Che cosa sono i flussi informativi? E come è possibile comprenderli e sviluppare un metodo per governarli? I processi organizzativi possono essere considerati in una ottica sistemica? Le organizzazioni sono ancora in grado di governare i loro processi senza considerare la complessità del loro crescente intreccio inestricabile?
A tutte queste domande vuole dare risposta la ricerca indipendente realizzata in anni di studio e di applicazione. E proprio la separazione logica dei due momenti della ricerca ha condotto alla divisione di questo saggio in due parti: quella teorica scientifica e quella pratica applicativa.
Comprendere i flussi informativi e la complessità dei sistemi attuali
Seguo da diverso tempo la questione dei flussi informativi. È accaduto a più riprese attraverso una serie di spontanee intuizioni. Ora sono arrivato a comprenderli e la complessità che governa tutti gli attuali sistemi, di qualsiasi natura questi siano, suggerisce di ricercare una metodologia per il loro governo.
La mia attitudine ad investigare nella conoscenza ha sempre caratterizzato tutta la mia attività lavorativa e divulgativa. È il contesto della ricerca indipendente, una azione priva di condizionamenti, che può arrivare a risultati di eccellenza attraverso percorsi complementari di ricerca di base e applicata condotti, in alternanza, insieme.
Il percorso di cui si tratterà si è articolato in un susseguirsi di azioni, reazioni e retroazioni di volontà di sapere e necessità di fare, avendo però sempre chiaro lo scopo unico che ha sempre caratterizzato la mia attività e cioè che alla ricerca di base condotta con l’obiettivo di investigare la realtà per generare nuova conoscenza, deve sempre seguire la sua applicazione pratica volta a risolvere necessità specifiche, e/o viceversa.
Partiamo tracciando le tappe di un percorso che ha condotto ad una conoscenza profonda di una materia complessa, ottenuta investigando la realtà delle organizzazioni in uno scenario olistico di insieme. Il fine è quello di consentire a tutti coloro che si trovano a vivere, o lavorare, o semplicemente partecipare in contesti strutturati, di immaginare delle evoluzioni finalizzate a generare un nuovo paradigma della relazione organizzativa, un vero e proprio archetipo capace di fondare una nuova generazione di sistemi di gestione.
I passaggi della conoscenza
Al termine del mio percorso universitario di studi di economia, per la tesi di fine ciclo il mio intento fu quello di lavorare su una ipotesi teorica che avevo elaborato essendo uno studente lavoratore. Ero impiegato nel settore IT di una grande azienda di servizi dove avevo sperimentato quanto i dati digitali, se opportunamente distribuiti ai livelli organizzativi operativi, potevano portare una conoscenza diffusa alla base dell’organizzazione.
L’azzardo della piramide rovesciata
Questa intuizione mi portò a teorizzare la piramide rovesciata, un vero e proprio ribaltamento delle strutture organizzative piramidali favorito dalla diffusione degli strumenti digitali di produzione delle informazioni. Certamente, a quei tempi, si trattava di un vero e proprio azzardo, non proprio facile da comprendere nella sua pienezza. Infatti, quando proposi la piramide rovesciata per la mia tesi, il titolare della cattedra di Organizzazione aziendale mi cacciò dalla sua stanza in malo modo.
Ovviamente l’episodio allora non mi lasciò nemmeno il tempo necessario per elaborare un simile categorico rifiuto. Ritenni semplicemente di aver fantasticato con la mente a sufficienza e la cosa finì con quella triste giornata. Mai e poi mai avrei potuto immaginare cosa sarebbe successo solo alcuni anni dopo.
E così a distanza di tempo a Roma, presso la sede del CNEL, partecipai ad un interessante convegno di studi organizzato dall’UNI dal titolo “Il futuro dei sistemi di gestione”, per un confronto di esperienze su tematiche inerenti alle norme per la gestione della qualità, sicurezza e ambiente, le tecniche di supporto, i progetti allo studio e l’integrazione dei sistemi.
