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Lavoro da remoto: il ruolo delle competenze digitali e psicologiche



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Con la crescente diffusione del lavoro remoto è fondamentale capire e valutare quali sono le competenze necessarie e identificare quali fattori incidono sull’atteggiamento e le prestazioni dei dipendenti

Pubblicato il 1 ott 2024

Chiara Cilardo

Psicologa psicoterapeuta, esperta in psicologia digitale



smart working (1)

Sono trascorsi oltre quattro anni da quando, nel marzo del 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato il Covid-19 un’emergenza globale, dando ufficialmente inizio a mesi di incertezze non solo sul fronte umanitario ma anche sociale ed economico. Non possiamo sapere se, senza questi eventi, la digitalizzazione e lo smart working, il lavoro da remoto, avrebbero avuto lo stesso sviluppo; quello che sappiamo con certezza però è che oggi è una soluzione adottata da molte aziende.

Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2023 i lavoratori da remoto in Italia erano circa 3,6 milioni, in crescita rispetto all’anno precedente; la stima è che durante il 2024 aumenteranno ulteriormente. Nel complesso l’aumento è del 541% rispetto al periodo pre-pandemia che, quindi, ha segnato un cambiamento storico e netto nel modo in cui concepiamo il lavoro. Anche se i numeri variano sensibilmente confrontando grandi imprese, PMI e pubblica amministrazione, – è nelle prime che si registra un largo impiego – vi è in tutte queste realtà l’adozione di una qualche forma di lavoro da remoto o iniziative per promuovere lo svolgimento di mansioni in modalità smart. Ma qual è l’impatto del lavoro da remoto sul benessere e sulla produttività? Quali tipi di dipendenti sono maggiormente predisposti al lavoro da remoto?

Pro e contro del lavoro da remoto

In generale da un lato maggiore flessibilità, miglior equilibrio tra vita personale e professionale e l’eliminazione di tempi morti come il pendolarismo aiutano a ridurre lo stress; dall’altro, la mancanza di confini ben definiti tra lavoro e vita privata può far sentire costantemente sotto pressione e il lavorare da soli può portare a un senso di isolamento sociale.

Bilanciare meglio lavoro e vita familiare è comunemente riportato come uno dei principali vantaggi del lavoro da remoto. Ma non sempre è così: ad esempio, lavorare da casa può comportare interruzioni, specialmente per chi ha figli e si vede impegnato allo stesso tempo nella gestione del carico lavorativo e domestico. E, a oggi, sono ancora le donne a risentirne di più: il divario di genere si manifesta soprattutto nella gestione delle faccende domestiche e nella cura dei figli, responsabilità che ricadono prevalentemente su di loro (Xiong etal., 2024).

Oltre agli aspetti pratici, ci sono poi altri fattori che incidono. Lavorare in presenza o da remoto non è la stessa cosa. Il lavoro da remoto richiede un utilizzo intensivo di strumenti digitali e di esser costantemente connessi e di conseguenza chi ha meno dimestichezza con le tecnologie può sentirsi insicuro, ansioso e sotto pressione, mentre chi possiede competenze digitali adeguate è in grado di gestire i compiti a distanza con maggiore facilità. Il divario digitale, soprattutto se mettiamo a confronto generazioni differenti, viene spesso sottovalutato ma rimane tuttora una delle principali cause di insoddisfazione lavorativa (Ihm et al., 2024). Sentirsi o meno a proprio agio lavorando da remoto dipende anche da variabili psicologiche. Per esempio, non per tutti l’aumento dell’autonomia nella pianificazione e organizzazione coincide con un vantaggio ma, al contrario, può generare preoccupazione.

Adattarsi a un lavoro flessibile: le competenze digitali

Il costrutto di competenze digitali fa riferimento all’insieme di “capacità di utilizzare efficacemente le tecnologie digitali e gli strumenti informatici per svolgere attività quotidiane e professionali” e include delle sotto categorie: competenze operative (capacità di base necessarie per utilizzare Internet, come la navigazione e la ricerca di contenuti online); di orientamento (capacità di evitare di “smarrirsi” nel flusso informativo infinito e di mantenere il focus sull’attività che si sta svolgendo); informative (capacità di valutare e selezionare le informazioni necessarie); infine, le competenze strategiche (riuscire a raggiungere obiettivi attraverso l’uso mirato ed efficace delle tecnologie) (Xiong etal., 2024). Inoltre, un buon livello di competenze digitali riduce il “technostress”, ovvero l’insieme dei sintomi di ansia, irritabilità, sovraccarico cognitivo causato dall’uso improprio di dispositivi e tecnologie (Tramontano et al., 2021).

In generale, chi ha competenze digitali avanzate non ha difficoltà a lavorare da remoto e in autonomia perché sviluppa una maggiore autoefficacia digitale, ovvero una fiducia nella propria abilità di utilizzare le risorse digitali in modo efficace (Ihm et al., 2024).

Valutare competenze digitali e autoefficacia: la e-Work self-efficacy scale

Oltre a prendere in considerazione aspetti concreti come la flessibilità geografica, gli strumenti tecnologici disponibili e il tipo di lavoro svolto, per avere una comprensione più completa dell’impatto del lavoro da remoto a livello individuale è necessario sviluppare programmi di formazione (Xiong etal., 2024). Il lavoro da remoto andrebbe visto nel suo insieme, incluse le caratteristiche dei dipendenti. Per esempio, può risultare molto diverso per persone estroverse rispetto a quelle più riservate. È importante comprendere se e chi preferisce lavorare in autonomia o in team, è abituato a interagire con altre persone e se possiede – e in quale misura – competenze comunicative adeguate.

Tramontano e colleghi (2021) hanno creato e validato uno strumento self-report, la e-Work Self-Efficacy Scale, per misurare e valutare competenze e autoefficacia digitali percepite da chi lavora da remoto.

I risultati dello studio hanno indicato che una maggiore autoefficacia digitale è correlata a una gestione più efficiente delle attività lavorative da remoto. La e-Work Self-Efficacy Scale è uno strumento che può essere utilizzato dai datori di lavoro e dai professionisti delle risorse umane per identificare aree di miglioramento e sviluppare programmi di formazione specifici e personalizzati.

Per sfruttare appieno i benefici della maggiore flessibilità e autonomia, sarà necessario che le organizzazioni implementino politiche e pratiche formalizzate per ottimizzare il lavoro remoto, inclusa la formazione su salute, sicurezza e benessere, così come la promozione del “diritto alla disconnessione” per evitare che il lavoro interferisca eccessivamente con la vita personale, al fine di integrare adeguatamente le tecnologie nella pratica, garantire flessibilità e stabilire limiti chiari e aspettative condivise tra dipendenti e manager.

Bibliografia

Ihm, J., Kim, Y., & Lee, C. J. (2024). Whom Does Remote Work Make Happy? The Digital Divide in Remote Workers’ Well-Being. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking, 27(8), 550-561.

Osservatorio Smart Working Report (2023). Politecnico Milano.

Tramontano, C., Grant, C., & Clarke, C. (2021). Development and validation of the e-Work Self-Efficacy Scale to assess digital competencies in remote working. Computers in human behavior reports, 4, 100129.

Xiong, A., Xia, S., He, Q., Ameen, N., Yan, J., & Jones, P. (2023). When will employees accept remote working? The impact of gender and internet skills. Journal of Innovation & Knowledge, 8(3), 100402.

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