La presidenza italiana del G7 ha posto l’intelligenza artificiale al centro della sua agenda di lavoro ma, mentre l’Europa adotta regolamentazioni come l’AI Act per proteggere i diritti fondamentali, le PMI continuano a lottare con barriere burocratiche e costi elevati che ostacolano l’adozione dell’IA.
La sfida per il nostro Paese, ora – anche a fronte degli investimenti miliardari annunciati dalle big tech – è creare un ambiente realmente favorevole all’innovazione, promuovendo la cooperazione tra ricerca e industria, per evitare che l’entusiasmo per l’IA resti solo sulla carta senza tradursi in un’effettiva crescita economica e sociale.
Intelligenza artificiale al centro dell’Agenda G7
Le ultime due riunioni ministeriali – quella di ottobre su tecnologia e digitale, svolta a Cernobbio, e quella su industria e innovazione tecnologica a Roma – hanno posto l’accento su due aspetti cruciali dell’IA: da un lato, i rischi e le implicazioni etiche dello sviluppo digitale e, dall’altro, le opportunità derivanti dalle tecnologie digitali per accelerare la crescita industriale e promuovere il benessere a livello globale in maniera inclusiva, senza lasciare indietro le micro, piccole e medie imprese.
Rischi dell’IA: etica e regolamentazione
In merito ai rischi, sono ben note le minacce potenziali derivanti dalle cosiddette “allucinazioni dei modelli generativi”, che comportano pericolosi tentativi di manipolazione della realtà, nonché dal costante desiderio di dati esercitato dal “capitalismo della sorveglianza”.
Per non parlare del “labirinto della rete” in cui molti ragazzi, soprattutto quelli più fragili, si smarriscono. Si pensi che ad oggi non esiste nessuna regolazione che vieti ai bambini e ai minori l’accesso a ChatGPT. Parlare di algor-etica di conseguenza è quanto meno opportuno. La presenza di Papa Bergoglio a Borgo Egnazia, in cui ha invitato i leader del G7 a una riflessione sugli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità, è un’immagine iconica che resterà nella storia.
Il quadro normativo europeo
Il fatto che in Europa si sia trovato un accordo sui rischi e sui limiti applicativi attraverso norme specifiche (AI ACT) è una garanzia per tutti noi. L’obiettivo è di proteggere i diritti fondamentali, la democrazia, lo Stato di diritto e la sostenibilità ambientale dai sistemi di IA ad alto rischio, promuovendo nel contempo l’innovazione e assicurando all’Europa un ruolo guida nel settore.
Il regolamento stabilisce obblighi per l’IA sulla base dei possibili rischi e del livello d’impatto. L’impianto regolatorio è perciò una garanzia, che dovrebbe farci sentire protetti rispetto al “far west” del modello asiatico e americano. Di recente gli Stati Uniti, non a caso, stanno convergendo verso la regolazione europea.
Le barriere che frenano l’uso dell’IA nelle imprese più piccole
Si potrà ragionare sulla complessità del regolamento europeo, sulla necessità di armonizzare le legislazioni dei Paesi e di alleggerire il peso burocratico sulle piccole imprese, che spesso rappresenta un costo e spesso una barriera all’entrata. Ancora troppe barriere fermano le imprese più piccole nel ricorso ai sistemi di intelligenza artificiale. Procedure complesse e costose dei sistemi nazionali frammentati scoraggiano gli inventori dal depositare i diritti di proprietà intellettuale, impedendo alle giovani imprese di sfruttare il mercato unico.
L’approccio Ue ostacola l’innovazione?
L’atteggiamento normativo dell’UE nei confronti delle aziende tecnologiche ostacola l’innovazione: l’UE ha attualmente circa 100 leggi incentrate sul settore tecnologico e oltre 270 autorità di regolamentazione attive nelle reti digitali in tutti gli Stati membri. Molte leggi dell’UE adottano un approccio precauzionale, dettando pratiche commerciali specifiche ex ante per scongiurare potenziali rischi ex post. Lo stesso AI Act impone ulteriori requisiti normativi ai modelli di IA per scopi generici che superano una soglia predefinita di potenza computazionale (una soglia che alcuni modelli all’avanguardia oggi già superano).
