disintermediazione

Il declino degli intermediari: serve un nuovo equilibrio nel digitale



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Le piattaforme digitali stanno rivoluzionando interi settori, eliminando gli intermediari tradizionali. Nel commercio, Amazon ha trasformato il mercato dei libri, mentre nell’editoria i giornalisti affrontano un nuovo ruolo: da produttori di notizie a interpreti di flussi informativi. Questo cambiamento pone nuove sfide regolatorie e occupazionali. Un seminario a Milano si occupa di questi temi

Pubblicato il 25 ott 2024

Marco Gambaro

professore di Economia dei Media all’Università degli Studi di Milano



piattaforme digitali (1)

Uno degli effetti più dirompenti delle piattaforme digitali è quello di rivoluzionare i settori in cui operano, in parte sostituendo gli intermediari tradizionali, in parte ridefinendone il ruolo.

Talvolta queste piattaforme connettono direttamente produttori e consumatori e provocano una vera e propria disintermediazione mettendo in crisi intere filiere che negli anni si erano stratificate.

Questo avviene nel commercio, nell’audiovisivo, nell’informazione giornalistica. E con il ridimensionamento degli intermediari tradizionali ci sono anche importanti cali occupazionali.

Piattaforme digitali e intermediari: i casi del commercio e dell’informazione

A questo tema della disintermediazione è dedicato il quarto incontro del ciclo di Seminari sul ruolo pervasivo delle piattaforme digitali organizzato dal Dipartimento di Economia e Management dell’Università Statale di Milano assieme alla Casa della Cultura intitolato appunto: Disintermediazione digitale: giornalisti e commercianti verso un nuovo ruolo (lunedì 28 ottobre alle 18 alla Casa della Cultura in via Borgogna 3, Milano oppure in streaming).1

Le piattaforme digitali ridefiniscono e comprimono il ruolo degli intermediari tradizionali. L’analisi può partire da due settori paradigmatici, quello dell’informazione e quello del commercio che sollecitano anche diversi temi generali della regolamentazione e delle politiche pubbliche.

Il commercio elettronico e la chiusura dei negozi tradizionali

Il commercio elettronico ha guadagnato rapidamente quote di mercato specialmente nei settori caratterizzati da un elevato numero di prodotti disponibili e che richiedono limitati servizi prevendita e postvendita. Forse non a caso il punto di partenza di Amazon sono stati i libri dove in Italia si pubblicano circa 80mila titoli l’anno e dove, prima dello sviluppo del commercio elettronico, c’erano circa 400mila titoli in stampa nel 2003 saliti a oltre 1 milione.

Le più grandi librerie italiane possono arrivare a un assortimento di 100mila titoli, quindi la probabilità di andare in una libreria e non trovare il libro che si cerca, almeno quando si esce dai titoli più comuni è abbastanza elevata. Negli e-book invece, le limitazioni del prodotto rispetto ai libri tradizionali e la familiarità dei lettori con questi ultimi hanno limitato l’espansione a quote di mercato più ridotte: circa il 20% negli Stati Uniti e meno del 10% in Italia rispetto ai libri di varia.

La chiusura di molti negozi tradizionali può causare fenomeni di desertificazione, soprattutto nei centri storici delle città minori e questo spiega alcune politiche di sostegno del commercio tradizionale.

Il fenomeno del free riding e la scomparsa dei punti vendita con elevato contenuto di servizio

Nei settori che richiedono molto servizio prevendita come l’abbigliamento o le calzature è facile che si innestino fenomeni di free riding: il consumatore usa il servizio del punto vendita tradizionale e poi acquista l’articolo scelto online sfruttando il prezzo più basso, appunto per l’assenza di servizio. Si tratta di un fenomeno analizzato spesso nella letteratura scientifica che porta alla scomparsa dei punti vendita con elevato contenuto di servizio. Se questo accadesse però i produttori ne sarebbero danneggiati ed è quindi possibile che si sviluppino punti vendita di marca che hanno esattamente la funzione di provare questi capi. Si tratterebbe di punti vendita in perdita i cuoi costi rientrerebbero tra gli investimenti di marketing dei produttori.

La disintermediazione nel settore giornalistico

Nel settore giornalistico la disintermediazione procede lungo diverse linee. Nell’ambiente digitale sono presenti molte più informazioni, la maggior parte prodotte non da media tradizionali. Spesso l’informazione semplice e fattuale tende a diventare una commodity disponibile in molti siti per la quale i consumatori non sono molto disposti a pagare. Diverso è il ruolo di approfondimenti, inquadramenti, inchieste che però riescono a rimanere esclusive per poco tempo e dopo sono riportate e sintetizzate in molti altri siti.

Prima i giornalisti avevano l’esclusiva di stabilire quali avvenimenti diventano notizie e come devono essere inquadrati e spiegati. Inoltre si assiste ad un fenomeno di integrazione verticale discendente da parte di molte fonti che diffondono loro stesse informazioni che possono essere riprese o discusse, senza alcuna mediazione professionale dei giornalisti.

Anche per i mezzi tradizionali il problema centrale non è più quello di trovare le notizie ma quello di destreggiarsi in flussi informativi complessi, con vari livelli di credibilità e di distorsione. I giornalisti tendono a diventare più che produttori di un manufatto (la notizia) degli interpreti dei flussi informativi generati e supportati dalle piattaforme. SI tratta di una differenza di ruolo importante che cambia anche le competenze richieste: meno capacità di scrittura e più familiarità con i dati, competenza nel muoversi tra discipline diverse, capacità di orientarsi tra flussi informativi molto sovrabbondanti.

Il calo delle vendite di giornali e l’ascesa delle fake news

I giornali, finora più che le televisioni, sono calati in modo drammatico, senza che nell’offerta digitale sia apparso un prodotto pienamente sostitutivo, ma allo stesso tempo mentre i flussi informativi dei mezzi tradizionali erano filtrati e regolati, ora l’accesso diretto a una molteplicità di informazioni fa ingigantire problemi come le fake news, la capacità di riconoscere l’origine di un’informazione, la distinzione, che già nei giornali era problematica, tra informazione e comunicazione commerciale.

Le responsabilità delle piattaforme private

Tutto questo pone problemi regolatori nuovi o accentua quelli precedenti. Le piattaforme digitali devono essere trattate come editori, con responsabilità completa, oppure come semplici carrier, senza nessuna responsabilità? Se le piattaforme moderano i contenuti, cioè ne cancellano qualcuno (ingannevoli, pornografici, ecc), un’organizzazione privata prende una decisione normalmente presa da un giudice, ma allo stesso tempo la decisione di un giudice è sempre fuori tempo e spesso inutile in un ambiente digitale.

Non sarà semplice sciogliere tutti i nuovi nodi.

  1. All’incontro Disintermediazione digitale: giornalisti e commercianti verso un nuovo ruolo, organizzato dal Dipartimento di Economia e Management dell’Università Statale di Milano assieme alla Casa della Cultura partecipano Giulio Vigevani Professore di Diritto Costituzionale all’Università Bicocca e Antonio Manganelli  professore di Economia e Diritto Antitrust all’Università Lumsa, lunedì 28 ottobre alle 18 alla Casa della Cultura in via Borgogna 3, Milano oppure in streaming. ↩︎

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