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AI e lavoro: nuove macchine, nuove diseguaglianze. Come affrontarle?



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L’intelligenza artificiale generativa sta rivoluzionando il mondo del lavoro. Macchine avanzate come ChatGPT e Gemini non solo assistono, ma sostituiscono ruoli professionali complessi. Questo fenomeno, parte della quarta rivoluzione industriale, potrebbe portare sia a una contrazione del lavoro umano, sia a nuove opportunità. Il futuro del lavoro dipenderà dalle nostre scelte socio-economiche

Pubblicato il 5 set 2024

Michele Misha Missikoff

Senior Research Associate CNR – Istituto di Analisi dei Sistemi ed Informatica



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E le macchine cominciarono a parlare… ma non semplicemente rispondendo a comandi elementari come abbiamo sperimentato con Alexa, Siri o Google Home. Sono macchine mai viste prima, con la capacità di intrattenere un dialogo su qualunque argomento, mostrando competenze specialistiche praticamente su tutto lo scibile umano (talvolta dando risposte strampalate, proprio come noi umani).

La nuova era dell’intelligenza artificiale generativa: cosa è cambiato

Siamo entrati nell’era  delle nuove macchine dell’Intelligenza Artificiale generativa (GenAI[1]), come ChatGPT (di OpenAI), Gemini (di Google), Claude (di Anthropic) o Perplexity (di Perplexity AI). Sistemi che rappresentano una netta rottura con i sistemi digitali del passato: si esprimono fluentemente in linguaggio umano, mostrando significative facoltà cognitive. Questo è avvenuto grazie ai progressi delle reti neurali, del Machine Learning, ma anche, sul versante hardware, dell’enorme potenza di calcolo raggiunta dai processori (e dalle server farm, le sconfinate aggregazioni di computer che operano all’unisono) di ultima generazione (ad esempio adottando le NPU: Neural Processing Unit). I metodi e i sistemi digitali che vengono oggi utilizzati non sono una novità (sul piano tecnico-scientifico). Erano già noti da tempo, ma recentemente quello che è cambiato è la scala, le dimensioni, la quantità di dati processati e la velocità di calcolo, entrambi esplosi facendo emergere ‘comportamenti inaspettati e stupefacenti’, come ha riferito uno degli esperti GenAI di Google[2].

La quarta rivoluzione industriale

Queste nuove macchine (la cui tecnologia è basata sui cosiddetti modelli linguistici di grandi dimensioni: Large language Models – LLM[3]) cominciano a diffondersi nel 2023 e vengono progressivamente inserite nei processi produttivi. Qualcuno ritiene che siamo all’inizio della Quarta rivoluzione industriale[4], dove la Terza è quella dell’elettronica e dei computer come abbiamo conosciuto dagli anni Sessanta del secolo scorso in poi (cioè con l’introduzione dei microchip).  A differenza di quanto avvenuto nella Prima e nella Seconda rivoluzione industriale (RI), le cui macchine operavano prevalentemente a supporto delle produzioni materiali (dai telai a vapore ai trattori, alle catene di montaggio), nella Terza rivoluzione industriale abbiamo assistito ad un importante cambio di paradigma. Infatti i computer operano nella dimensione immateriale della logica, degli algoritmi, dei dati e delle informazioni.

La Quarta RI, pur marcando una forte discontinuità rispetto alla Terza RI[5], si basa ancora sulle tecnologie digitali, quelle del computer, ma con un nuovo approccio centrato sulle parole, sul linguaggio, su immagini e video, in grado di mostrare capacità di tipo cognitivo. I sistemi GenAI stanno dimostrando un’enorme potenzialità[6] e quando inserite nel sistema produttivo appaiono in grado di portare ad una profonda trasformazione, inducendo un cambio di paradigma nei processi, nei modelli organizzativi, e nei modi di lavorare.