Il gap tecnologico delle PMI italiane
Queste limitazioni e frammentazioni pongono le aziende italiane ed europee in una posizione di svantaggio rispetto a quelle americane. Lo evidenzia il Rapporto “AI Report on Driving Factors and Challenges of AI Adoption and Development Among Companies, Especially MSMEs”, presentato in occasione della seconda riunione ministeriale del G7 su Industria e Innovazione Tecnologica.
Il legame tra le dimensioni delle aziende e l’adozione delle tecnologie
Le micro e piccole medie imprese – è la tesi di Raffaele Spallone e Matteo Bandiera autori del report – fronteggiano spesso barriere all’entrata più alte quando provano a integrare l’intelligenza artificiale nei loro processi produttivi e hanno bisogno di essere accompagnate in questa sfida da una cornice di policy ben congegnata. I dati medi analizzati sono eloquenti: esiste uno stretto legame tra le dimensioni delle aziende e l’adozione delle tecnologie. Mentre nel 2023 il 30% delle grandi imprese dell’UE aveva già adottato l’IA, solo il 7% delle PMI ha fatto lo stesso.
Le dimensioni favoriscono l’adozione perché le aziende più grandi possono distribuire gli elevati costi fissi degli investimenti nell’IA su un fatturato maggiore, possono contare su un management più qualificato per apportare i necessari cambiamenti organizzativi e possono impiegare l’IA in modo più produttivo grazie a set di dati più ampi. Le piccole soffrono di uno svantaggio in termini di velocità di adozione e di diffusione delle nuove applicazioni di IA.
In Italia abbiamo un tasso di adozione del 4,4% nelle imprese con un numero di addetti tra 10 e 49 (a fronte del 9,7% della Germania e del 4,7% della Francia). Ci posizioniamo invece al 7,3% nel range 50-249 addetti, contro il 16,2% della Germania e il 10,2% della Francia. Infine, siamo al 5% nella categoria grandi imprese, mentre il dato tedesco si attesta all’11,6% e quello francese al 5,9%.
Europa in ritardo sull’innovazione digitale
L’Europa è in ritardo nelle tecnologie digitali innovative che guideranno la crescita in futuro. Circa il 70% dei modelli di base di IA sono stati sviluppati negli Stati Uniti dal 2017 e tre “hyperscaler” statunitensi rappresentano da soli oltre il 65% del mercato cloud globale ed europeo. Il più grande operatore cloud europeo rappresenta solo il 2% del mercato UE. L’informatica quantistica è destinata a diventare la prossima grande innovazione, ma cinque delle prime dieci aziende tecnologiche a livello globale in termini di investimenti nel settore quantistico hanno sede negli Stati Uniti e quattro in Cina. Nessuna ha sede nell’UE.
L’impatto dell’IA sulla forza lavoro
Il Rapporto poi si sofferma a lungo sul tema della forza lavoro e della conseguente assenza di competenze che è tra gli elementi che frenano lo sviluppo delle PMI.
L’IA è già una fonte di ansia per i lavoratori europei: quasi il 70% degli intervistati in un recente sondaggio è favorevole a restrizioni governative sull’IA per proteggere i posti di lavoro. L’impatto dell’IA in Europa è stato finora di incremento della manodopera piuttosto che di sostituzione della stessa: esiste un’associazione positiva tra l’esposizione all’IA e la quota di occupazione del settore. Tuttavia, questa associazione potrebbe essere transitoria, poiché le aziende sono ancora nella fase iniziale di comprensione di come impiegare queste tecnologie.
Effetti dell’IA sull’occupazione
Secondo una ricerca condotta negli Stati Uniti, circa l’80% della forza lavoro potrebbe subire ripercussioni su almeno il 10% delle proprie mansioni lavorative a causa dell’introduzione dei cosiddetti Large Language Model (LLM), mentre quasi il 20% dei lavoratori potrebbe subire ripercussioni su almeno il 50% delle proprie mansioni.
A differenza delle precedenti ondate di informatizzazione, i posti di lavoro più qualificati saranno probabilmente più esposti. Fornire ai lavoratori competenze e formazione adeguate per l’utilizzo dell’IA può comunque contribuire a rendere i benefici dell’IA più inclusivi. In uno studio recente, si è riscontrato che l’accesso al supporto dell’IA aumenta la produttività di tutti i lavoratori, ma il personale meno esperto o poco qualificato è quello che ne beneficia di più. Se da un lato l’Europa dovrebbe sforzarsi di eguagliare gli Stati Uniti in termini di potenziale innovativo, dall’altro dovrebbe puntare a superarli nell’offerta di opportunità di istruzione e di apprendimento permanente, assicurando che i benefici dell’IA siano ampiamente condivisi e che qualsiasi impatto negativo sull’inclusione sociale sia ridotto al minimo.
