La “Twin Transition” della Commissione europea, volta a realizzare una società più verde e più digitale, soffre di un paradosso: l’impatto della tecnologia digitale sulla sostenibilità è infatti multiforme e quindi difficile da misurare e prevedere. Eppure questi propositi tornano entrambi al centro anche della nuova agenda politica della Commissione sotto la guida della rieletta Presidente, Ursula von der Leyen. L’obiettivo è chiaro: l’Europa deve diventare più verde e più digitale, per soddisfare le attuali esigenze economiche e anche geopolitiche.
È possibile conciliare digitale e sostenibilità? Lo studio CEP
Ma è sempre possibile conciliare, senza particolari preoccupazioni, questi due sforzi strategici?
In uno studio dalle caratteristiche innovative, portato avanti da Anselm Küsters, Anastasia Kotovskaia e Philipp Eckhardt, ricercatori in varie discipline del Centres for European Policy Network (CEP), si è cercato di approfondire proprio tale questione analizzando due casi specifici; l’uno relativo ai modelli di IA generativa e un secondo sulla potenziale introduzione dell’euro digitale.
Dall’inizio del XX secolo, in relazione al prodotto interno lordo, la produzione economica globale ha visto generalmente una diminuzione del consumo di energia e un aumento del consumo di informazioni, tuttavia, la digitalizzazione odierna porta empiricamente con sé anche una sfida paradossale: se da un lato le tecnologie digitali hanno il potenziale per sostenere gli obiettivi ecologici, dall’altro esse aumentano anche il consumo di energia. Si prevede che l’uso dei data center, delle criptovalute e dell’intelligenza artificiale (AI) raddoppierà la domanda globale di elettricità nei prossimi tre anni. Gli europei potrebbero emettere circa 14.720 tonnellate di CO2 all’anno grazie alle ricerche sul web basate sull’IA, equivalenti di 38.272 voli tra Amsterdam e Roma. Tuttavia, gli autori dello studio sottolineano come le previsioni relative a tali effetti di “rimbalzo” sono incerte e non tengono sempre adeguatamente conto degli scenari controfattuali ed in particolare anche dei progressi della ricerca sul miglioramento dell’efficienza energetica.
Nonostante queste sfide, l’UE vede indubbiamente la digitalizzazione come un catalizzatore per un’economia sostenibile e competitiva. Le tecnologie digitali possono ottimizzare l’uso delle risorse, prevedere meglio la domanda di energia e sostenere l’uso delle energie rinnovabili. Si stima, infatti, che le tecnologie digitali possano fornire fino al 20% delle riduzioni di emissioni richieste entro il 2050. Ma rimangono contemporaneamente anche i lati negativi, ossia la sua “impronta” intrinseca di CO2. In particolare il consumo di energia, l’uso dell’acqua e la produzione di rifiuti elettronici associati alle infrastrutture digitali, che richiedono piuttosto una valutazione critica.
L’impatto dell’intelligenza artificiale
Per quanto riguarda i modelli moderni di IA generativa, cercando di comprenderne meglio l’impatto ambientale, appare opportuno dividere il loro ciclo di vita in due fasi principali: creazione e utilizzo. Finora la ricerca e anche i media si sono concentrati principalmente sulla fase di creazione, in quanto questa rappresenta una parte più tangibile del ciclo di vita del modello. Tuttavia, anche la fase di concreto utilizzo dei modelli in prodotti e servizi, ha un impatto significativo sull’ambiente, in quanto sempre più persone integrano le applicazioni di IA nella loro vita quotidiana.
L’elevata potenza di calcolo richiesta per addestrare modelli di grandi dimensioni comporta significative emissioni dirette di CO2. Ad esempio, l’addestramento del modello linguistico aperto BLOOM, con 176 miliardi di parametri, ha generato una stima di 24,7 tonnellate di CO2 equivalente. I modelli più recenti, come GPT-4, producono emissioni ancora più elevate, sottolineando la necessità anche di pratiche efficienti dal punto di vista energetico durante la formazione di questi modelli.
Ma anche dopo l’addestramento, i modelli IA conservano un’impronta di carbonio giornaliera, poiché continuano a richiedere elettricità per il loro aggiornamento ed utilizzo. Secondo lo studio CEP, nel gennaio 2023, ad esempio, ChatGPT ha consumato tanta elettricità quanto 175.000 persone. Con l’aumento dell’importanza dell’IA generativa, questo problema non potrà che peggiorare. Secondo diverse previsioni, i server IA potrebbero consumare tra 85 e 134 terawattora (TWh) di elettricità all’anno nel 2027, il che corrisponde a circa lo 0,5% dell’attuale consumo globale di elettricità.
La recente legislazione dell’UE in materia di IA mira principalmente a minimizzare i rischi per la sicurezza e a proteggere i diritti fondamentali. Tuttavia, i fornitori di sistemi di IA ad alto rischio dovranno ora riferire pure riguardo al loro consumo energetico. Tuttavia, le misure attuali disponibili per ridurre l’impatto ambientale dei sistemi di IA sono limitate e insufficienti. C’è un’urgente necessità di sviluppare quindi anche degli standard per il consumo energetico dei modelli di IA sulla base di apposite metodologie di monitoraggio nelle varie fasi di creazione ed applicazione dei diversi modelli, delle tipologie delle infrastrutture di calcolo e tenendo il più possibile anche conto delle future implicazioni sociali.
