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Criptoasset nelle imprese: guida alle regole contabili e fiscali in Italia



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L’adozione dei criptoasset da parte delle imprese solleva importanti questioni contabili e fiscali. Ecco le principali regole internazionali e italiane per la loro gestione, le recenti disposizioni fiscali introdotte in Italia e come queste influenzano la rappresentazione e la tassazione delle cripto-attività aziendali

Pubblicato il 30 ago 2024

Alberto Franco

Professore a Contratto di Diritto Tributario presso l’Università di Torino, Ph.D. Of Counsel, Genta & Cappa



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Molto spesso si ritiene che il “fenomeno” dei criptoasset riguardi essenzialmente persone fisiche, sia che si tratti di trader (o holder) di criptovalute, di compravendita di NFT, e così via. In realtà, l’esplosione del settore crypto negli ultimi anni ha comportato l’entrata di numerosi player che non erano stati granché coinvolti in periodi meno recenti, come ad esempio i soggetti istituzionali e corporate.

L’ascesa dei criptoasset nelle imprese

Si pensi ad esempio alle numerose società che, soprattutto negli Stati Uniti, hanno implementato una gestione della tesoreria basata anche sulla detenzione di bitcoin (come ad esempio Microstrategy, società quotata al NASDAQ), oppure ai grandi exchange come Coinbase, anch’esso quotato al NASDAQ. Ovviamente il fenomeno non è solo confinato agli USA: si pensi ad esempio agli exchange italiani (tra cui il torinese Young Platform), alle piattaforme di custodia di cripto-attività, e così via.

Questi soggetti si sono trovati a detenere un’ingente quantità di cripto-attività nell’ambito della loro attività aziendale, e in prospettiva si prevede che diverse altre imprese (non solo di grandi dimensioni) si troveranno nella medesima situazione, dato che la costante e rapidissima evoluzione del mondo crypto sta portando ad un aumento significativo sia degli use case dei criptoasset per le imprese e per il settore finanziario tradizionale (la cosiddetta Traditional Finance o TradFi) sia dell’ecosistema di soggetti e di start-up dedicate anche, o principalmente, alla fornitura di servizi cripto per tali soggetti.

Vi è inoltre da considerare che l’ambito dei token, e in particolare degli NFT, anche se rimane a livelli ancora sensibilmente distanti dal boom vertiginoso dei 2021, ha spinto (e spingerà) molte aziende, specialmente nel settore della moda, del food e del lusso, a voler implementare dei progetti di lancio di cripto-attività, con vari casi d’uso e diversi gradi di collegamento rispetto ai beni “fisici”. Anche in questo caso gli esempi – da Nike a Tiffany, dal mondo della Formula 1 a quello del calcio – sono numerosissimi.

Criptoasset: le principali regole contabili e fiscali nel contesto italiano

Da ciò si evince quindi che anche le imprese si trovano a dover affrontare il tema della fiscalità dei loro cripto-asset, e, prima ancora, dei profili contabili e di rappresentazione in bilancio di queste attività. Nel presente contributo si tratteggeranno quindi, senza pretesa di completezza, le principali regole contabili e fiscali nel contesto italiano.

I profili contabili

Se si guarda ai profili contabili, ovverosia a come contabilizzare le cripto-attività e a come darne rappresentazione in bilancio, allo stato attuale non abbiamo in Italia delle prescrizioni specifiche, ma possiamo fare riferimento a quanto elaborato in sede internazionale, in particolar modo nell’ambito dei principi contabili internazionali IAS/IFRS.

Al riguardo, è opportuno sottolineare che la rilevazione e la rappresentazione contabile delle cripto-attività non può prescindere da un attento esame del rapporto sottostante, perché è evidente come la “sostanza economica” di una criptovaluta sia significativamente diversa, ad esempio, da quella di un utility token o di un NFT. Di conseguenza, dal punto di vista contabile il primo passo è senza dubbio quello di classificare correttamente una cripto-attività, innanzitutto – si ritiene – sulla base della funzione economica della stessa e del rapporto contrattuale sottostante.

Se consideriamo l’ambito delle criptovalute, esse non sono ancora state oggetto di specifica regolamentazione da parte dei principi contabili nazionali né internazionali.