La necessità delle organizzazioni di adottare sistemi di controllo dei flussi informativi
A seguito di quell’evento ho pubblicato un articolo sulla rivista dell’UNI Unificazione & Certificazione dal titolo omonimo nel quale scrivevo “… da tutte queste considerazioni appare che la ricerca dell’evoluzione futura dei sistemi di gestione sia centrata su una palese necessità delle organizzazioni di adottare nuove caratteristiche digitali di funzionamento attraverso l’impiego sempre più diffuso di sistemi di controllo dei flussi informativi sottostanti ai processi aziendali.
D’altra parte, nel 2006, nel mio libro e-facility scrivevo: “L’impatto della tecnologia sui sistemi organizzativi non può essere sottovalutato se si considera quale cambiamento ha subito la stessa nomenclatura nel descriverne il passaggio innovativo nel tempo. Seguendo la terminologia anglosassone, infatti, la tecnologia informatica definita con il termine information tecnologies (IT), si è inizialmente evoluta in tecnologia dell’informazione e della comunicazione definendosi information and comunication tecnologies (ITC), nell’enfatizzare la sua capacità di diffusione dell’informazione e non più solo di produzione e, successivamente, più propriamente in tecnologia del flusso informativo, information flow (IF), proprio per evidenziare al meglio la sua capacità di governare processi di attività” [1].
L’importanza del monitoraggio dinamico del flusso delle informazioni digitali
E così già allora, nella mia attività di ricerca indipendente, era chiaro come questo successivo passaggio, che partiva dal riferimento alla mera tecnologia passando attraverso quello della comunicazione informativa per raggiungere quello del concetto di flusso informativo, fosse estremamente significativo perché evidenziava l’importanza che man mano andava assumendo il monitoraggio dinamico del flusso delle informazioni digitali.
Per rispondere a tale evoluzione strutturale delle caratteristiche dell’innovazione tecnologica, all’interno delle necessità future dei sistemi di gestione, si dovrà quindi dare impulso alla generazione di nuovi strumenti partecipativi di gestione della conoscenza.
Flussi informativi e passaggi di azione
I flussi informativi, infatti, hanno una diretta correlazione con i “passaggi di azione” che diverse parti dell’organizzazione scambiano tra loro e mai come ora questa condizione necessita di una revisione totale dei modi di comprendere il funzionamento dei sistemi.
È proprio a proposito di passaggi di azione che nel 2009 in occasione della pubblicazione della 2a edizione di e-facility scrivevo della “tecnica, denominata metodo analitico delle transazioni, una metodologia di ingegneria del software che utilizza come strumento di analisi le transazioni cliente/fornitore, descritte in linguaggio naturale e disegnate in modalità grafica unificata.
L’approccio transazionale
L’approccio transazionale è uno strumento di analisi e progettazione di sistemi complessi che consiste nella scomposizione del funzionamento generale in scambi elementari di rapporti cliente/fornitore.
L’approccio cliente/fornitore è anche alla base dei principi della qualità totale. La definizione della transazione si basa, quindi, sul ruolo che ciascun attore riveste secondo una scomposizione cliente/fornitore nell’ambito di uno specifico rapporto organizzativo ed interorganizzativo. L’attribuzione dei ruoli organizzativi ed interorganizzativi deve essere chiaramente definita. A livello interorganizzativo, tra organizzazioni, tale attribuzione è desumibile in modo formale dai contratti e pertanto la chiara definizione dei ruoli è più semplice. A livello organizzativo, interno alla singola organizzazione, l’esatta individuazione dei ruoli può, invece, essere molto più complessa dato che ogni attore (singola persona, ufficio, funzione o divisione) può essere simultaneamente coinvolto in relazioni interdipendenti tra loro e che tutte queste difficilmente sono formalizzate in procedure e mansionari.”[2].
È incredibile oggi verificare quanto fossi già così vicino ad interpretare il significato profondo del valore delle relazioni tra gli attori di una organizzazione, una delle caratteristiche fondamentali del pensiero sistemico.
Il mito del miglioramento continuo
Eppure, il modello organizzativo imperante è quello dei i sistemi di gestione per la qualità che prevedono proprio l’esistenza della “direzione”. È questa che provvede ciclicamente ad una supervisione attraverso il “riesame” ed alla concezione del “piano di miglioramento” con un’azione concepita o, meglio, accettata, ancora come top-down.