L’impatto dell’euro digitale
Per quanto riguarda, l’altro caso di studio preso in esame, l’emissione di un “euro digitale” in questo decennio, invece va sottolineato che il tutto è ancora in forma di pianificazione, la BCE sostiene un tale piano, che però va ancora definito nei dettagli e poi dovrà trovare un adeguato consenso politico. Esso si profila come un mezzo di pagamento aggiuntivo per integrare il contante fisico come moneta attuale della banca centrale, ma avrebbe comunque il potenziale di cambiare radicalmente i mercati dei pagamenti nell’Eurozona. Mentre i vantaggi e gli svantaggi tecnologici ed economici di questo futuro mezzo di pagamento digitale sono già stati ampiamente discussi, anche il suo impatto ambientale meriterebbe altrettanta attenzione.
L’euro digitale non è destinato principalmente a sostituire le soluzioni di pagamento esistenti nell’UE (ad esempio, VISA, PayPal, contanti). Al contrario, verrebbe creata un’aggiunta moderna a queste soluzioni. Questa opzione di pagamento aggiuntiva e l’infrastruttura associata rendono però essenziale un design ben studiato, al fine di ridurre al minimo l’impatto ambientale. È poi necessario esaminare se e in quale forma e configurazione un euro digitale possa effettivamente rivelarsi necessario e come potrebbe contribuire ad una transizione digitale e verde.
Innanzitutto, lo studio CEP evidenzia come la scelta della configurazione tecnica è fondamentale per l’impronta ecologica dell’euro digitale. Una soluzione decentralizzata basata sul processo proof-of-work (POW), utilizzato per molte criptovalute (ad esempio Bitcoin), sarebbe particolarmente problematica dal punto di vista energetico. L’immenso consumo energetico di tali sistemi, paragonabile a quello di un intero Paese, li rende veramente poco attraenti dal punto di vista ecologico. Una soluzione centralizzata, invece, potrebbe ridurre significativamente il consumo energetico, in quanto si potrebbero utilizzare algoritmi di consenso più semplici che richiedono meno potenza di calcolo. Si stima che una struttura di questo tipo consumerebbe circa otto volte meno energia rispetto a una soluzione decentralizzata.
La scelta delle fonti energetiche per il funzionamento dell’euro digitale
Un altro fattore decisivo è la scelta delle fonti energetiche per il funzionamento dell’euro digitale. Il bilancio ambientale dipende molto dall’utilizzo di energie rinnovabili come l’energia solare o eolica. Con un sistema centralizzato, la Banca Centrale Europea (BCE) sarebbe in grado di controllare il mix energetico e di optare per opzioni più ecologiche. Anche la scelta di una struttura a due livelli, in cui la BCE emette l’euro digitale e le banche e altri fornitori di servizi di pagamento lo distribuiscono al pubblico, potrebbe portare in ultima analisi ad un consumo energetico maggiore. Un maggior numero di operatori significa una maggiore capacità di calcolo e il ricorso a infrastrutture aggiuntive, che potrebbero avere un impatto negativo sulla sostenibilità.
L’introduzione di una versione, sia “online” che “offline” dell’euro digitale aumenterebbe ulteriormente la complessità del sistema e quindi l’impatto ambientale. Mentre la versione online potrebbe basarsi su soluzioni digitali esistenti come gli smartphone, che ridurrebbero al minimo il consumo di energia, la versione offline potrebbe richiedere nuove carte o dispositivi fisici, la cui produzione consumerebbe ulteriori risorse. Anche la disponibilità di più servizi front-end per l’utilizzo dell’euro digitale potrebbe portare a un consumo energetico maggiore, in quanto le soluzioni multiple devono essere compatibili tra loro.
In realtà, ci sono diversi altri fattori che sollevano legittime preoccupazioni sull’impatto ambientale del CBDC. La fase pluriennale di sviluppo, ricerca e test della BCE, da sola, si può ritenere che comporterà già un consumo energetico e costi elevati. Ciò significa che la preparazione dell’euro digitale lascerà un’impronta di carbonio negativa già prima della sua emissione.
Le raccomandazioni del CEP
Lo studio del CEP, sulla base dei due esempi analizzati, propone infine anche alcune raccomandazioni di tipo trasversale. Tra queste lo sviluppo di standard armonizzati per misurare le emissioni dell’intero ciclo di vita delle tecnologie digitali, in parte già avviato, ma che deve essere ulteriormente perseguito con ancora maggiore intensità. Un sistema di valutazione e convalida armonizzato delle diverse soluzioni digitali, in particolare dell’IA generativa e dei diversi mezzi di pagamento (compreso il possibile “euro digitale”), che consentirebbe un’analisi più trasparente e comparabile degli impatti ambientali, da effettuarsi anche in collaborazione con team di esperti della ricerca climatica.
Da considerare poi che sulla tassonomia verde, l’UE ha anche creato un quadro per classificare le attività economiche come sostenibili dal punto di vista ambientale. Integrando maggiormente i settori ICT in questa tassonomia, il capitale di investimento potrebbe essere convogliato specificamente in infrastrutture digitali sostenibili, che potrebbero contribuire a ridurre l’impronta ecologica a lungo termine. Inoltre, un area spesso trascurata pare essere anche l’ottimizzazione del software, pratiche di codifica “verde” possono ridurre in modo significativo il consumo energetico del software stesso. Il sostegno pubblico e gli incentivi finanziari potrebbero rafforzare queste pratiche e migliorare allo stesso tempo la cybersicurezza. Il finanziamento della ricerca dovrebbe includere anche l’area dell’hardware IA ad alta efficienza energetica e dei modelli linguistici più ridotti.
Plasmare un futuro più sostenibile
Le misure e gli standard proposti mirano a plasmare un futuro più sostenibile, in cui le tecnologie digitali siano utilizzate in modo responsabile ed efficiente, inoltre, grazie a investimenti particolarmente mirati, l’UE potrebbe rafforzare la propria competitività nel settore tecnologico, riducendo al contempo l’impatto ambientale.