Le nuove macchine GenAI e il lavoro

Come i computer della Terza RI, le nuove macchine GenAI della Quarta RI si diffonderanno in modo pervasivo in tutti i settori produttivi, inclusi quelli finora immuni all’automazione. In particolare nei settori ad alta specializzazione, dove andranno ad affiancare (in molti casi a sostituire) professionisti come ingegneri, avvocati, commercialisti, medici, consulenti finanziari, traduttori e interpreti. Ma l’impatto avverrà anche per attività più creative, sia tecniche, ad esempio con ingegneri aerospaziali, analisti-programmatori e progettisti di database, che artistiche come art director e copywriter pubblicitari, sceneggiatori, autori di serie televisive. Fino ad arrivare al mondo dell’intrattenimento, dai videogiochi alla musica, al settore cinematografico.

Per alcuni lavori potrà esserci una sostituzione totale, come nel caso dei Call Center, dei traduttori, degli editor e correttori di bozze, dove l’impatto delle nuove macchine sarà dirompente.

Un impatto importante ci sarà in tutti i settori impiegatizi, ma anche nelle produzioni materiali (manifattura) dove la tecnologia GenAI si integrerà con la robotica che conosciamo oggi per dare vita (si fa per dire…) a una nuova generazioni di agenti robotici[7]. Questi saranno in grado di lavorare in autonomia su attività complesse, prendendo decisioni a fronte dei diversi problemi che si presentano, anche imprevisti, tenendo conto delle condizioni di contesto e di vincoli predefiniti.

La domanda centrale è se le nuove macchine dell’intelligenza artificiale porteranno ad una contrazione irreversibile del lavoro umano oppure più ricchezza e più lavoro, magari di qualità.

IA e lavoro, cosa dicono gli studi

Esistono numerosi studi che forniscono previsioni, riportando cifre molto diverse tra loro[8]. Qualcuno arriva a dire che l’impatto potrà toccare il 90% delle mansioni[9]. E’ difficile valutare l’attendibilità di queste previsioni e delle cifre riportate, in quanto è passato troppo poco tempo dall’avvento della GenAI per avere statistiche e cifre attendibili su come questa nuova tecnologia sta cambiando il mondo del lavoro.

IA e lavoro: ottimisti vs discontinuisti

Invece di azzardare cifre, qui intendiamo focalizzarci su alcuni fattori socio-tecnici che guideranno l’evoluzione degli scenari futuri, in particolare del lavoro nell’era dell’IA[10]. E’ utile partire da quello che è avvenuto in passato[11], in particolare usando come termine di paragone le precedenti rivoluzioni industriali. Schematizzando, possiamo identificare due correnti di pensiero: una (ottimista) ritiene che, come avvenuto nelle prime due RI, vi sarà inizialmente una perdita di posti di lavoro causata dall’adozione dell’automazione di nuova generazione, ma dopo un periodo di assestamento, i posti di lavoro persi verranno abbondantemente recuperati.

A questa visione ottimista si contrappone una visione (discontinuista) che sostiene che questa volta le cose saranno diverse, e anche le dinamiche occupazionali non saranno le stesse delle prime due RI.

La visione ottimista

Questa visione ritiene che il timore per l’impatto negativo delle nuove macchine GenAI sull’occupazione sia infondato, rifacendosi a quanto avvenuto nelle prime due RI: una basata sul vapore e l’altra sull’elettricità e il motore a scoppio. Queste hanno prodotto inizialmente una contrazione dell’occupazione (la cosiddetta disoccupazione tecnologica), ma ogni volta, la prima fase critica ha lasciando il posto ad una fase espansiva con un marcato recupero dei posti di lavoro persi, e la creazione di nuovi posti di lavoro, in numero superiore e con condizioni lavorative migliori.

