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Smart working in Italia e Ue: le norme fiscali da conoscere



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Lo Smart Working ha visto un’espansione significativa durante la pandemia da Covid-19. Una panoramica sull’evoluzione normativa e gli impatti positivi di questa modalità lavorativa, inclusi i protocolli nazionali e gli accordi internazionali, come quello tra Italia e Svizzera, e le implicazioni fiscali per i lavoratori transfrontalieri

Pubblicato il 24 set 2024

Roberta De Felice

Consulente del Lavoro

Giorgia Tosoni

Consulente del Lavoro



smart working (1)

Lo smart working, o lavoro agile, ha rivoluzionato il mondo del lavoro, soprattutto durante la pandemia da Covid-19. In Italia, questa modalità è stata formalmente introdotta con la Legge n. 81 del 2017, ma la sua diffusione ha sollevato nuove sfide normative, specialmente in ambito fiscale.

Una panoramica sulle principali normative fiscali italiane ed europee da conoscere per una gestione ottimale dello smart working, con particolare attenzione agli accordi internazionali e alle implicazioni per i lavoratori transfrontalieri.

Lo smart working in Italia

Il lavoro agile, meglio conosciuto come “Smart working”, è stato introdotto nell’ordinamento italiano con la Legge n. 81 del 22 maggio 2017 la quale si proponeva di regolamentare, di fatto, una diversa modalità di svolgimento dell’attività lavorativa incrementando parallelamente la competitività delle imprese e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, con l’ausilio del crescente sviluppo tecnologico in ambito lavorativo.  

L’impennata dello smart working durante il Covid

Come noto, tuttavia, il lavoro agile ha visto il suo massimo utilizzo e diffusione durante la pandemia da Covid19, periodo in cui la chiusura forzata e l’obbligo di distanziamento hanno reso tale modalità lavorativa, per molte realtà produttive, l’unica possibile.

Il permanere del lavoro agile all’interno delle aziende anche successivamente alla fine dello stato di emergenza e l’utilizzo sempre più diffuso dello stesso, ne constatano i benefici, non solo in termini di miglioramento della qualità della vita dei lavoratori, ma anche in termini di sostenibilità ambientale e di benessere collettivo.

Le disposizioni legislative

Pertanto, a fronte dell’intensificarsi dell’utilizzo del lavoro agile anche il legislatore è intervenuto introducendo una serie di disposizioni volte a semplificare e agevolare l’impiego di tale modalità lavorativa. Si pensi, infatti, alla facoltà opportunamente riconosciuta per un lungo periodo di tempo a lavoratori fragili e genitori di fruire dello smart working senza la sottoscrizione di alcun accordo con il datore di lavoro, o a livello operativo, al processo di snellimento effettuato sulle modalità di comunicazione degli accordi individuali al Ministero del Lavoro, oltre al contestuale inserimento del lavoro agile nei contratti collettivi nazionali e di secondo livello.

Il “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” nel settore privato

A tal riguardo di notevole importanza è il “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” nel settore privato siglato il 7 dicembre 2021 dal Ministero del Lavoro e le Parti sociali, volto a tracciare le linee guida recepibili dalla contrattazione collettiva nazionale, aziendale e territoriale, per il corretto svolgimento del lavoro in modalità agile, nel rispetto della disciplina legale e degli accordi collettivi.

Tra i punti fondamentali riportati nel Protocollo si ricordano: (i) l’adesione del tutto volontaria nelle realtà aziendali che ne fanno utilizzo, senza che ciò implichi provvedimenti di natura disciplinare nei confronti dei lavoratori non aderenti, (ii) la necessità della sottoscrizione di un accordo individuale tra le parti, datore di lavoro e dipendente, per lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile, ai sensi della Legge n. 81 del 2017, (iii) il riconoscimento ai lavoratori da remoto del diritto alla disconnessione, (iv) la tutela in termini di salute e sicurezza, (v) la parità di trattamento normativo e retributivo rispetto ai colleghi che svolgono la prestazione unicamente all’interno dei locali aziendali.   

Dinanzi all’incremento dello svolgimento dell’attività lavorativa in modalità agile, a livello europeo ed internazionale, si è sentita la necessità di un intervento congiunto da parte dei Paesi coinvolti, al fine di meglio regolamentare, con particolare riguardo al trattamento fiscale, il contemporaneo svolgimento della prestazione lavorativa da parte dei c.d. smart worker in due o più Stati.

Un esempio di intervento estero: gli accordi bilaterali tra Italia-Svizzera

Relativamente agli interventi normativi di carattere internazionale si ritiene opportuno richiamare la recente sottoscrizione del nuovo protocollo tecnico di modifica e integrazione dell’Accordo frontalieri del 23 dicembre 2020 in vigore tra Italia e Svizzera finalizzato a disciplinare durevolmente la questione del telelavoro – di fatto, lavoro agile – per i lavoratori frontalieri.