Questo modo di gestire prevede la capacità della direzione di saper interpretare i sistemi e soprattutto di poterli modificare attraverso una successione di: pianificazione, applicazione di procedure e controllo dei risultati tra pianificato e attuato. Da questo procedimento di modifica, di cambiamento del sistema, ne scaturirebbe un’azione di miglioramento confidando sul fatto che il raggiungimento del risultato pianificato abbia necessariamente un carattere positivo.
La ripetizione di tale agire si concretizza nell’applicazione del principio definito come “miglioramento continuo” e noto come “ciclo di Deming” in cui il carattere di continuità suggerisce una ipotesi di capacità senza fine.
Sembra che la totale accettazione di tale modalità di funzionamento sia tale da impedire lo sviluppo di pratiche alternative di gestione e questo appare particolarmente grave essendo oramai chiaro come sia arrivato il momento di conoscere esattamente come stanno le cose.
Intanto per il fatto che la fase dell’agentività in realtà è diffusamente confusa con quella della pianificazione, mentre l’azione di cambiamento si ha invece proprio nel “riesame” come momento creativo di qualcosa di nuovo o innovativo, diverso da sé. Ed è bene ricordare che il significato di agentività è connesso con quello di autoefficacia, proprio nel senso di una volontà di azione capace di generare cambiamento prescindendo dall’esito finale.
Ma soprattutto perché questo infinito procedere, il miglioramento “continuo” avrebbe un reale significato solo in un contesto di permanenza per il quale sarebbe possibile immaginare che, ferme restando le condizioni generali di base, una organizzazione può realmente verificare il proprio miglioramento.
Ma questo scenario non esiste più oramai da diverso tempo e per questo, in un contesto di complessità, l’idea di un progressivo miglioramento infinito, basato su una ciclica successione di fasi, non ha veramente alcun senso. È evidente, infatti, che la mutazione generale di tutte le variabili di fondo, modificando completamente il contesto di riferimento, annulla di fatto ogni precedente azione definita per una realtà diversa da quella ora esistente.
Tale continua mutazione deriva dalla complessità del contesto di riferimento: un ecosistema globale, mix di sistemi sociali, politici, economici, ambientali, oltre altri, che unisce ogni fenomeno organizzativo ad un unico “tutto” completamente disordinato.
La necessitù di un nuovo modo di comprendere le organizzazioni
È questa complessità generale che deve condurre ad un nuovo modo di comprendere le organizzazioni nelle quali i classici tre livelli organizzativi (strategico, tattico e operativo) ormai non hanno più alcun senso. Nessuna “direzione”, infatti, può più essere capace di comprendere da sola l’ecosistema globale. Se non fosse così, non si spiegherebbe perché la maggior parte dei sistemi, al di fuori di una falsa normalità apparente, non funziona per nulla!
Se poi consideriamo che il contesto di riferimento in realtà è quello della caoticità, cioè quello nel quale non c’è apprendimento ma solo azione e adattamento, allora il significato di agentività, come capacità di determinare il cambiamento senza il controllo preventivo dei risultati, si palesa come unica via di azione.
Ma c’è ancora di più.
La fine delle best practice
Bisogna ricordare che, quando consideriamo i modelli organizzativi di gestione, di fatto ci riferiamo a uno standard, quello del controllo della qualità che, anche se adeguato alle mutevoli realtà dei mercati, proprio perché previsto come processo efficace per qualsiasi tipo di contesto e di organizzazione, si sostanzia in una best practice. Non possono esserci dubbi su questo. Quando si adotta uno standard si diventa conformi ad uno schema di riferimento.
Uno schema in sostanza è una semplificazione della realtà che considera un numero limitato di variabili, relazionate con andamenti lineari e di natura esclusivamente quantitativa.
Così, ogni best practice è basata su uno schema, su un’esperienza che ha dimostrato la sua capacità positiva di agire. E suggerire un passato significa ancora facilitare la soluzione di un problema e in tal senso, in generale, si ritiene di poter consigliare come agire in determinate condizioni per generare opportuni risultati.
Per questo, il dominio di riferimento di una simile impostazione di azione è quello nel quale le relazioni di causa/effetto sono note all’organizzazione o, spesse volte, ad agenti al di fuori dell’organizzazione.
