L’accordo tra Google e Kairos Power per l’avvio nel decennio in corso di un impianto nucleare e di altri entro il 2035, apre la riflessione sul ruolo del nucleare nel contenimento del riscaldamento globale, nei prossimi decisivi anni per il clima, ed evidenzia ancora una volta come l’arrivo dell’intelligenza artificiale abbia sconvolto a tal punto le previsioni sui consumi di energia elettrica da spingere le aziende protagoniste o interessate al suo sviluppo a correre ai ripari.
I reattori SMR: gli impanti nucleari di nuova generazione
Kairos Power si propone come protagonista dell’energia sostenibile, da raggiungere con le tecnologie avanzate dei nuovi reattori nucleari.
La sigla che contraddistingue i reattori di nuova generazione è SMR (Small Modular Reactors). Essi hanno, appunto, hanno una dimensione inferiore a quella degli impianti costruiti in precedenza. Per intenderci, gli oltre 400 impianti in esercizio a livello mondiale hanno una potenza media di poco meno di un gigawatt (GW). Ricordiamo che un GW, pari a un miliardo di watt, mediamente soddisfa mediamente il fabbisogno di una popolazione di mezzo milione di abitanti (consumi residenziali e produttivi inclusi).
Gli impianti SMR si prefiggono di rimanere entro una potenza pari a circa un terzo di quella tradizionale, ossia 300 megawatt (MW pari a un milione di watt). Ci troviamo di fronte ad impianti comunque importanti, che usano tecnologie di raffreddamento e di alimentazione del combustibile nucleare più affidabili, che rendono l’impianto più sicuro.
Gli accordi di Amazon e Microsoft negli Usa
Amazon ha stretto accordi con lo stesso intento, ma con altre compagnie: Energy Northwest, consorzio di utilities pubbliche del Nord Est, dovrebbe attivare 320 MW per il 2030 fino a raggiungere 1 GW negli anni successivi. Amazon ha investito anche in X-energy, azienda specializzata nelle tecnologie SMR, con l’obiettivo di sviluppare progetti fino a 5 GW di potenza. Anche in Virginia, Stato con elevata concentrazione di data center pari al 20% del totale degli Stati Uniti, Amazon si sta muovendo con un accordo con Dominion Energy per almeno 300 MW di potenza addizionale[1].
Microsoft si è accordata con un gestore di impianti nucleari, Constellation Energy, per rivitalizzare quello di Three Miles Island in Pennsylvania[2]. Verrà riattivato uno dei due reattori, quello non danneggiato dalla fusione del nucleo avvenuta nel 1970 all’altro reattore, che ancora si trova nella fase di smantellamento avviata dopo l’incidente più grave della storia nucleare prima di Chernobyl. Un un recente sondaggio restituisce un interesse prevalente della popolazione verso la riapertura “purché non comporti nuove tasse o aumenti del costo dell’energia”[3]. Constellation Energy si accollerebbe l’intero costo della ristrutturazione dell’impianto, di circa 900 MW, avendo Microsoft come acquirente per 20 anni.
Energia elettrica prodotta col nucleare: un business nuovo per le big tech
Insomma, Big Tech si muove sul terreno dell’energia elettrica prodotta con il nucleare. Terreno nuovo per le grandi società di internet, non certo per chi si occupa di generazione elettrica. Con la tipica spavalderia che le contraddistingue, le grandi aziende digitali insistono, nel frattempo, con gli annunci sulle scelte a favore della sostenibilità del proprio modo di soddisfare il fabbisogno di energia elettrica, ricorrendo alle fonti rinnovabili ed ora anche a quelle “low carbon” come il nucleare. Esse intendono investire nelle tecnologie del nucleare, nell’attività di generazione, entrando quindi in un nuovo business, per essere i primi – se non esclusivi – clienti.
Per decifrare compiutamente le strategie energetiche dei giganti del web facciamo un passo avanti tra gli studi che danno conto dell’evoluzione tecnologica della generazione atomica e dell’evoluzione del mercato dei combustibili nucleari.
Ma il nucleare è davvero carbon free?
Le ultime previsioni al 2050 sulla domanda di energia da fonte nucleare tengono conto di questi investimenti che stanno rianimando il settore. Per lo meno nei paesi occidentali, ancora memori dei disastri di Chernobyl prima e di Fukushima poi, il nucleare è stato abbandonato come area di investimento aggiuntivo.
L’associazione del settore invoca ora l’urgenza di passare al nucleare se si vogliono rispettare gli impegni sulle emissioni.[4] Nei paesi emergenti, a differenza di quelli occidentali, la costruzione di centrali nucleari procede a passo spedito: sono 24 in Cina e 8 in India, ossia più della metà dei 59 progetti in costruzione a livello mondiale. La Cina vuole ridurre la differenza di capacità che la separa dagli Stati Uniti, che generano ancora il doppio dell’energia della Cina in impianti nucleari[5].
