intelligenza artificiale

Cosa resta della creatività umana nell’era dell’IA



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L’interazione tra arte e intelligenza artificiale promette una rivoluzione creativa, proseguendo un percorso iniziato con la fotografia. Mentre l’uomo aggiunge valore alla tecnologia, emergono nuove forme d’arte che sfidano i canoni tradizionali. Tuttavia, la distinzione tra creatività umana e artificiale resta centrale in un mondo artistico in continua evoluzione

Pubblicato il 10 ott 2024

Marco Ongaro

Cantautore, librettista, saggista



arte e ai (3)

Ora che l’artista si cimenta nell’interazione con l’intelligenza artificiale per ottenere opere che superino le sue specifiche qualità conservandone ugualmente la firma, il lungo viaggio di inversione in inversione tra tecnologia creativa e creatività della tecnologia, avviato con l’avvento del dito del fotografo sul pulsante di scatto della macchina fotografica, promette di evolvere in paradossi senza fine.

L’avvento della fotografia e l’illusione dell’oggettività

Con l’avvento della fotografia nel Diciannovesimo secolo, pareva tutto così semplice. Il tecnico, che a volte coincideva con l’inventore o perfezionatore del dispositivo, apriva e richiudeva l’otturatore per il tempo programmato affinché l’immagine inquadrata nell’obiettivo s’imprimesse nella pellicola con una sensibilità prestabilita e grazie a una reazione chimica riapparisse poi riprodotta su un adeguato supporto. Un atto tecno-meccanico che prevedeva la proiezione della luce attraverso un sistema ottico verso una superficie piana fotosensibile esonerando finalmente l’artista da ogni responsabilità di ritrarre “il vero”, lasciandolo libero di farsi “impressionare” dal mondo come una pellicola fotografica via via sempre meno fedele. Ci avrebbe pensato l’obiettività dell’obiettivo a testimoniare la realtà, senza farsi sviare dalle emozioni dell’artista o del soggetto rappresentato.

L’impronta umana sulla macchina

È il solito inganno in cui incappa l’essere umano nel rapportarsi alla macchina, sia essa una lavastoviglie o uno scooter: l’idea che l’interazione non ne influenzi l’universo creativo. C’è gente che adora introdurre e stipare con cura piatti e cristalli nell’elettrodomestico in cucina tanto da considerarsi un artista senza pari nel farlo. C’è chi guida lo scooter come un vero asso del motociclismo applicando alle funzioni meccaniche la sua particolare percezione estetica. L’uomo aggiunge sempre qualcosa alla macchina.

Il fotografo come artista: oltre la tecnica

Presto anche il tecnico della fotografia ha capito che nella scelta del momento dello scatto e nello studio di tempi di esposizione e sensibilità della pellicola c’era sufficiente spazio agogico per fare di lui un creativo. Senza bisogno di scomodare La camera chiara di Roland Barthes o Cos’è il cinema di André Bazin, è ormai pubblicamente conclamato che, mentre gli artisti se ne andavano liberi a esplorare le astrazioni dell’inconscio o a concettualizzare l’estetica del reale, i fotografi elaboravano una forma d’arte interagente umano-macchina capace di scaraventare i canoni creativi ben oltre le tradizionali frontiere. Non tanto grazie all’elemento tecnologico quanto al fattore umano che si è ingegnato ad applicarvisi.

Nadar e il ritratto fotografico come arte

Quanto è artistica la smorfia di disgusto rattenuto di Charles Baudelaire ritratta da Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar, nel 1862 nella foto intitolata Charles Baudelaire in piedi? E quanto è pittoricamente prezioso Il ritratto di Sarah Bernhardt del 1865, in cui l’attrice appare reclinata su una colonna, morbidamente avviluppata in una mantellina le cui pieghe classiche e orientaleggianti fanno cornice a uno sguardo acuto e malinconico? Sebbene Nadar negasse qualsivoglia prerogativa artistica alla fotografia, asserendo però che fosse regolata dalla legge secondo cui esistono «persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guardare», e nonostante Baudelaire l’avesse poi trattata come un malanno che oppone il vero al bello, «rifugio di tutti i pittori mancati, troppo mal dotati o troppo pigri per completare i loro studi», è innegabile che il grande ritrattista fosse già un caricaturista provetto, abile nel carpire e esaltare sentimenti nei soggetti tanto da contribuire alla fondazione di una nuova forma plastica per nulla condannata alla funzione realistica superficiale inizialmente attribuitale.