Ebbene, questa condizione di semplicità del contesto nella realtà non esiste più.
La condizione attuale delle nostre società è quella di essere soggetti a continui cambiamenti modificativi in gran parte connessi ad una capacità di innovazione della tecnica e della tecnologia che sembra ormai capace di modificare continuamente e radicalmente il funzionamento delle nostre organizzazioni. Questi cambiamenti determinano la generazione di contesti sempre nuovi che necessitano di nuova conoscenza e esperienza che spesse volte non viene nemmeno raggiunta, tanto è la velocità di ulteriori nuove modifiche generative. In sostanza quindi il dominio in cui esistiamo è quello di una complessità che aumenta a dismisura man mano che ogni cambiamento si trova ad interagire con tutti gli altri sistemi anch’essi in continuo divenire.
Inoltre, per quanto riguarda la capacità di conoscenza delle relazioni di causa effetto da parte dell’organizzazione o di agenti al di fuori dell’organizzazione, occorre dire che alla luce delle evoluzioni dei sistemi socioeconomici dovrebbe oramai apparire chiaro come entrambe queste alternative, accettate come normali fino ad ora, debbano essere severamente criticate perché evidentemente negative.
Un mercato dominato dal gigantismo
Nel primo caso, infatti, la capacità autonoma dell’organizzazione corrisponde all’idea di agire attraverso le buone pratiche, il che ovviamente non fa altro che omologare le organizzazioni. Non è un caso se, in questo senso, la visione strategica che Michael Porter ha delineato con il suo vantaggio competitivo per differenziazione[3]sia quanto di meno applicato nei contesti aziendali più diffusi a livello mondiale.
Nel mercato ormai impera il gigantismo! Le aziende competono solo sulla leva del prezzo e per sopravvivere hanno necessità di conquistare fette di mercato via via sempre maggiori. Per far questo cercano tutti i modi possibili di diminuire i costi della produzione, quasi esclusivamente attraverso la riduzione delle risorse umane, spesso con delocalizzazioni in paesi terzomondisti dove le condizioni di lavoro sono vicine a definirsi disumane e quando non riescono più nella loro unica strategia si fondono tra loro e, approfittando di un modo di funzionamento comune, quella omologazione che funge da collante, crescono di dimensione. Ma tali aggregazioni riducono di fatto la competizione fino a generare un modello per oligopolio diffuso in tutti i settori della produzione di beni e servizi. Un vero danno per la concorrenza, annientata dagli “accordi di cartello” e conseguentemente per gli stati, i governi, le popolazioni, gli utenti e i consumatori.
Nel secondo caso, ancora peggiore, le organizzazioni e, in particolar modo quelle di grande dimensione compresi anche i governi dei paesi, ricorrono a società di consulenza esterne divenendone ben presto dipendenti, fino a generare un vero e proprio fenomeno di infantilizzazione delle loro capacità manageriali, come hanno ben descritto Mariana Mazzucato e Rosie Collington nel loro inquietante libro “Il grande imbroglio”[4].
Non esistono più contesti semplici o complicati: ogni sistema è immerso nella complessità
La verità è che non esistono più contesti semplici o complicati, dove possono essere note le relazioni di causa/effetto dei fenomeni e per questo l’idea di poter procedere con il paradigma del miglioramento continuo: analizzare, pianificare, agire e controllare non può più considerarsi valida. Oggi ogni sistema è completamente immerso nella complessità e molti anzi moltissimi sono i sistemi caotici e in queste configurazioni non c’è proprio nulla che puoi prendere dall’esperienza passata.
In verità, infatti, come ho avuto già modo di dire in altre occasioni, il mondo è nel caos! Non è vero che siamo in un mondo complesso. Il mondo è al collasso e i suoi problemi cruciali: povertà, disuguaglianza, pandemie, guerre, crisi ambientale, etc. nascondono la vera causa del collasso, una miriade di sistemi che non funzionano, il caos!
Non si apprende dal caos
Nella complessità i sistemi consentono di apprendere dall’azione, mentre non è così nel caos.