Questo è avvenuto grazie alla maggiore produttività delle macchine che ha innescato un circolo virtuoso: una crescita della ricchezza che, diffusa tra la popolazione, ha prodotto l’espansione della domanda e del mercato, con un aumento dei volumi di produzione che hanno richiesto più posti di lavoro. I nuovi posti di lavoro sono nati  in parte in settori preesistenti che si sono espansi, ma in gran parte in nuovi settori, spesso creati dalle tecnologie stesse. Ad esempio, la Seconda rivoluzione industriale ha portato all’estinzione della filiera del trasporto a trazione animale, sostituita da quella dei motori, elettrico e a scoppio. In sostanza, il meccanico ha sostituito il maniscalco.

Dunque, a partire da quanto avvenuto nelle prime due RI, il pensiero ottimista ritiene che anche questa volta l’avvento della GenAI produrrà dinamiche molto simili e quindi non creerà disoccupazione di massa ma al contrario porterà lavoro qualificato e maggior benessere per tutti. Come dire che l’addetto del Call Center sarà sostituito dal Prompt Engineer[12].

Una discontinuità epocale

La seconda linea di pensiero ritiene che le nuove macchine dell’IA siano molto diverse da quelle delle prime due RI e quindi far riferimento a queste per prevedere cosa ci riserva il futuro non funziona. Da più di mezzo secolo è in corso la Terza RI, quella del computer, dunque per capire come può evolvere il mondo dell’economia e del lavoro nella Quarta RI è opportuno fare riferimento alla Terza e non alle prime due RI.

In estrema sintesi, la Terza RI è centrata su macchine (i computer) che operano nella dimensione immateriale con meccanismi deterministici: gli algoritmi per elaborare dati ed informazioni. Quelle della Quarta RI sono macchine probabilistiche basate sulle reti neurali, addestrate (fornendo loro enormi quantità di dati) per generare immagini e gestire in autonomia (cioè non sulla base di algoritmi deterministici) conversazioni in linguaggio naturale, mostrando notevoli conoscenze e capacità inferenziali (cioè di ragionamento automatico). Accanto a queste differenze fondamentali vi sono anche molte simmetrie, in particolare entrambe le macchine, come detto, lavorano nella dimensione dell’immateriale, per cui è possibile ipotizzare che le dinamiche occupazionali dell’attuale RI proseguiranno sulle stesse traiettorie della Terza RI.

Nella Terza RI non c’è stata la disoccupazione tecnologica iniziale, tipica delle prime due RI, e il tasso di occupazione negli ultimi quattro decenni è rimasta sostanzialmente costante[13] (al di là di piccole fluttuazioni dovute a cause non riconducibili alla tecnologia). Mentre quello che è cambiato sono le ore medie lavorate che, dall’inizio di questo secolo, hanno subito una contrazione progressiva del 20%. Anche nella Quarta RI ci possiamo aspettare dinamiche occupazionali opposte a quanto visto nelle prime due. In breve, nessuna disoccupazione tecnologica nella prima fase, alla quale non seguirà una fase di crescita significativa dell’occupazione.

Oggi assistiamo ad alti livelli occupazionali, sia nell’industria che nei servizi, inclusa una quota di occupazioni caratterizzate da lavoro discontinuo, poco qualificato e mal retribuito. Ad esempio il lavoro sulle piattaforme (dai validatori di dataset ai rider), il lavoro intermittente, il part-time involontario, il lavoro nella ristorazione e nell’accoglienza.

L’evoluzione delle dinamiche occupazionali

Progressivamente, con l’avanzare dell’automazione GenAI, le dinamiche occupazionali tenderanno a cambiare, producendo essenzialmente una polarizzazione del lavoro verso l’alto, per i lavori più qualificati e meglio retribuiti, e verso il basso per la quota (maggioritaria) di lavoratori a bassa qualifica e bassi salari.

Questo è lo scenario che si prospetta, una previsione rafforzata da alcuni fattori tecnici e socio-economici, già presenti nella Terza RI, che ne evidenziano la discontinuità rispetto alle prime due RI.