Surrealismo e fotografia: manipolare il reale

La fotografia è diventata arnese prediletto del Surrealismo proprio in virtù della sua presunta garanzia di attinenza al vero. Più è credibile uno strumento e maggiore ne è la potenziale manipolazione del reale. Fino allo squisito eccesso del “rayogramma” scoperto dal fotografo surrealista Man Ray, immagine fotografica ottenuta senza l’uso di una macchina, posizionando oggetti direttamente su una superficie foto-sensibile come la carta fotografica ed esponendoli alla luce. “Questa non è una macchina fotografica”.

L’accettazione culturale della fotografia come arte e le nuove frontiere dell’IA

Oggi nessuno disconosce la portata culturale di questa disciplina. Dopo che le sue cellule si sono rimoltiplicate nel linguaggio complesso e inesausto chiamato “La settima Arte”, il cinema, ogni pregiudizio sull’incongruità di un rapporto artista-macchina è caduto nel calderone dei tabù sconfessati dal tempo.

Così è naturale pensare che l’umanità possa creare arte interagendo con il prodotto più attuale della tecnologia evoluta, l’intelligenza artificiale. «C’è sempre stata un’attrazione, da parte degli artisti, per il caso: qualcosa che va oltre il proprio controllo, qualcosa che ti libera dal soggetto finito», dichiara Daniel Birnbaum, curatore e direttore artistico della produzione di arte digitale della piattaforma Acute Art, a proposito di una nuova opera dell’artista francese Pierre Huyghe, in un articolo di Farah Nayeri sul New York Times del 3 giugno 2024.

“Robot alimentati dall’Intelligenza Artificiale filmano i resti insepolti di un uomo e gli posizionano accanto periodicamente degli oggetti in una cerimonia che solo loro sembrano comprendere. La scena si svolge nel deserto di Atacama in Cile, uno dei deserti più antichi e aridi del pianeta. Camata è in mostra allo spazio espositivo Punta della Dogana – Collezione Pinault, in concomitanza con la Biennale di Venezia. È un esempio emozionante della crescente sovrapposizione tra arte e Intelligenza Artificiale”, scrive Nayeri.

Dibattito sull’IA nell’arte: timori e entusiasmi

Dopodiché la critica del NYT riferisce le ormai consuete preoccupazioni sul rischio che l’IA si sostituisca all’umano e quindi pure all’artista, senza però spingersi alle sprezzanti argomentazioni del Baudelaire di cui sopra. Riporta anzi pareri e esperienze di creatori che adorano produrre le loro opere interagendo con un’intelligenza in continua evoluzione, dotata di una memoria potenzialmente molto più capace di quella umana.

Mentre Birnbaum da una parte limita le opportunità offerte da questa interazione alla costruzione «di brani pop di rapido successo, di narrativa commerciale prodotta in tutta fretta, di contenuti di riviste di bordo e di architettura e design “mediocri”», dall’altra afferma che il pubblico sarebbe ancora alla ricerca della mano metaforica dell’artista. «Vogliono solo vedere questo partecipante umano e rilevare tracce del “qui e ora” dell’artista, dove l’uomo e la macchina si toccano».

Refik Anadol: pioniere dell’arte con IA

Insomma il gusto di riconoscere il proprietario del buon vecchio dito che schiaccia il pulsante di scatto sulla macchina fotografica. Solo che qui le immagini si moltiplicano fino a coinvolgere, nel caso dell’artista di origine turca Refik Anadol, un’installazione su schermo computerizzato in continuo cambiamento nell’atrio del Museum of Modern Art di New York, nel 2022, con oltre 138.000 immagini e testi provenienti dall’archivio pubblico del MoMA per la durata di quasi un anno.