Lo studio della Banca d’Italia
Un attuale paper della Banca d’Italia “An assessment of occupational exposure to artificial intelligence in Italy” ha analizzato l’esposizione del mercato del lavoro all’IA. In particolare, è stato calcolato una misura del grado di esposizione dei lavoratori italiani sulla base delle attività svolte nell’ambito di ciascuna occupazione, distinguendo tra complementarietà e sostituibilità dell’IA con quelle attività. Le occupazioni più esposte all’IA si trovano prevalentemente nei settori dei servizi, che impiegano una quota significativa di donne e di personale qualificato.
Oltre la metà dei 9 milioni di lavoratori altamente esposti beneficerebbe dell’IA in quanto complementare alle mansioni da loro svolte. La mobilità tra occupazioni è attualmente bassa e i lavoratori in occupazioni più esposte e sostituibili si spostano principalmente verso quelle meno esposte, in cui tuttavia le retribuzioni sono generalmente inferiori.
Deficit di innovazione: indicazioni per colmarlo
Di fronte a questo scenario, è possibile trarre alcune prime indicazioni utili a colmare il deficit di innovazione:
- l’accelerazione della tecnologia è positiva e va indirizzata a favore del benessere generale, delle persone e dell’ambiente (sistemi di welfare, sanità, pubblica amministrazione, sicurezza sul lavoro, risparmio energetico, mobilità, protezione biodiversità);
- se l’innovazione e l’IA corrono, le piccole imprese innovative e le start up non devono rimanere indietro;
- occorre consolidare e coordinare la ricerca pubblica, facendo gioco di squadra attraverso partnership di scopo.
Iniziative e investimenti per l’IA in Italia
La percezione è che il Governo in carica abbia colto l’urgenza di intervenire e di migliorare queste condizioni.
Il ddl sull’IA
Ad aprile di quest’anno il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge n. 1066 “Norme per lo sviluppo e l’adozione di tecnologie di intelligenza artificiale”, attualmente all’esame della 8ª Commissione del Senato.
La Strategia nazionale 2024-2026 e gli accordi con OpenAI
A luglio è stata pubblicata la Strategia italiana per l’intelligenza artificiale 2024-2026.
Dal faccia a faccia di settembre a New York tra la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, e Sam Altman, è scaturito un protocollo d’intesa tra Cdp Venture Capital e OpenAI che si articola in tre direttrici. A partire dalla possibilità per OpenAI di investire nelle startup della Penisola attraverso il «Fondo Artificial Intelligence» di Cdp Venture Capital, che ha una dotazione complessiva di 1 miliardo di euro. Inoltre, si legge in una nota che spiega i termini dell’accordo, OpenAI metterà a disposizione delle società selezionate l’accesso alle sue tecnologie, competenze tecniche e collegamenti con il mondo del venture capital americano, tramite il suo Startup Fund. Gli altri due punti dell’intesa prevedono che Cdp Venture Capital e OpenAI collaborino per sostenere la ricerca e la formazione sull’AI, in cooperazione con un consorzio di università italiane, e lavorino insieme alle aziende del Paese per favorire l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei settori più strategici.
Gli investimenti di Microsoft e Google
A inizio ottobre Microsoft ha annunciato un investimento da 4,3 miliardi di euro nei prossimi due anni, il più grande in Italia fino ad oggi, per espandere la sua infrastruttura di data center hyperscale cloud e di Intelligenza Artificiale, oltre a un piano di formazione per far crescere le competenze digitali di oltre 1 milione di Italiani entro la fine del 2025.
Anche Google ha messo gli occhi sull’Italia. Anzi, sulla Sicilia per essere precisi. Secondo quando riportato dalle testate nazionali e internazionali, il colosso tecnologico è in trattativa con il Governo italiano per costruire una rete di cavi sottomarini in fibra ottica nel Mediterraneo, dando seguito alla prospettiva, delineata nel Piano Mattei, di voler fare dell’Italia l’hub digitale verso l’Africa. “Google è molto interessata – ha dichiarato Alessio Butti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – stiamo tenendo colloqui sulle stazioni base in Sicilia”. D’altronde, come detto dallo stesso Butti, “l’Unione europea ha disposto 500 milioni su questa tecnologia e l’Italia giocherà un ruolo importante affacciandoci sul Mediterraneo. E siamo contenti di essere tornati attrattivi per gli investimenti di tante società straniere.”
