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L’uomo senza proprietà: i dilemmi dell’eredità nell’era digitale



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Dai diritti sulle criptovalute agli account sui social, le generazioni future affrontano sfide inedite per accedere ai beni digitali dei loro predecessori. Jacopo Franchi esplora le complessità dell’eredità digitale nel libro “L’uomo senza proprietà – Chi possiede veramente gli oggetti digitali?” di cui proponiamo un estratto

Pubblicato il 31 lug 2024

Jacopo Franchi

Social media manager, saggista, autore del sito "Umanesimo Digitale"



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Che si tratti di opere d’arte o di personaggi di videogiochi, di criptovalute o abitazioni nel metaverso, le generazioni del presente – e soprattutto quelle del futuro – dovranno confrontarsi con l’enorme problema posto dalla trasmissione ereditaria dei beni e contenuti digitali.

La complessità della trasmissione dei beni digitali

Che sia per ragioni di riservatezza, per la tendenza a posticipare le decisioni riguardanti la propria morte, per la dispersione degli oggetti acquistati su una molteplicità di piattaforme o per la mancanza di competenze tecnologiche adeguate, il passaggio di consegne dai genitori ai figli non di rado si tradurrà nella perdita dell’accesso ai beni e contenuti stessi, quando non nel ritorno di questi ultimi nella piena disponibilità dei venditori iniziali.

Il problema dell’eredità digitale non riguarderà, infatti, solo ciò che sarà stato effettivamente acquistato in cambio di denaro, ma anche tutta la scia infinita di impronte lasciate dietro di sé dalle persone nel corso di migliaia e migliaia di ore di utilizzo dei più diffusi servizi online. Dai blog ai social media, dalle caselle di posta ai profili creati su YouTube, saranno innumerevoli gli account cui gli eredi di ogni grado di parentela cercheranno di accedere senza grandi possibilità di successo, soprattutto quando non disporranno né delle password né del provvedimento di un tribunale, mentre sarà sempre possibile assistere alla improvvisa sparizione dei contenuti da essi custoditi in seguito a una decisione unilaterale degli amministratori dei servizi di intermediazione.

A determinare la perdita di questo legame fondamentale tra generazioni passate e future, mettendo in forse le possibilità dei discendenti di accedere ad archivi potenzialmente inesauribili accumulati dai predecessori e avi, saranno non solo le carenze della tecnologia e dell’alfabetizzazione digitale di massa ma anche gli inevitabili errori di valutazione da parte delle autorità preposte alla regolamentazione di questo settore. Anche qualora in futuro si andasse incontro a un’evoluzione delle leggi attuali – come il Regolamento generale sulla protezione dei dati, che ha rinviato ogni decisione in tema dei dati personali delle persone decedute ai singoli Stati – nondimeno sarà molto difficile trasmettere una nuova consapevolezza a persone abituate fin da giovanissime a godere di opzioni ben più limitate dal punto di vista dei diritti esercitabili sulla propria vita online e le sue infinite propaggini.

«Non contate sul fatto che la legge provvederà per voi»: pubblicata al primo punto del Decalogo del notariato italiano sul tema dell’eredità digitale nel 2015, questa frase è ancora oggi attuale ed emblematica di una condizione di totale incertezza che accompagnerà per molto tempo ancora coloro che proveranno ad accedere a ciò che genitori, nonni, fratelli o sorelle maggiori avranno prodotto prima della loro nascita. Non poter contare su basi legislative sicure, doversi relazionare con una molteplicità di fornitori di servizi molto diversi tra loro, fare i conti con una quantità di contenuti maggiore rispetto a qualsiasi aspettativa saranno ostacoli da affrontare nella più totale impreparazione tecnica e psicologica, mentre un numero di anno in anno crescente di memorie digitali andrà incontro a un’implacabile dissoluzione.

Casi giuridici emblematici sull’eredità digitale

Rinviato sine die dalla politica, il tema dell’eredità digitale è giunto negli ultimi anni all’attenzione del grande pubblico solo in rari momenti, che hanno tuttavia goduto di un’eco straordinaria in virtù della facilità di empatia con le vittime dell’ingiustizia, dell’incertezza, dell’ambiguità di leggi pubbliche e regolamenti privati. Tra i primi casi in tal senso va sicuramente ricordato quello di Justin Ellsworth, un soldato statunitense morto in Iraq, la cui famiglia nel 2005 aveva richiesto senza successo a Yahoo di accedere alle e-mail del figlio deceduto: una possibilità concessa solo in seguito a un ordine dell’autorità giudiziaria, giunto poco prima che l’azienda facesse seguito alla reiterata intenzione di distruggere definitivamente ogni contenuto archiviato nella posta elettronica del defunto, così come previsto per qualsiasi altro utilizzatore del servizio.

Altri tribunali hanno dovuto affrontare, nell’assenza di leggi e procedure definite sul tema, casi analoghi in cui le famiglie di giovani scomparsi anzitempo hanno intrapreso una battaglia legale pur di salvare le memorie digitali di questi ultimi dalla cancellazione definitiva: dalla sentenza della Corte federale tedesca, che nel 2018 ha stabilito che l’account Facebook di una dodicenne defunta poteva essere ereditato dai genitori di quest’ultima, compresi i dati delle comunicazioni private (equiparando i dati personali contenuti nel suo account social alla stregua di diari e lettere cartacee), alla sentenza del 2021 del tribunale di Milano, che ha ordinato ad Apple di rendere disponibili i contenuti salvati nell’account di archiviazione iCloud del figlio morto in un incidente ai suoi genitori, fino ad arrivare a una sentenza del tribunale di Bologna che ha ordinato alla medesima azienda di svelare i dati personali memorizzati nell’iPhone del figlio morto suicida, per consentire alla sua famiglia di recuperare foto e altri contenuti utili a trovare una possibile spiegazione del gesto (oltre a perpetuarne la memoria tra i coetanei).

