi ed economici per eliminare l’inquinamento dell’azienda; ma nella pratica, la sostanza potrebbe essere più “fuligginosa” del previsto.

Programmi come il finanziamento di terze parti per piantare alberi, ripristinare gli ecosistemi costieri o modificare le pratiche agricole in modo da ridurre le emissioni di carbonio, hanno a volte dei benefici che rimangono solo sulla carta, sovrastimando in pratica i vantaggi a livello ambientale.

I crediti di energia rinnovabile: benefici reali o solo una facciata?

Gli obiettivi carbon free possono anche costringere le aziende ad acquistare i cosiddetti “crediti di energia rinnovabile”, che apparentemente sostengono la produzione aggiuntiva di energia elettrica green, sollevando al contempo preoccupazioni analoghe sul fatto che i vantaggi per il clima siano sopravvalutati.

Le argomentazioni a favore di tali crediti è che le aziende spesso non possono acquistare un “flusso puro di elettricità pulita” per alimentare le loro attività, poiché gli operatori di rete si affidano a un mix di gas naturale, carbone, energia solare, eolica e altre fonti. Ma se queste aziende forniscono denaro che spinge gli sviluppatori a costruire nuovi progetti di energia rinnovabile e a generare più elettricità pulita di quanta ne avrebbero altrimenti, tali aziende possono affermare che questa procedura va a eliminare l’inquinamento continuo dell’elettricità che utilizzano. Tuttavia, i dubbi rimangono. L’affermazione che “i progetti di energia pulita non sarebbero stati costruiti senza questo sostegno aggiuntivo” da parte delle aziende Tech è sempre meno convincente in un mondo in cui questi impianti possono facilmente competere sul mercato autonomamente. E se l’acquisto di tali crediti da parte di un’azienda non porta a cambiamenti che riducono le emissioni nell’atmosfera, non può bilanciare l’inquinamento continuo dell’azienda.

Amazon: investimenti e sfide

Nel suo rapporto 2023 sulla sostenibilità, l’azienda di Jeff Bezos ha affermato di aver raggiunto i suoi obiettivi di energia elettrica pulita e di aver ridotto le emissioni migliorando l’efficienza energetica, acquistando più energia priva di carbonio, costruendo progetti di energia rinnovabile presso le sue strutture e sostenendo tali progetti in tutto il mondo. In parte lo ha fatto acquistando i già citati crediti di energia rinnovabile.

E questo ci porta a un altro problema che può sorgere quando un’azienda paga per l’energia pulita che non consuma direttamente: pagare semplicemente per la produzione di energia elettrica rinnovabile che si è verificata in un certo momento, da qualche parte nel mondo, non equivale a procurarsi la quantità di energia elettrica da consumare “nei propri luoghi e con i propri tempi”. In altre parole, il sole smette di splendere (fotovoltaico) e il vento di soffiare (eolico), anche se i lavoratori e le operazioni di Amazon continuano a lavorare in tutto il mondo ventiquattrore su ventiquattro. Pagare a una solar farm qualcosa in più per la produzione di energia elettrica che avrebbe già generato nel bel mezzo del giorno, non inverte in nessun modo significativo le emissioni che, per esempio, una server farm di Amazon produce attingendo elettricità da una centrale a gas naturale nel bel mezzo della notte.

Gli investimenti miliardari di Amazon nelle energie rinnovabili

Volendo dare merito al colosso di Seattle, Amazon sta investendo miliardi di dollari nelle energie rinnovabili, elettrificando la sua flotta di veicoli per le consegne e facendo passi da gigante nella riduzione dei rifiuti e delle emissioni. Inoltre, sta facendo pressione sui legislatori statunitensi per rendere più facile l’autorizzazione dei progetti di trasmissione elettrica, finanziando forme più affidabili di rimozione del carbonio e lavorando per diversificare il suo mix di fonti di elettricità. L’azienda di Bezos ribadisce, inoltre, di essere attenta e selettiva sui tipi di compensazione delle emissioni di carbonio che sostiene, investendo solo in progetti aggiuntivi, quantificabili, reali, permanenti e socialmente vantaggiosi.

Il reale impatto dell’approccio carbon matching sulle emissioni di carbonio

Amazon ha adottato il cosiddetto approccio “carbon matching”, acquistando da qualsiasi luogo una quantità di elettricità priva di emissioni di carbonio superiore a quella utilizzata in un anno, diventando neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio[4]. Tuttavia, i ricercatori della Princeton University hanno rilevato che il “carbon matching” ha un impatto minimo sulle emissioni a lungo termine del sistema energetico, perché raramente aiuta a costruire progetti o a generare energia pulita laddove questi non sarebbero stati realizzati comunque[5]. Insomma, il problema di affermare che un’azienda funziona interamente con elettricità pulita, quando non lo sta facendo direttamente e potrebbe non farlo completamente, è che toglie ogni pressione per portare a termine il lavoro per davvero.