La classificazione IFRS dei criptoasset

Allo stato attuale, pertanto, il trattamento contabile applicabile alle criptovalute è per lo più frutto di interpretazioni, soprattutto da parte dell’IFRS Interpretation Committee per quanto riguarda i principi IAS/IFRS, il quale propende per la classificazione in due possibili categorie[1]:

  1. le attività immateriali (intangible asset), ai sensi dello IAS 38, in quanto le criptovalute integrerebbero la definizione di tali attività come asset senza sostanza fisica, identificabili (separabili, quindi trasferibili), non-monetari (senza un diritto a ricevere, o un obbligo a pagare, un importo fisso o determinabile in unità in valuta);
  2. le rimanenze, ai sensi dello IAS 2, se detenute per scopi di trading. Infatti, tali attività possono esser classificate come rimanenze ai sensi del principio citato se sono “a) possedute per la vendita nel normale svolgimento dell’attività; b) impiegate nei processi produttivi per la vendita; c) sotto forma di materiali o forniture di beni da impiegarsi nel processo di produzione o nella prestazione di servizi” di talché questo inquadramento potrebbe effettivamente essere percorribile per operatori quali gli exchange o i wallet provider, qualora mantengano delle criptovalute per tali finalità.

Nondimeno, le stesse conclusioni sembrano riproponibili anche nell’ambito dei principi contabili italiani (emessi dall’OIC), in quanto non vi sarebbero differenze sostanziali tra l’OIC 24 e lo IAS 38, quantomeno nella definizione della attività immateriali, così come, relativamente alle rimanenze, tra OIC 13 e  IAS 2 – sebbene l’OIC abbia dimostrato alcune perplessità rispetto alle conclusioni raggiunte in sede internazionale con riguardo all’equiparazione concettuale con le immobilizzazioni immateriali[2].

I profili fiscali

Preliminarmente, occorre rilevare che l’inquadramento contabile assume una rilevanza anche ai fini fiscali in quanto è la norma tributaria stessa a valorizzare innanzitutto il dato contabile: per effetto del principio di derivazione del reddito d’impresa dal risultato di esercizio, che trova la sua fonte nell’articolo 83 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), il punto di partenza è rappresentato dal bilancio di esercizio, di talché le norme tributarie provvedono a dettare limiti e condizioni per la rilevanza fiscale di specifiche voci.

Ciò a maggior ragione per i soggetti IAS/IFRS adopter e per i soggetti che redigono il bilancio sulla base dei principi contabili nazionali e sono diversi dalle micro-imprese, in quanto per tali due categorie di soggetti opera il cosiddetto principio di derivazione rafforzata, secondo cui valgono, anche in deroga alle disposizioni del TUIR, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai predetti principi contabili.

In base a quanto appena descritto, pertanto, la qualificazione fiscale delle cripto-attività non può che seguire il dato contabile, e pertanto anche ai fini fiscali sembrano essere applicabili le osservazioni sopra esposte con riferimento ai profili contabili.

La sotuazione in Italia dopo le novità introdotte dalla legge di bilancio 2023

Tuttavia, con la legge di bilancio per il 2023 il legislatore non ha solo normato la fiscalità delle cripto-attività per le persone fisiche, ma ha anche inserito una norma ad hoc per le imprese: è stato infatti inserito il comma 3-bis all’articolo 110 del TUIR, secondo cui “… non concorrono alla formazione del reddito i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle cripto-attività alla data di chiusura del periodo di imposta a prescindere dall’imputazione al conto economico”.

Ciò significa, quindi, che sono esclusi dalla base imponibile (e quindi non sono soggetti a tassazione) eventuali componenti positivi o negativi che risultano dalla valutazione delle cripto-attività, per cui la tassazione è rimandata al momento dell’effettivo realizzo. Infatti, come sottolinea anche la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 30 del 2023, resta fermo che nel momento in cui le cripto-attività sono permutate con altri beni (incluse altre cripto-attività) o cedute in cambio di moneta avente corso legale, la differenza tra il corrispettivo incassato e il valore fiscalmente riconosciuto delle cripto-attività concorre alla formazione del reddito, poiché tali eventi rappresentano dei realizzi sul piano fiscale.

Note


[1] Si veda al riguardo A. Franco, L. Palombi, Le criptovalute nel contesto dell’impresa: aspetti generali, contabili e fiscali, in Diritto ed Economia dell’Impresa n. 5/2022, e la dottrina ivi citata.

[2] F. P. Fabbri, Il trattamento contabile per le criptovalute, in assenza di una disciplina organica a livello nazionale, Euroconference News, 8 marzo 2023

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