L’immunoterapia fa passi da gigante in oncologia. Inoltre il digitale e soprattutto l’intelligenza artificiale (AI) giocano un ruolo crescente nell’ambito dei trattamenti immunoterapici contro il cancro.
Ecco le sfide principali dell’immunoterapia nel trattamento del cancro e quali sono i vantaggi e le eventuali criticità.
Immunoterapia in oncologia: opportunità e criticità
L’immunoterapia ha compiuto progressi significativi in oncologia negli ultimi decenni, offrendo speranze a pazienti affetti da tumori che erano precedentemente considerati difficili se non impossibili da trattare efficacemente.
Pur presentando numerosi vantaggi, ciò non la rende completamente scevra da criticità.
Tra i vantaggi, sicuramente l’alta specificità del trattamento che la contraddistingue dalle terapie “convenzionali”, ovvero chirurgia, radioterapia, chemioterapia, che generalmente vanno a danneggiare anche le cellule sane. L’immunoterapia racchiude diversi tipi di trattamento che mirano a stimolare il sistema immunitario oppure lo istruiscono a riconoscere ed attaccare unicamente le cellule tumorali. Questo permette di selezionare bersagli estremamente specifici, quasi personalizzabili, rendendo la terapia più mirata e di fatto più efficace.
Allo stesso tempo però porta con sé la complessità di scegliere accuratamente i target, aspetto non sempre facile da soddisfare, per evitare che la terapia somministrata vada off-target andando a ledere in parte i tessuti sani oltre alle cellule tumorali di interesse.
Un aspetto cruciale in questo contesto è l’identificazione di biomarcatori in grado di predire la risposta all’immunoterapia. Questo permetterebbe di selezionare i pazienti in maniera più accurata prima dell’inizio del trattamento, migliorando così l’efficacia terapeutica e riducendo al minimo gli effetti collaterali inutili, che possono avere un impatto significativo sulla qualità della vita del paziente, sia durante che dopo la terapia.
La risposta dei pazienti all’immunoterapia
È infatti noto che non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo all’immunoterapia. La risposta varia sia in base al tipo di tumore che da individuo a individuo, poiché ogni tumore presenta caratteristiche uniche che possono influenzare profondamente l’esito del trattamento. Pertanto, è essenziale identificare quei pazienti che trarrebbero maggior beneficio da un determinato approccio terapeutico. Questo non solo migliorerebbe la qualità di vita dei pazienti, ma avrebbe anche un impatto economico rilevante, considerando l’alto costo dei trattamenti immunoterapici. La capacità di identificare con precisione i pazienti da trattare contribuirebbe a ridurre i costi e ottimizzare le risorse sanitarie. L’immunoterapia ha dimostrato un potenziale significativo nel trattamento di tumori resistenti alle terapie tradizionali, con risultati
particolarmente promettenti nel melanoma metastatico e nel carcinoma polmonare (NSCLC).
Un esempio virtuoso di immunoterapia è rappresentato dalle cellule CAR-
T, un trattamento che ha rivoluzionato la gestione di tumori ematici, piuttosto che solidi. Le CAR-T sono cellule autologhe, ovvero prelevate dal paziente stesso, e successivamente ingegnerizzate per essere altamente specifiche nel riconoscere e attaccare le cellule tumorali di interesse.
Questo trattamento ha dimostrato un’efficacia straordinaria, sia a breve che a lungo termine, come nel caso di Emily Whitehead, una paziente affetta da leucemia linfoblastica acuta che, a cui furono somministrate cellule CAR-T nel 2012 al Children’s Hospital di Filadelfia, è ora libera dalla malattia da oltre 12 anni. Questo rappresenta uno degli esempi più significativi del successo dell’immunoterapia.
Tuttavia persistono alcune criticità. Gli effetti collaterali, pur ridotti rispetto alle terapie tradizionali, sono ancora significativi. Inoltre, i costi dell’immunoterapia, insieme alla complessità della produzione e somministrazione di questi trattamenti, possono limitarne l’accesso, soprattutto nei Paesi con risorse sanitarie limitate.
Un altro problema è la possibile insorgenza di resistenza ai trattamenti, anche se questo fenomeno è meno comune con l’immunoterapia rispetto alle terapie tradizionali. Comprendere i meccanismi alla base della resistenza è fondamentale per sviluppare trattamenti più efficaci e migliorare quelli esistenti.
Il caso del trattamento del glioblastoma
Il glioblastoma è il tipo più comune di tumore cerebrale maligno. Si tratta di un tumore cerebrale aggressivo che può colpire a qualsiasi età, ed è generalmente fatale. I pazienti ricevono in genere una diagnosti al pronto soccorso dopo che il tumore ha provocato un attacco epilettico, l’improvvisa perdita della parola o l’incapacità di controllare gli arti di un lato del corpo.