La pandemia Covid ha dimostrato come non si apprende dal caos. L’”effetto farfalla”[5] si è determinato in una cittadina della Cina e si è propagato a livello globale con una velocità tale da mettere il mondo in ginocchio. Nel dominio caotico non c’è passato: non ci sono dati, né protocolli, né insegnamenti. E non c’è apprendimento. Bisogna agire ed evolvere.
Sono note le posizioni di molte persone rispetto alle decisioni dei governi. I governi hanno agito. Hanno tentennato ma alla fine hanno agito senza nessuna certezza di sapere come sarebbe andata a finire. E lo hanno fatto a più riprese sempre senza avere il timone stretto tra le mani. E così tutti con il fiato sospeso a vedere come la situazione stava evolvendo.
L’insegnamento della pandemia (che non abbiamo appreso)
Oggi, superato il momento del caos, c’è un aspetto fondamentale da considerare. Il più grande insegnamento della pandemia Covid è stato la dimostrazione che l’intera umanità può cambiare completamente le sue abitudini di vita se lo vuole, o se ce ne è bisogno o se è costretta a farlo. Mi riferisco ovviamente al periodo del lockdown. I cittadini di tutto il mondo chiusi per mesi forzatamente nelle loro case. Una unica condizione accettata da tutti nel bene o nel male.
Perché lo hanno fatto i cittadini di tutto il mondo?
Semplicemente perché era un problema che investiva tutti indistintamente nello stesso modo.
Cosa abbiamo imparato da questa esperienza?
L’umanità intera potrebbe affrontare radicalmente la gran parte delle situazioni terribili che affliggono il mondo, in poco tempo con azioni mirate realizzate insieme all’unisono, attraverso la sua capacità di cambiamento totale dimostrata dallo straordinario esempio della pandemia Covid. Ora sappiamo che possiamo fare cambiamenti repentini e radicali. Eppure, cosa ne abbiamo fatto di questa capacità? Nulla!
Non abbiamo imparato perché non abbiamo appreso. Ma non solo, sembra che la nostra volontà manifesta sia di dimenticare anche l’esperienza.
Conclusioni
E allora, come agire?
La risposta viene proprio dall’olismo se comprendiamo che oramai non c’è nessun aspetto dell’”intero” del quale in qualche modo non siamo partecipi. Forse può sembrarci lontano o indiretto. Ma in realtà nella complessità dell’intrecciò che noi stessi abbiamo determinato non è più così. Niente affatto.
Se sapessimo osservare i sistemi realmente, e oggi ne abbiamo diverse possibilità, potremmo verificare quanto è diffuso il potenziale della farfalla.
Invece stiamo verificando esattamente il contrario. Sembra che il tempo stia passando per alimentare nuovi “governatori”, nuove direzioni delle organizzazioni, capaci di sfidare il “tutto” con quella caratteristica sempre più diffusa di tutti coloro che in qualche modo raggiungono vertici di comando: la superbia.
Di fronte a questo scenario occorre immaginare organizzazioni capaci di generare quelle nuove capacità di rinnovamento che tutti i contesti di relazione: politici, istituzionali, aziendali, organizzativi, spirituali, familiari e personali, anelano con sempre maggiore forza.
Note
[1]) Andrea Tiveron, e-facility – modelli organizzativi di e-business per il facility management, Legislazione tecnica editrice, Roma, 2006.
[2]) Andrea Tiveron, e-facility – modelli organizzativi di e-business per il facility management, 2a edizione, Legislazione tecnica editrice, Roma, 2009.
[3]) Michael E. Porter, Il vantaggio competitivo, Einaudi, 2011.
[4]) Mariana Mazzucato, Rosie Collington, Il grande imbroglio, Laterza, 2023.
[5]) Si riferisce in genere al concetto secondo cui, a causa della stretta relazione tra tutti i sistemi, variazioni anche minime in un contesto potrebbero portare a conseguenze gravi e distruttive in altri nel lungo termine. Il termine si attribuisce, infatti, alla famosa frase: “Il battito d’ali di una farfalla in Brasile, potrebbe provocare un tornado in Texas (a distanza di tempo)” attribuita allo studioso Edward Lorenz, matematico e meteorologo statunitense.