Il nuovo protocollo sottoscritto il 6 giugno 2024, a cui è susseguito il disegno di legge cosiddetti “frontalieri”, fa seguito ad una dichiarazione di intenti del 10 novembre 2023, ora definitivamente sostituita, ed avrà efficacia retroattiva al 1° gennaio 2024.

Oggetto della nuova disposizione, già contenuta nella dichiarazione di intenti, è la possibilità, riconosciuta ai lavoratori frontalieri, di poter svolgere fino ad un massimo del 25% della propria attività di lavoro dipendente in modalità agile – presso il proprio domicilio – senza che ciò comporti alcuna modifica allo status di lavoratore frontaliere, e incida sul regime fiscale normativamente riconosciuto a tale categoria.

La disciplina fiscale imposta ai lavoratori frontalieri

Relativamente alla disciplina fiscale imposta ai lavoratori frontalieri, compresi coloro che, rimanendo all’interno del 25% del proprio tempo di lavoro, svolgono attività da remoto, l’Accordo del 23 dicembre 2020, recepito dalla Legge n. 83 del 2023 e applicabile dal 1° gennaio 2024,  introduce una tassazione concorrente dei redditi di lavoro frontaliere, rispetto a quanto previsto dalla normativa precedente che disponeva la sola tassazione nello Stato in cui veniva svolta l’attività lavorativa.

Con le nuove disposizioni, lo Stato contraente in cui viene svolta l’attività lavorativa continuerà, di fatto, ad applicare la tassazione sui redditi prodotti dal lavoratore frontaliere, pur nella misura non superiore all’80% dell’imposta risultante. A sua volta lo Stato di residenza del lavoratore provvederà all’assoggettamento fiscale del medesimo reddito e ad eliminare la doppia imposizione secondo quanto previsto dalla convenzione fiscale in vigore tra i due Paesi.

Le novità impositive riguardano i soli cosiddetti “nuovi frontalieri”, ossia coloro che hanno iniziato l’attività lavorativa da frontaliere successivamente al 17 luglio 2023 (entrata in vigore dell’Accordo del 23 dicembre 2020), prevedendo per i frontalieri già in attività a tale data, oppure per coloro che hanno svolto attività di lavoro nell’area di frontiera tra il 31 dicembre 2018 e il 17 luglio 2023, il mantenimento del precedente regime fiscale, con tassazione esclusiva nello Stato in cui viene svolta l’attività lavorativa.

Telelavoro transfrontaliero: gli impatti a livello internazionale e il parere Cese

Di particolare interesse è, inoltre, il parere espresso dal Comitato economico e sociale europeo, Cese, C/2024/2479,pubblicato in Gazzetta Ufficiale UE, serie C, il 23 aprile 2024, in tema di “tassazione dei telelavori transfrontalieri a livello mondiale e impatto sull’UE”.

La necessità di un adeguamento delle norme fiscali

Il Cese, nel riconoscere un mutamento nello svolgimento dell’attività lavorativa a livello globale generato dalla diffusione degli “smart worker”, segnala la necessità di un adeguamento delle norme fiscali, evidenziando da un lato le criticità connesse ai lavoratori che pur operanti da remoto in uno Stato risultano impiegati in un altro Stato, dall’altro l’assenza di una regolamentazione comune tra i Paesi, a fronte di un differente regime fiscale applicato a seconda dei casi, in base agli accordi bilaterali in essere tra gli Stati.

Il Comitato, all’interno del proprio parere, propone come possibile soluzione che la tassazione dei redditi dei telelavoratori transfrontalieri avvenga nel Paese in cui ha sede il datore di lavoro. Ciò, tuttavia, determinerebbe un impatto fiscale sullo Stato di residenza del lavoratore in termini di aumento della spesa pubblica a fronte di una minor entrata del gettito fiscale. Come rimedio, quindi, suggerisce un meccanismo di ripartizione delle entrate fiscali, determinato ad esempio in funzione della presenza effettiva dei lavoratori nei Paesi interessati attraverso i dati forniti dal datore di lavoro all’autorità fiscale del proprio Paese.

Secondo quanto sostenuto dal Cese, tale proposta, volta a semplificare e armonizzare la disciplina fiscale dei lavoratori transfrontalieri, potrebbe facilitare l’adozione di un corpus di norme più omogeneo.