Le macchine nella quarta rivoluzione industriale

Questi fattori, che sono strettamente interconnessi e saranno amplificati con l’affermarsi dell’intelligenza artificiale, sono relativi alla natura delle nuove macchine, alla complessità dello scenario operativo, alle disuguaglianze socio-economiche, alla produttività delle imprese, al mercato.

La natura delle macchine

Come detto, le macchine delle prime due RI sono macchine fisiche, ‘in movimento’, concepite per correre, per volare, per scavare o sollevare pesi, tutte attività che servono all’uomo per oltrepassare i propri limiti fisici. Le macchine della rivoluzione digitale sono macchine ‘ferme’, perché non operano nello spazio fisico ma in quello immateriale. Sono macchine concepite per maneggiare oggetti astratti quali: dati, informazioni, algoritmi, e ora con la Quarta RI sono concepite per gestire parole, immagini, linguaggi, conversazioni, conoscenze.

La complessità delle macchine

Le macchine della Seconda RI sono essenzialmente monofunzionali, concepite per un obiettivo specifico. Dalla pala meccanica alla lavatrice, dal telefono al grammofono, hanno funzionalità ben definite. La macchina simbolo del periodo è la catena di montaggio che tende a semplificare, parcellizzandolo, il lavoro. E quindi, i lavoratori possono essere facilmente inseriti nei processi produttivi senza che vengano loro richieste particolari competenze specialistiche (ma, come sappiamo, con effetti alienanti). Il computer al contrario è una macchina general purpose, multifunzionale. L’oggetto iconico della Terza RI è sicuramente lo smartphone, che integra le funzionalità del telefono, della radio, della macchina fotografica, dell’archivio, dell’album, dell’agenda. La complessità dei dispositivi digitali, e la loro interconnessione, ci proietta in un universo digitale globale che implica una maggiore complessità del mondo, del nostro vivere e del nostro lavorare. Il lavoro, per cogliere appieno le potenzialità delle nuove macchine, richiede formazione e competenze di livello superiore. Questo ha anche un risvolto socio-politico, in quanto il desiderio di semplificazione, ampiamente diffuso nella maggioranza delle persone, trova risposte ‘facili’ che producono impoverimento e polarizzazione (economica, politica, religiosa, …).

La produttività delle macchine

La terza differenza è data dalla capacità delle macchine di generare ricchezza, in particolare attraverso l’aumento della produttività[14]. Le prime due RI hanno visto un aumento stellare della produttività e della ricchezza complessiva prodotta. Invece le tecnologie digitali sono alla base di un apparente paradosso, hanno incrementato la produttività del singolo lavoratore, ma a questa non è corrisposta la produttività complessiva delle imprese e del Paese.

Per questo la riduzione delle ore lavorate non ha prodotto una contrazione del PIL che tuttavia, negli ultimi tre decenni, ha avuto in termini reali un andamento sostanzialmente piatto (in termini reali). Questo dipende in buona parte dalla difficoltà di gestire in modo organico la complessità dei sistemi digitali e in particolare la capacità di fare leva sui tre fattori centrali della produttività delle imprese: l’uso ottimale delle tecnologie digitali, le competenze dei lavoratori, i modelli organizzativi e di governance. Quindi l’aumento della produttività è andata a vantaggio dei pochi che sono riusciti a gestire in modo virtuoso questi fattori, mentre la grande maggioranza non ha ottenuto i benefici promessi.

Le disuguaglianze nell’era della quarta rivoluzione industriale

Un altro fattore che influenza le dinamiche socio-economiche, e quindi la crescita, è rappresentato dalle disuguaglianze che negli ultimi tre decenni sono andate aumentando, confermando quanto appena detto. Le disuguaglianze culturali, abitative, ambientali, e ovviamente economiche, non aiutano a far crescere una società prospera e produttiva. Nel dopoguerra, gli stipendi dei top manager erano 40 volte quelli degli operai, oggi sono 400 volte più alti. Negli ultimi tre decenni, la concentrazione della ricchezza, e del potere economico in generale, è continuata a crescere, e la rivoluzione digitale appare sostenere ed accelerare questa tendenza.