Le sfide della privacy e del consenso post-mortem

Al di fuori della naturale empatia nei confronti delle richieste dei famigliari, resta tuttavia – in queste come in altre sentenze analoghe – il dubbio circa l’effettiva volontà dei deceduti di condividere l’intero archivio di memorie digitali personali con i propri parenti. Negli ultimi due casi menzionati, in particolare, non è da escludersi che la scelta delle vittime di servirsi di fornitori come Apple che promettono di tutelare la privacy dei propri clienti e di provvedere alla distruzione dei dati dopo un certo periodo di inattività degli account non sia, di per sé, il segnale di un’esplicita volontà di oblio e riservatezza ricercata attivamente dai defunti, da tutelare anche dopo il decesso. Il sospetto diventa più forte quanto si tratta di sentenze riguardanti gli adulti, come nel caso del tribunale di Milano che ha ordinato a una serie di fornitori di servizi digitali di concedere l’accesso agli account del marito deceduto alla moglie di quest’ultimo, pur in assenza di una esplicita volontà in merito da parte del coniuge.

Opzioni disponibili per la gestione dell’eredità digitale

Non stupisce, quindi, che sempre più fornitori di servizi digitali abbiano concesso agli utenti la possibilità di decidere circa il destino degli account dopo la propria scomparsa, per evitare che ulteriori sentenze in senso sfavorevole si accompagnino a ricadute negative dal punto di vista reputazionale. La possibilità di designare uno o più contatti «eredi» concessa pochi anni orsono da aziende come Facebook, Google e Apple, unita alla possibilità di disattivare in automatico il proprio account dopo un determinato periodo di inattività sono solo l’inizio di una nuova fase della fin qui brevissima storia della morte digitale: una fase in cui le persone coltiveranno l’illusione di essere state messe nella condizione di decidere il destino dei propri dati, salvo poi – al momento del dunque – ritrovarsi a scegliere tra un numero limitato di opzioni rispetto alla quantità dei contenuti da valutare e alla diversità di persone che potrebbero ereditare questi ultimi, per motivi che spesso vanno al di là dei semplici legami familiari.

Il ruolo delle aziende tecnologiche nell’eredità digitale

Resta sullo sfondo, infatti, il sospetto che le attuali modalità di gestione dell’eredità digitale rispondano più agli interessi economici delle aziende che non a quelli dei defunti e dei parenti di questi ultimi. L’obbligo di iscriversi al servizio per poter gestire gli account dei propri parenti e amici morti come avviene nel caso di Facebook o di Apple, le limitazioni in termini di tempo e durata dei contenuti modificabili dagli eredi digitali, la scelta netta e spesso drammatica tra conservare l’archivio dei defunti nella sua integralità o rimuoverlo in maniera definitiva sono tutti aspetti che hanno poco di casuale o di neutrale, e che in alcuni casi possono svelare un preciso tornaconto in termini di acquisizione di nuovi utenti e nuovi dati. Da non sottovalutare, infine, i dubbi circa l’effettiva capacità delle aziende di riconoscere gli eredi reali degli account delle persone decedute, affidata a un personale carente di risorse e tempo a disposizione.

Non saranno poche, in questo contesto, le aziende che fingeranno di ignorare il problema per molto tempo ancora, potendo contare su una minore esposizione da parte dei media e su una minore quantità di utenti interessati alle conseguenze digitali della propria morte fisica.

Da TikTok priva per anni di qualsiasi forma di regolamentazione per gli account dei suoi giovanissimi utenti morti allo scarsissimo ventaglio di possibilità offerto da social media come X o Instagram, il rischio che l’archivio digitale dei contenuti delle persone decedute possa essere sottratto all’accesso degli eredi resterà tanto più alto quanto più le aziende non disporranno né dei mezzi umani ed economici, né della volontà o di procedure strutturate per far fronte a un numero di richieste di riscatto che tenderà ad aumentare man mano che sempre più persone varcheranno il confine tra lo status di creature analogiche e quello di spoglie digitali.

Prospettive future: legislazione e tecnologia

La mancata uniformità delle norme riguardanti l’eredità digitale e le prime sentenze dei tribunali contrarie alle decisioni unilaterali dei fornitori di servizi sono il simbolo di una condizione di perdurante incertezza circa il destino delle memorie lasciate dalle persone in Rete.

L’impossibilità di mappare queste ultime in maniera certa, la difficoltà di operare una selezione tra migliaia di contenuti rilevanti, l’intreccio inestricabile di profili pubblici e conversazioni private all’interno di un medesimo account e, non da ultimo, l’indecisione delle aziende tra mantenere attivi gli account dei morti (per generare interesse da parte dei vivi) o cancellare qualsiasi account inattivo (per evitare di trasformarsi in breve tempo in uno sterminato cimitero virtuale) sono alcuni degli ostacoli più ardui con cui dovranno confrontarsi tutti coloro che vorranno impossessarsi dei resti virtuali di parenti e amici, nella speranza di poterli sottrarre ancora per un po’ all’oblio.

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