Trattamento fiscale e regime agevolato dei lavoratori da remoto

Da ultimo, qualche considerazione merita il trattamento fiscale dei c.d. “nomadi digitali” o “lavoratori da remoto” ovverosia quei lavoratori – autonomi o subordinati – che attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici, svolgono da remoto la loro attività in autonomia o per conto di aziende, a prescindere che queste ultime siano o meno residenti nel territorio italiano.

È opportuno ricordare, nel richiamare tali figure lavorative, che qualora provenienti da Paesi Extra – UE e altamente qualificate, il recente Decreto Ministeriale del 29 febbraio 2024 (pubblicato in G.U. n. 79 del 4 aprile 2024) ne agevola l’entrata in Italia al di fuori delle quote flussi annualmente fissate, subordinandone l’ingresso per lo svolgimento dell’attività lavorativa al rilascio del visto e del permesso di soggiorno in qualità di nomadi digitali o lavoratori da remoto.

Come noto, con riferimento alla tassazione fiscale dei redditi da lavoro dipendente maturati in Paesi esteri, compresi i redditi percepiti dai lavoratori da remoto, il principio esposto all’articolo 15 del Modello OCSE prevede la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro subordinato nello Stato di residenza del lavoratore, salvo che l’attività lavorativa non venga svolta in un altro Stato contraente. In tal caso, infatti, si avrebbe un’imposizione dei redditi concorrente in entrambi i Paesi.

La stessa Ocse chiarisce al paragrafo 1 del Commentario all’art. 15, che il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è remunerato.

La circolare 25/23 dell’Agenzia delle Entrate

Sul punto è quindi intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 25 del 2023, che, illustrando i profili fiscali dei lavoratori da remoto e richiamando i principi convenzionali dell’OCSE, riporta due esempi pratici per meglio chiarire quanto previsto in tema di (i) regime fiscale applicato ai lavoratori residenti in Italia che svolgono attività lavorativa in parte in modalità agile nel Paese di residenza e in parte presso i datori di lavoro situati in Paese esteri e di (ii) tassazione fiscale applicata ai soggetti non residenti, che svolgono attività da remoto nel territorio italiano per datori di lavoro situati in un altro Stato contraente.

Nel primo caso, i redditi percepiti per il lavoro svolto da remoto nel territorio dello Stato italiano saranno imponibili nello stesso, mentre quanto percepito per l’attività prestata nella sede di lavoro estera sarà oggetto di tassazione concorrente, fermo restando la convenzione contro le doppie imposizioni presente tra i due Stati contraenti. Diversamente, nel secondo caso, il lavoratore è soggetto ad imposizione fiscale in Italia per la sola parte dei redditi imputabile all’attività qui svolta, tenuto conto dell’assoggettamento degli stessi redditi prodotti anche nello Stato di residenza del lavoratore (salvo la presenza di una convezione contro le doppie imposizioni tra i due Stati).

Rispetto al regime fiscale applicato ai remote worker e alla normativa migratoria sopra richiamata, volta a facilitare l’ingresso dei lavoratori altamente qualificati, l’Agenzia delle Entrate, nella medesima circolare n. 25 del 2023, riconosce la possibilità ai lavoratori da remoto che trasferiscono la propria residenza nel territorio dello Stato italiano di poter fruire dell’agevolazione fiscale per i lavoratori impatriati.

Tale agevolazione, a seguito delle ultime disposizioni in vigore (Decreto Legislativo n. 209 del 2023), prevede nei limiti di reddito di 600.000 euro, di poter beneficiare di una tassazione fiscale ridotta per un periodo di 5 anni, per effetto dell’applicazione della tassazione sul solo cinquanta per cento dell’imponibile fiscale.

I requisiti di accesso

Si ricorda, tuttavia, che l’applicabilità del predetto beneficio è subordinato a determinati requisiti d’accesso, tra cui rientrano: (i) l’aver trasferito la residenza fiscale in Italia non prima del 1° gennaio 2024, (ii) non aver risieduto fiscalmente in Italia nei 3 anni precedenti il trasferimento, innalzati a 6 o 7 anni nei casi individuati dal predetto decreto, (iii) lo svolgimento dell’attività lavorativa per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio italiano, (iv) l’appartenenza alla categoria di lavoratori con elevata qualificazione o specializzazione, (v) l’impegno a risiedere fiscalmente nel territorio italiano per almeno 4 anni.

Conclusioni

Concludendo, appare evidente che i requisiti essenziali per la fruizione del regime agevolato risultino fortemente in contrasto con la mobilità che caratterizza le figure lavorative dei nomadi digitali e lavoratori da remoto qui analizzate, i quali, onde evitare di incorrere in un recupero dei benefici fiscali goduti dovranno procedere ad un’attenta valutazione riguardo la fruizione dell’agevolazione.

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