Sia a livello di imprese, si pensi alle Big Tech, che a livello di retribuzioni, dove la ricchezza fluisce a favore di un élite di tecnici altamente qualificati, marcando la distanza crescente rispetto al resto dei lavoratori. Purtroppo in Italia il fenomeno è particolarmente drammatico per la stragrande maggioranza delle famiglie. Secondo Openpolis (su dati OCSE 2021), tra il 1990 e il 2020 il rapporto tra retribuzioni e PIL ha avuto per l’Italia un calo di -2,9%, mentre è cresciuto in Germania del +33,7% e in Francia del +31,1%. Negli ultimi tre decenni il 10% più ricco della popolazione ha raddoppiato il proprio patrimonio, mentre nello stesso periodo la metà della popolazione meno abbiente ha visto crollare di tre quarti disponibilità finanziarie e risparmi[15]. Questo fenomeno ha avuto un impatto negativo sul mercato consumer, contribuendo a frenare lo sviluppo dell’economia.

La struttura del mercato

Dunque, il potere d’acquisto delle famiglie si è andato riducendo, causando un problema economico strutturale: è difficile aumentare la produzione in presenza di un mercato asfittico. Contrariamente a quanto avvenuto nel secolo scorso, dove il mercato (in particolare il mercato consumer) era in espansione, pronto ad assorbire i nuovi prodotti, dalla lavatrice all’automobile, dal televisore, a viaggi e vacanze. Il mercato del nuovo millennio è un mercato di sostituzione, dove le famiglie nella quasi totalità già possiedono televisori, lavatrici, automobili, e quant’altro oggi necessario per una vita decente. Dunque un mercato saturo, al quale il sistema ha posto rimedio promuovendo uno stile di vita basato sul consumismo. Fenomeno culturale prima che commerciale, necessario per far girare l’economia senza modificare un modello di sviluppo che privilegia il consumo di beni e servizi, spesso voluttuari, a scapito della dimensione sociale, della protezione ambientale, della lotta alla povertà, del potenziamento delle cure e della salute universale, del diritto all’abitazione, della formazione diffusa e di qualità. Ma oggi anche questo modello,  a causa della bassa disponibilità finanziaria della maggioranza della popolazione, non funziona più.

Gli scenari prossimi venturi

Sulla base di quanto detto, possiamo concludere che nell’era dell’intelligenza artificiale l’industria vedrà l’affermazione dei modelli produttivi ad intensità di capitale, cioè basati sull’uso estensivo di macchine sempre più capaci, flessibili, autonome, produttive. Questo avverrà a scapito dei modelli produttivi ad intensità di lavoro, dove l’occupazione andrà progressivamente riducendosi, una contrazione che risparmierà una minoranza di lavoratori altamente specializzati, necessari per produrre, installare e far funzionare macchine sempre più sofisticate, e in presenza di un ampio numero di posizioni a basso contenuto tecnologico e basse retribuzioni. Svuotando progressivamente le posizioni intermedie, tipicamente impiegatizie.

Le imprese, di fronte ad impoverimento progressivo della maggioranza delle persone e quindi un mercato interno che non è in grado di assorbire la maggiore offerta di beni e servizi, sono costrette a puntare sulle esportazioni. Le imprese che riescono ad innovare, introducendo livelli avanzati di automazione, sono quelle che hanno successo e continuano ad accumulare ricchezza, mentre le altre sono destinate al declino. Si andrà quindi consolidando l’attuale polarizzazione della ricchezza, dove un numero ristretto di persone posseggono la grande maggioranza delle risorse mentre la grande maggioranza della popolazione vive in modo modesto, con occupazioni a bassa qualifica con basse retribuzioni, oppure sostenuta da sussidi di diverso genere. Mentre al contempo, la classe media subirà una compressione verso il basso. In sostanza, una quota crescente della popolazione rischia di essere sospinta ai margini, cioè all’irrilevanza, sul piano socio-economico. Stiamo procedendo verso un modello di sviluppo dove le disuguaglianze continueranno ad aumentare, con il rischio di indebolire anche l’impianto democratico del Paese.