Sono tutti segnali incoraggianti. Volendo unire tutti questi segnali, sembra delinearsi una sorta di “Agenda di Governo dell’imprenditoria innovativa”, che punta su investimenti stranieri per sostenere l’economia dell’innovazione. Va dato atto al Governo di aver centrato i temi. Per un partito (FdI) che ha sempre guardato con sospetto sia a tecnologia che a investimenti esteri, si tratta di un bel cambio di passo e di una positiva sterzata.
Ccoordinamento tra politica della ricerca e politica industriale
Si tratta adesso di consolidare questi programmi strategici e consolidare un’azione di coordinamento tra politica della ricerca e politica industriale. Anche perché bisogna farsi trovare pronti per capitalizzare le future ondate di innovazione digitale. Tempo due anni e la nuova Commissione europea, sotto la spinta del piano Draghi, metterà a terra una vera e propria strategia europea su startup orientate a nuove tecnologie, con fondi e risorse consistenti.
Le carte che l’Italia deve giocare per sfruttare la prossima ondata di investimenti in IA
L’Italia deve migliorare le condizioni per l’innovazione rivoluzionaria e farsi trovare pronta a sfruttare la prossima ondata di investimenti. Il numero di giovani talenti che vogliono realizzarsi come imprenditori o come talenti professionali su materie STEM deve crescere. Il numero di startup innovative deve moltiplicarsi. Gli investimenti, sia di ricchezza e risparmio italiano che di capitali stranieri in venture capital italiano, devono aumentare decuplicarsi velocemente rispetto ai volumi attuali.
L’importanza dei partenariati PNRR
Occorre utilizzare l’anno e mezzo che resta alla fine del PNRR per allenare gli attori economici dell’innovazione che si stanno consolidando nell’ambito delle iniziative nate dalla Missione 4, componente 2 “Dalla ricerca all’impresa”.
Ci sono diverse esperienze su IA e robotica. Tra tutte spicca il partenariato esteso FAIR – Future Artificial Intelligence Research, una Fondazione costituita da 4 enti di ricerca (CNR, Fondazione Bruno Kessler, INFN, e IIT), 12 università e 5 aziende (Bracco, Expert.ai, Intesa Sanpaolo, Leonardo, Lutech).
I Centri nazionali e gli Ecosistemi innovativi
Oltre i Partenariati estesi, il PNRR ha dato vita anche ai Centri nazionali e gli Ecosistemi innovativi. Sono tutte iniziative nuove, che servono a superare quell’ostacolo che spesso si sovrappone al passaggio dall’innovazione alla commercializzazione.
Sono iniziative che rappresentano un’interessante evoluzione rispetto ai distretti tradizionali che abbiamo conosciuto qualche anno fa. Sono iniziative intersettoriali e multidisciplinari, a differenza del passato in cui si puntava sull’unità settoriale. Sono iniziative multiregionali, che abbracciano molti territori e molte istituzioni pubbliche e private, rispetto alla mono territorialità del passato. Hanno attratto molti giovani ricercatori e ricercatrici. Attraverso i cosiddetti bandi a cascata si sono generati contaminazioni consistenti.
Innovazione, le lezioni dei Nobel 2024
Il Nobel per la Fisica a John Hopfield e Geoffrey Hinton per le scoperte e le invenzioni fondamentali che consentono l’apprendimento automatico con reti neurali artificiali, che ha fatto storcere il naso a qualche purista, dice sostanzialmente due cose molto importanti:
- al di là degli hype del momento, l’IA è davvero qualcosa che può cambiare e cambierà le nostre vite; o almeno la visione di molte delle cose così come le vediamo oggi;
- la ricerca e la nuova conoscenza, quella vera, oggi non ha e non può avere alcuno steccato culturale e scientifico.