Il tempo medio che intercorre tra la diagnosi e il decesso supera di poco l’anno.
Il primo passo nel trattamento della malattia non è cambiato da decenni: la “resezione massima sicura”, un un intervento chirurgico per rimuovere la maggior parte possibile del tumore, preservando al contempo la funzione neurologica.
Poiché il glioblastoma è però così abile a infiltrarsi nel cervello, il chirurgo lascia quasi sempre dietro di sé il tumore, che ricomincia rapidamente a crescere.
Alcuni pazienti rispondono alle radiazioni o chemioterapia temozolomide, ma anche questo regala alcuni mesi anziché anni al tempo medio di sopravvivenza. Il cancro in altre parti del corpo può essere debilitante, ma il glioblastoma improvvisamente riesce a togliere alle sue vittime la capacità di parola, movimento e pensiero, tutto in una volta.
Roger Stupp, un esperto di glioblastoma (già autore dell’articolo che ha reso la temozolomide “standard di cura”), ha spiegato al New York Magazine che la malattia rappresenta “un cimitero di idee” in cui decenni di ricerca non hanno portato a nulla.
Negli ultimi vent’anni, tuttavia, un campo un tempo fuori moda, l’immunoterapia, ha stravolto tutte le aspettative in oncologia.
La premessa di partenza è semplice. Il sistema sistema immunitario umano è molto bravo ad attaccare tutto ciò che cataloga come malattia. Se potesse lottare contro il cancro, potrebbe eliminare un tumore in modo più completo del coltello di un chirurgo e più duraturo del veleno della chemioterapia.
Marcela Maus, ricercatrice sul cancro al Mass General di Boston, e il suo collega neurochirurgo Bryan Choi pensavano di aver trovato un modo per farlo impiegando il killer multiuso del sistema immunitario: le cellule Car-T, che l’organismo invia per neutralizzare agenti patogeni di ogni tipo (batteri, virus e parassiti), ma di solito non il cancro. Estraendo le Car-T dal sangue di un paziente, modificando il DNA delle cellule in laboratorio e reintroducendole nel sito del tumore, si è riusciti a far sì che l’organismo reagisse al cancro come farebbe con un virus e lo distruggesse.
Choi e Maus avevano trattato il loro primo paziente in uno studio clinico per glioblastoma, infondendo globuli bianchi geneticamente modificati direttamente nel fluido che circonda il cervello. Erano stati svegli tutta la notte a preoccuparsi, soprattutto dopo che il paziente, un uomo di 74 anni, aveva sviluppato la febbre. Choi aveva ordinato una risonanza magnetica.
Quando Maus arrivò nell’ufficio di Choi, le immagini della risonanza magnetica si stavano caricando sul suo schermo. Il tumore del paziente, che pochi giorni prima era apparso sulla scansione come una chiazza luminosa delle dimensio ni di una fragola, era quasi del tutto scomparso. Nessuno aveva mai sentito parlare di di questo tipo di regressione nel glioblastoma, soprattutto non da un giorno all’altro.
Alcune settimane dopo, trattarono un secondo paziente, un ingegnere civile del nord di New York di nome Tom Fraser.
Anche nel suo caso, il processo si ripetè: l’infusione, la febbre e la rapida regressione del tumore.
Dopo che una risposta simile in un terzo paziente, Maus mise in pausa la sperimentazione e scrisse i risultati.
“C’è stata una rivoluzione nella comprensione del cancro e degli strumenti per affrontarlo”, ha detto Daniel Haber, direttore del Mass General Cancer Center, intervistato dal New York Magazine. L’immunoterapia, unita alla genetica delle cellule tumorali, ha realizzato progressi per le forme di cancro precedentemente non trattabili, soprattutto per i tumori liquidi come la leucemia e il linfoma e per i tumori della pelle come il melanoma. Casi senza speranza, che terminavano con una condanna a morte, sono stati curati.
Fino a poco tempo fa, la più grande eccezione a questa parata di buone notizie era rappresentata dai tumori solidi come il tumore del pancreas e il glioblastoma, che hanno resistito a quasi tutti gli sforzi per trattarli con successo. M se i primi risultati ottenuti a Boston dovessero essere convalidati, si entrerebbe nella storia.
Se riusciamo a trattare il glioblastoma, forse il caso più difficile in un campo composto di casi complessi e difficili, non c’è più un cancro che sembri fuori portata.
Choi e Maus hanno pubblicato i loro risultati sul New England Journal of Medicine a marzo. Hanno sentito gli oncologi di tutto il mondo.