Poi nel 2024 si rilancia, per le Serpentine Galleries di Londra, con paesaggi sottomarini che un’IA attinge da circa 135 milioni di immagini di coralli liberamente accessibili online, con vedute della foresta pluviale prodotte da un’altra IA alimentata con dati liberamente disponibili presso la Smithsonian Institution e il Museo di storia naturale di Londra, in un progetto che Anadol vorrebbe demistificante: evidenziando e tracciando i dati utilizzati dall’IA, si svelano «le origini delle immagini sibilanti e ondulate che il pubblico vede sullo schermo».

La mano del creatore si esprime dunque nello spingere il tasto di “invio” che “autorizza” il dragaggio online della Intelligenza Artificiale in specifiche fosse degli oceani dell’Internet e nell’indicarne la provenienza.

Aspirazioni e limiti dell’arte basata sull’IA

Mentre esulta per il “Rinascimento” costituito dalla possibilità dell’artista di produrre installazioni di cui è programmatore più o meno quanto lo erano i pionieri della musica elettronica del secolo scorso, Smooth operator alla ricerca di nuove espressioni della propria creatività, Refik Anadol punta in cuor suo a sfruttare lo sviluppo dell’IA per la realizzazione della somma opera d’arte: la formazione di una nuova entità sintetica con la quale collaborare, co-creare come con un altro umano.

E richiama alla mente un po’ le misere speranze di singoli “campionatori” a capo di orchestre sinfoniche virtuali capaci di suonare però solo quello che altri autori di genio hanno scritto, ripiegati infine su strumenti musicali genuini per costruire genuina musica sinfonica.

L’analogia musicale giunge a proposito, essendo la musica arte astratta per eccellenza. Se l’unico obiettivo riuscito della musica elettronica si è realizzato nella creazione di suoni mai sentiti prima più che nell’imitazione di quelli esistenti, la sola opportunità di successo della IA sarà di creare forme specifiche non confondibili con l’umano, lontane dalla somiglianza a uno strumento già esistente, quindi quanto di più distante dall’imitazione, qualità principale dell’Intelligenza Artificiale. Finché la caratteristica precipua dell’IA resterà la capacità di ricombinare l’imitazione, risulterà sempre facile capire se l’artista che interagisce vale qualcosa oppure no. Passato il polverone della meraviglia per la quantità, la qualità si farà strada a gomitate nella ricerca del senso.

Il futuro dell’arte pubblica nell’era dell’IA

Il direttore artistico delle Serpentine Galleries, Hans Ulrich Obrist, nutre grande fiducia nell’IA in campo artistico per placare la sua ansia di cambiamento e novità: «L’idea di opera d’arte come organismo vivente potrebbe aprire tutti i tipi di possibilità. Finora le opere d’arte sono rimaste immutabili e scolpite nella pietra; anche le installazioni basate su video o film sono state tradizionalmente riprodotte su loop preprogrammati. Da giovane, vedevo sempre le stesse due sculture pubbliche ogni volta che passavo per la stazione ferroviaria di Zurigo, dove sono cresciuto. L’IA negli spazi condivisi potrebbe creare una nuova forma di arte pubblica. È un’evoluzione, vive, cambia, non è mai due volte uguale».

Sì, ma se qualcuno amasse un’opera e volesse rivederla, che intervallo di tempo e quale innesco del caso dovrebbe attendere? D’accordo, l’opera in questione consisterebbe appunto nella sua natura cangiante, ma se qualcuno avesse nostalgia di un luogo più o meno come l’aveva visto, con qualche “monumento”, che vuol dire memoria, uguale a come l’aveva incontrato la prima volta? L’arte nasce dall’impulso a immortalare, così come la fotografia. Se non possiamo più godere del piacere di rivedere qualcosa che abbiamo ammirato perché il direttore di una Galleria è annoiato dal suo mestiere, forse ci vuole ancora molto lavoro prima di scoprire lo specifico artistico dell’Intelligenza Artificiale.

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