Con il progressivo affermarsi delle nuove macchine dell’intelligenza artificiale, questi scenari tenderanno ad accentuarsi, in continuità con le dinamiche socio-economiche che si sono andate affermando negli ultimi decenni. Ma sappiamo che il futuro è pieno di eventi imprevedibili sia positivi che negativi. Quelli negativi, tra cui la pandemia, la guerra, le varie crisi economiche (dot-com, subprime, etc.), li abbiamo conosciuti e potrebbero ripetersi. Quelli positivi, ad esempio la pace globale, la fusione nucleare, un accordo mondiale sul clima, una società più equa ed inclusiva, sembrano abitare più le nostre speranze che una prospettiva concreta.

Conclusioni

Ma sappiamo che se è vero che il futuro non è prevedibile, in parte può essere determinato dalle nostre scelte. Ad esempio cominciando ad invertire le polarizzazioni in atto, creando le condizioni per un’economia partecipativa ed un modello di sviluppo più equo, ad esempio basato sulla predistribuzione[16].

Note


[1] basate su reti neurali e modelli linguistici di grandi dimensioni: Large Language Models (LLM)

[2] https://www.quantamagazine.org/the-unpredictable-abilities-emerging-from-large-ai-models-20230316/ . Anche: S. Orne: “Gli imprevedibili comportamenti emergenti dell’intelligenza artificiale”. Le Scienze, 4 aprile 2023.

[3] Una breve introduzione ai LLM: https://www.unite.ai/it/large-language-models/

[4] L. Floridi, “La quarta rivoluzione”, Raffaello Cortina editore, 2017.

[5] S. Altman, A&F La Repubblica, 27.12.23

[6] Sam Altman, CEO di OpenAI, ha affermato che “GenAI eclisserà la rivoluzione agricola, la rivoluzione industriale e la rivoluzione di internet messe tutte insieme.”

[7]www.scientificamerican.com/article/scientists-are-putting-chatgpt-brains-inside-robot-bodies-what-could-possibly-go-wrong/

[8] www.techopedia.com/the-future-of-work-in-the-age-of-ai.

[9] In genere gli studi presenti in letteratura non prendono in considerazione i sistemi GenAI, in quanto il fenomeno dei LLM è molto recente e qusti nuovi sistemi non sono ancora diffusi nel sistema produttivo. Vedasi: https://www.econstor.eu/handle/10419/278106 e https://www.nature.com/articles/s41599-024-02647-9

[10] ben consci dei rischi che questo tipo di esercizio comporta. Soprattutto in questa fase dove, come dice Mark Strand, Il futuro non è più quello di una volta.

[11] “You can’t connect the dots looking forward; you can only connect them looking backwards.” (Steve Jobs)

[12] Prompt Engineering è una disciplina emergente, legata a GenAI, che fornisce linee guida per la formulazione del testo da sottomettere al sistema generativo (cioè la domanda, ma non solo).

[13] .https://grafici.altervista.org/mercato-del-lavoro-occupati-disoccupati-e-inattivi-in-italia/

[14] Esistono vari modi di calcolare la produttività, ad esempio il rapporto tra il valore di quanto viene prodotto e i costi sostenuti per la produzione (P=output / input). La produttività del lavoro si focalizza sul valore prodotto da un lavoratore ad esempo nell’unità di tempo.

[15] Vedasi M. Missikoff: Le disuguaglianze in Italia. Comunicazione privata.

[16] Una teoria economica che, contrariamente al modello redistributivo, tendente a correggere ex-post le storture socio-economiche prodotte dal sistema, punta a creare un sistema capace di minimizzare ex-ante dette storture.

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