Questa primavera ho assistito al tipo di intervento chirurgico al cervello che è lo standard di cura per il glioblastoma, ma che un giorno potrebbe diventare obsoleto. È stato un intervento semplice e allo stesso tempo altamente tecnologico.
Cinque figure in camice blu stavano intorno al paziente, e c’erano schermi su ogni muro impilati come amplificatori a un concerto rock. Una sonda stereotassica permettevano di vedere sul monitor esattamente la posizione del cervello su cui il neurochirurgo stava lavorando.
Le cellule Car-T
Il tessuto canceroso può essere un puntino o uno sciame, ma rimane sempre composto da cellule, in qualche modo diverse dalle altre dell’organismo, altrimenti non sarebbero tumorali. Se si potessero addestrare le cellule T del sistema immunitario a riconoscere questa differenza, significherebbe la fine della malattia.
Gli sforzi per raggiungere questo obiettivo hanno già rimodellato l’oncologia. I ricercatori hanno sviluppato farmaci in grado di legarsi selettivamente alle proteine delle cellule tumorali, inattivandole grazie a terapie mirate.
Hanno scoperto modi per attaccare i tumori modulando la risposta immunitaria dell’organismo (inibitori del checkpoint immunitario).
E sono diventate capaci di far crescere i globuli bianchi fuori dal corpo e reinfonderli per sconfiggere un tumore.
Alcuni di questi approcci, pur essendo efficaci, erano un po’ come allagare la casa per liberarsi dei topi. E se invece potessimo assumere un disinfestatore? Gli immunologi si sono concentrati sulla T, imparando a manipolare il suo codice genetico per indurlo a cercare proteine specifiche sulla superficie delle cellule tumorali.
Altre modifiche hanno inoltre reso le cellule T più attive. La cellula T ingegnerizzata ha un nome speciale: cellula CAR-T. (CAR sta per “recettore chimerico dell’antigene”). Il recettore è quello che lega una cellula T a una proteina sulla superficie di una cellula. L’antigene è un altro nome per quella proteina. La chimera, in questo caso, è l’ibrido tra il normale recettore della cellula T e il suo recettore genetico della cellula T e i suoi componenti geneticamente modificati.
Una decina di anni fa, quando Maus era all’Università della Pennsylvania, il suo mentore, l’immunologo Carl June, sviluppò una terapia CAR-T sorprendentemente efficace per la leucemia.
In alcune forme della malattia, una classe di globuli bianchi chiamata cellule B inizia a dividersi rapidamente.
June e il suo team hanno programmato le cellule CAR-T per colpire una proteina sulla superficie delle cellule B, chiamata CD19.
Le cellule CAR-T hanno svolto il loro lavoro in modo rapido e completo, legandosi al CD19, eliminando i linfociti B e curando la leucemia.
Quasi da un giorno all’altro, le cellule CAR-T sono diventate la tecnologia più innovativa in campo oncologico. Oggi, oltre 34.000 pazienti affetti da leucemia hanno ricevuto una qualche forma di terapia CAR-T. Sono in corso circa 1.100 diversi studi CAR-T in tutto il mondo.
Tutti coloro che hano lavorato nel laboratorio di June sono diventati celebri nel mondo del cancro.
Le Cart-T contro i tumori solidi: lo studio sull’immunoterapia in oncologia
La domanda odierna più grande in oncologia è se questo approccio possa essere utilizzato anche per i tumori solidi.
Maus è stato uno delle decine di specialisti in immunoterapia che hanno iniziato a cercare un tumore adatto per una nuova sperimentazione CAR-T.
“Non sono un’esperta di nessuna malattia in questo momento”, ha detto: “Ma penso molto a come far sì che le cellule T facciano ciò che vogliamo. La cellula T è il mio martello e sono alla ricerca di chiodi”.
Il glioblastoma aveva un “chiodo promettente per il martello” delle cellule T: un antigene chiamato recettore del fattore di crescita epidermico III (EGFRvIII), che non si trova nel tessuto cerebrale sano.
In uno studio clinico iniziato prima di trasferirsi al Mass General, lei e un neurochirurgo della Penn, Donald O’Rourke, hanno somministrato ai pazienti iniezioni endovenose di cellule T modificate per colpire l’EGFRvIII.
L’esperimento è stato un fallimento. Alcune delle cellule CAR-T sono arrivate al cervello dei pazienti, ma non sembravano avere alcun effetto sul tumore. Quando Maus ha aperto il suo laboratorio al Mass General nel 2015, aveva due idee su come migliorare il trattamento, “una grande e una una media”. Quella media consisteva nell’infondere le cellule T direttamente nel fluido che circonda il cervello, il che sperava che avrebbe permesso a un maggior numero di cellule T di raggiungere il tumore.