PNRR e necessità di coordinamento tra ricerca e industria
Da questo punto di vista, il PNRR sta lasciando un’eredità importante che non andrebbe dispersa. Dobbiamo utilizzare le iniziative nate dal PNRR come palestra, per far emergere nuove connessioni tra mondo accademico, ricerca pubblica e mondo imprenditoriale. Sono iniziative utili a fare nascere, insieme alle imprese, nuovi progetti congiunti che possono servire a fissare le nuove frontiere della conoscenza. L’Italia ha grandi potenzialità di leadership, in diversi campi: la genomica e la farmaceutica; l’aerospazio e la componentistica satellitare; i biosensori e la robotica per le applicazioni mediche; la biorobotica, con i robot ibridi che abbinano tecnologie ingegneristiche ad elementi biologici, che permetteranno alle macchine di agire in ambienti difficili (fondali oceanici o nello spazio); il riconoscimento visivo delle immagini; l’uso dei gemelli digitali applicati all’intera comunità urbana per replicare il sistema fisico delle città, prevederne i comportamenti per indirizzare le politiche urbane.
Il ruolo dell’Italia come hub digitale
Se davvero siamo a un bivio, tra chi utilizza l’IA per manipolare e controllare l’opinione pubblica e chi utilizza l’IA in maniera utile per obiettivi alti per l’umanità e per risolvere problemi complessi, l’Italia può rappresentare un valido esempio di utilizzo della capacità computazionale per il bene comune nei prossimi anni, non solo per la produzione di ricchezza, ci mancherebbe altro, ma soprattutto mettendola a servizio dell’ambiente e della società.
Proposta di mappatura delle iniziative
Il Governo dovrebbe compiere un ulteriore sforzo per mettere a sistema le iniziative di ricerca scaturite dal PNRR sull’IA, partendo da una mappatura di tutte le iniziative e misurando questa esplosione di ricerca. Conoscere cosa si sta facendo in Italia, dove si stanno sviluppando i progetti più interessanti, quanti finanziamenti stanno ricevendo queste ricerche sull’IA, sarebbe di primaria importanza per decisori politici ed esperti, anche per poter orientare la prossima fase di escalation dell’IA su una traiettoria sostenibile orientata al bene comune.
Si potrebbe, per esempio, commissionare all’ISTAT uno studio che, utilizzando qualche specifico indicatore di scienza e tecnologia, risponda alla domanda “quanto finanziano gli Enti pubblici di ricerca, le Università e le Agenzie governative i progetti di Ricerca e Sviluppo correlati all’IA?”.
La conoscenza di questi dati permetterebbe anche un maggior coordinamento interministeriale tra politica della ricerca e politica industriale, coinvolgendo e sostenendo, anche economicamente, quelle imprese che si vogliono cimentare in collaborazioni nuove, consentendo loro un accesso più agevole alle infrastrutture di ricerca.
Un piano di priorità verticale per l’IA
Lo sviluppo di verticali di IA dipenderà sempre più dalla collaborazione tra operatori industriali, ricercatori di IA e settore privato, per consentire l’individuazione di problematiche in diversi settori. Per esempio, scoprire se un prodotto innovativo può essere sviluppato da una fabbrica utilizzando un gemello digitale alimentato dall’intelligenza artificiale richiede la replica della fabbrica, dei suoi robot, dei suoi processi e la sovrapposizione di un algoritmo di IA.
Per facilitare questa cooperazione, si potrebbe dare vita a quello che Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività ha chiamato “Piano di priorità verticale per l’IA”. L’obiettivo di questo piano, a cui le aziende dovrebbero essere incoraggiate a partecipare, sarebbe quello di accelerare lo sviluppo dell’IA in alcuni settori strategici in cui i modelli di business trarranno i maggiori benefici da una rapida introduzione dell’IA (automotive, manifattura avanzata e robotica, energia, telecomunicazioni, agricoltura, aerospazio, difesa, previsioni ambientali, farmaceutica e sanità). I partecipanti al piano beneficerebbero di agevolazioni e finanziamenti per lo sviluppo dei modelli e di una serie di esenzioni in materia di concorrenza e sperimentazione dell’IA.
Opportunità per il sistema industriale italiano
Sarebbe un bel modo per irrobustire il nostro sistema industriale – fatto di pil da export, posti di lavoro di alta qualità e dirigenza qualificata, engineering, ricerca, corporate governance, finanza – e per incoraggiare molti giovani talenti emigrati a pensare che valga la pena rientrare, perché troveranno un terreno in cui coltivare il proprio futuro creando in Italia posti di lavoro. Siamo una nazione a vocazione d’impresa che può riscoprire un boom imprenditoriale nell’economia dell’innovazione.