Google: correzioni di rotta sul consumo di energia

Anche Google ha fatto le sue discutibili affermazioni sul clima nel corso degli anni e si trova ad affrontare sfide crescenti con l’aumento dell’energia utilizzata per l’Intelligenza Artificiale (soprattutto generativa). Tuttavia, rispetto ad Amazon, si sta sforzando di affrontare il consumo di energia (in modi probabilmente più difendibili) e ora sembra che stia compiendo alcuni passi notevoli per correggere la rotta. Google ha dichiarato di non acquistare più crediti di energia rinnovabile che pretendono di evitare le emissioni. Con questo cambiamento, ha anche fatto marcia indietro rispetto all’affermazione di aver già raggiunto la neutralità delle emissioni di carbonio in tutte le sue attività anni fa. Gli impegni di Google potrebbero non consentire all’azienda di Mountain View di fare alcuna affermazione sulle proprie emissioni oggi, e alcuni degli approcci in fase iniziale che finanzia potrebbero non funzionare affatto. Ma la speranza è che questo tipo di investimenti possa contribuire alla nascita di un’industria della rimozione del carbonio, che secondo gli studi potrebbe essere essenziale per tenere sotto controllo il riscaldamento nei prossimi decenni.

L’importanza della riduzione diretta dell’inquinamento

Ciò che stiamo affrontando in questo articolo ci riporta prepotentemente al sempre più crescente problema del consumo energetico dell’Intelligenza Artificiale. Consumo abnorme che lotta costantemente con il mantenere gli obiettivi climatici prefissati. Per le Big Tech ora più che mai è necessario migliorare l’efficienza energetica complessiva, acquistare più energia pulita e cercare di spingere le aziende di servizi pubblici ad aumentare la produzione di energia senza emissioni di carbonio nelle aree in cui operano. Ma l’obiettivo, lo si sottolinea nuovamente, deve essere quello di ridurre direttamente l’inquinamento climatico dell’azienda, non quello di giocare con i crediti di energia rinnovabile e le relative compensazioni. Google, dal canto suo, ha affermato di star facendo progressi per quanto riguarda “l’impronta climatica” dell’Intelligenza Artificiale, pur sottolineando che sta sfruttando quest’ultima per trovare modi per ridurre l’inquinamento climatico in tutti i settori.

Il modello di contributo e le future prospettive

Gli approcci contrastanti di Google e Amazon richiamano alla mente un’ipotesi istruttiva che un gruppo di ricercatori della Stanford University ha abbozzato in un documento risalente a gennaio scorso[6]. Tali ricercatori hanno osservato che un’azienda potrebbe fare il duro e costoso lavoro di eliminare direttamente quasi tutte le sue tonnellate di emissioni, mentre un’altra potrebbe semplicemente acquistare compensazioni a basso costo per affrontare presumibilmente tutte le sue. In questo caso la prima azienda avrebbe fatto effettivamente del bene al clima, ma solo la seconda potrebbe dire di aver raggiunto l’obiettivo dello zero netto.

Futuro delle politiche climatiche nelle Big Tech: tra innovazione e responsabilità

Alla luce di queste sfide e degli “incentivi perversi” che spingono le aziende verso compensazioni a basso costo, gli autori hanno iniziato a sostenere un approccio diverso, noto come “modello di contributo”. Si sottolinea, in pratica, che le aziende dovrebbero dedicare la maggior parte del loro denaro e delle loro energie a ridurre direttamente le loro emissioni il più possibile. Invece di cercare di cancellare ogni tonnellata di emissioni in corso, un’azienda potrebbe scegliere una percentuale delle sue entrate o fissare un prezzo del carbonio difendibile su quelle tonnellate, e poi dedicare tutti i soldi al raggiungimento del massimo beneficio climatico che il denaro può comprare. Ciò potrebbe significare finanziare progetti forestali ben gestiti che aiutino a trattenere l’anidride carbonica, a proteggere la biodiversità e a migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua.

Potrebbe significare sostenere la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie ancora necessarie per rallentare il riscaldamento globale e gli sforzi per incrementarle, come sembra stia facendo Google.

Oppure potrebbe anche significare fare pressione per ottenere leggi più severe sul clima, poiché poche cose possono guidare il cambiamento con la stessa rapidità delle politiche pubbliche. Ma la differenza fondamentale è che l’azienda non potrà affermare che queste azioni hanno annullato ogni tonnellata di emissioni residue, ma solo che ha compiuto passi reali e responsabili per “contribuire” ad affrontare il problema del cambiamento climatico. La speranza è che questo approccio permetta alle aziende di concentrarsi sulla qualità dei progetti finanziati e non sulla quantità di compensazioni a basso costo acquistate.[7]

Note


[1] Generative AI’s environmental costs are soaring — and mostly secret. Nature. https://www.nature.com/articles/d41586-024-00478-x

[2] Amazon Sustainability Report 2023. Amazon. https://sustainability.aboutamazon.com/2023-sustainability-report.pdf

[3] Energia a zero emissioni di CO2 24/7, entro il 2030. Google. https://www.google.com/intl/it/about/datacenters/cleanenergy/

[4] As Google, Meta, others ramp up clean energy buying, ‘carbon matching’ offers cheapest path: report. Utility Dive. https://www.utilitydive.com/news/corporate-clean-energy-procurement-carbon-matching-meta-google-amazon-tabors-report/652011/

[5] Buyer beware: Most clean power purchasing strategies do little to cut emissions. Princeton University. https://mae.princeton.edu/about-mae/news/buyer-beware-most-clean-power-purchasing-strategies-do-little-cut-emissions

[6] Instead of Carbon Offsets, We Need ‘Contributions’ to Forests. Stanford University. https://ssir.org/articles/entry/forest-contributions-carbon-offsets

[7] Google, Amazon and the problem with Big Tech’s climate claims. MIT Technology Review. https://www.technologyreview.com/2024/07/17/1095019/google-amazon-and-the-problem-with-big-techs-climate-claims/

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