La grande idea era destinata a risolvere un problema distinto. Il glioblastoma, come la maggior parte dei tumori solidi, è eterogeneo. Le diverse parti del tumore hanno proteine diverse sulla superficie delle loro cellule, il che rende impossibile l’eliminazione di queste ultime con il solo intervento su EGFRvIII.
La nuova cellula CAR-T di Maus è stata ingegnerizzata per secernere una molecola chiamata “engager bispecifico” delle cellule T che ha agito come un nastro biadesivo, rendendo più facile per le cellule T la possibilità di legarsi a una seconda proteina, chiamata “wild EGFR” di tipo selvatico”. L’approccio, ha detto Maus, è stato “il più preciso che potessi immaginare”. Il risultato è stato sorprendente, come abbiamo raccontato all’inizio del box.
Maus si è affrettato a sottolineare i limiti di quanto dimostrato da questa prima fase della sperimentazione. Le cellule T modificate si sono rivelate straordinariamente efficaci, ma alla fine sono anche scomparse, probabilmente uccise dal sistema immunitario dell’organismo.
Ma dei tre pazienti trattati nello studio, uno è morto a causa di una perforazione intestinale, una reazione avversa a un farmaco che stava assumendo. Il secondo ha avuto una recidiva a pochi mesi dalla scomparsa del tumore. E anche Fraser, che ha avuto la risposta più duratura, ha recentemente visto i segni della ricrescita del suo cancro.
June ha paragonato l’esperimento di Maus al suo celebre lavoro con la leucemia. Ci sono voluti solo cinque anni per passare dai primi risultati promettenti all’approvazione della FDA. Oggi, migliaia di pazienti sono stati efficacemente curati. “Penso che entro il 2029 avremo l’approvazione da parte della FDA delle cellule CAR-T per il glioblastoma”, ha affermato. “Sarà una cosa enorme e il 2024 rappresenterà l’anno della svolta”.
(Mirella Castigli)
Big data e AI per personalizzare i trattamenti con immunoterapia in oncologia
Nel campo dell’analisi dei dati, l’utilizzo dei Big data e dei biomarcatori
permette di analizzare grandi quantità di dati genetici e molecolari,
aiutando a identificare quali pazienti risponderanno meglio all’immunoterapia. Questo approccio consente di personalizzare sempre di più i trattamenti, migliorandone l’efficacia e riducendo gli effetti collaterali.
In questo contesto, l’intelligenza artificiale (IA) gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di nuovi farmaci, accelerando il processo di scoperta tramite simulazioni computazionali. I modelli predittivi permettono di identificare nuove molecole promettenti e ottimizzare quelle esistenti, riducendo i tempi e i costi di sviluppo.
L’IA è anche utilizzata per modellare e prevedere la risposta del paziente all’immunoterapia, ottimizzando dosi e combinazioni di terapie personalizzate, non solo per piccoli gruppi, ma anche a livello individuale.
Un esempio pratico è l’applicazione del machine learning per l’analisi delle
immagini dei tessuti tumorali. L’IA è in grado di identificare caratteristiche
microscopiche nei campioni di biopsia, come la presenza di specifiche
cellule immunitarie, che possono indicare come il sistema immunitario del
paziente risponderà alla terapia.
Tecnologie avanzate come l’imaging a massa citometrica (IMC) combinano immagini digitali con l’analisi proteica, permettendo di studiare il microambiente tumorale e la sua interazione con il sistema immunitario. L’IA, analizzando i dati provenienti da queste immagini, aiuta a mappare la presenza e la distribuzione delle cellule immunitarie all’interno del tumore, migliorando la
personalizzazione e l’accuratezza dell’immunoterapia.
I più recenti trattamenti
Alcuni dei più recenti trattamenti finanziati dal NHS Cancer Drugs Fund includono:
- Olaparib per il cancro al seno e alla prostata – due dei tumori più comuni (aprile 2023);
- Dostarlimab, una nuova immunoterapia per il cancro dell’utero in fase avanzata nel marzo 2024;
- Glofitamab, un trattamento potenzialmente curativo per un tipo aggressivo di cancro del sangue, il linfoma diffuso a grandi cellule B, (ottobre 2023);
- terapie antitumorali Car-T per due forme di tumore del sangue – Tecartus e Yescarta (aprile 2023);
- Pembrolizumab, un’immunoterapia per il tumore del collo dell’utero in fase avanzata, è stato reso disponibile nel marzo 2023, che è diventato il primo nuovo trattamento a prolungamento della vita per il tumore del collo dell’utero incurabile in quasi quindici anni.
(Mirella Castigli)