Gli impianti modulari di piccole dimensioni (SMR) presentano aspetti tecnici, economici e di sicurezza che li rendono attraenti. Tra gli aspetti positivi vi è la scala più piccola dell’area di evacuazione in caso di incidente, la difficoltà ad utilizzare il combustibile nucleare per scopi militari o terroristici, la possibilità di costruirli in tempi più rapidi anche grazie alla modularità di alcune parti dell’impianto, la possibilità, come gli impianti nucleari di IV generazione, di avvalersi di sistemi di raffreddamento convenzionali, ossia che non necessitano di pompaggi che in carenza di energia possono essere impossibili, e infine per la possibilità di auto-interrare le parti più dannose in caso di incidente.
Vi sono obiezioni non marginali a questa visione ottimistica delle potenzialità offerte dai reattori SMR, tra cui il fatto che la modularità è difficile da ottimizzare nel caso di impianti comunque complessi, che le maggiori prestazioni in termini di sicurezza non sono ancora verificate sperimentalmente in modo indiscutibile, e soprattutto che la scelta del tipo di progetto è assai complessa e poco sostenuta da esperienza, dal momento che vi sono un centinaio di soluzioni tecniche diverse[6].
Ma sono davvero carbon free le centrali nucleari? Studi sull’impronta complessiva (carbon footprint) della generazione elettrica da quella fonte dimostrano che occorre considerare anche le emissioni legate alla costruzione delle centrali, all’approvvigionamento del combustibile e allo smaltimento dei residui.
Se si fa questa valutazione più completa si giunge ad un valore medio delle emissioni intorno ai 60 grammi di CO2 per chilowattora (kwh), assai inferiore ai circa 400 della generazione da combustibile fossile, ma tre o quattro volte superiore a quella dovuta al solare o all’eolico. Gli impianti dei data center tradizionali e di quelli per l’intelligenza artificiale consumano una grande quantità di energia sia in fase di addestramento dei modelli, sia in fase di inferenza, ossia nell’interpretazione dei dati acquisiti. Sono investimenti che hanno una ricaduta in ambito territoriale, essendo punti di aggregazione della domanda di lavoro diretto e indiretto.
Il matrimonio di interesse tra AI e nucleare
Nelle fasi industriali precedenti, la forma dell’energia si è associata alla forma dell’attività economica prevalente e alla sua dislocazione geografico-territoriale.
L’energia idraulica si è associata all’industria tessile e ai mulini, il carbone all’acciaio e alle ferrovie, il petrolio al riscaldamento e ai trasporti. Quando appare l’energia elettrica, la più versatile forma di energia, si avvia una rivoluzione non ancora completata: essa cambia radicalmente gli impianti di uso civile, l’alimentazione degli stabilimenti industriali, della distribuzione commerciale e della logistica, della finanza, dei trasporti e delle telecomunicazioni. La sua pervasività ha asservito le altre fonti alla sua produzione, perché l’elettricità non solo fa funzionare i motori, il riscaldamento e l’illuminazione, ma distribuisce e conserva i dati.
Lo sviluppo del digitale, della rete e dell’intelligenza artificiale richiede una disponibilità di energia che sconvolge le previsioni sui consumi. Negli anni recenti la domanda di energia per unità di prodotto era in calo, ma ora essa sta riprendendo per effetto dell’espansione dei data center. Nel 2030, secondo Barclays, la domanda negli Stati Uniti sarà raddoppiata, portando la quota di consumi dei data center dall’attuale 3,5% del totale al 9% nel 2030.
“A differenza di altre industrie ad alto consumo di energia, che hanno richieste fluttuanti in base al momento della giornata o dell’anno, la pressione sulla rete elettrica dell’attività AI è continua. I data center operano 24/7/365”[7]. Questa stabilità della domanda di energia crea una convenienza ad essere riforniti da centrali di nuova generazione che operano in modo ottimale ad un livello di produzione stabile, cosa che gli impianti basati su fonti rinnovabili come l’idroelettrico, il solare e l’eolico, non possono garantire.
AI e nucleare, quindi, vanno d’accordo. Costruire data center vicino alle fonti di energia elettrica stabili, non dipendenti dalle condizioni climatiche come sono solare ed eolico, diventa l’imperativo per la localizzazione degli impianti. La corretta localizzazione dei data center deve fare i conti con il costo delle aree, la disponibilità di manodopera qualificata e soprattutto la disponibilità di energia stabile e senza interruzioni, poiché la distribuzione elettrica, ossia la rete, può essere fonte di interruzioni e oscillazioni impreviste, la localizzazione dei data center “in presa diretta” con le centrali, elimina questa incertezza. Così, la “sostenibilità” della domanda energetica del mondo digitale, esige una rete di distribuzione e impianti di generazione praticamente dedicati. Si tratta di un cambiamento di strategia che ricorda quando gli impianti chimici a ciclo continuo spesso avevano una centrale a fianco, proprio perché necessitavano di un servizio di alimentazione continuo e stabile.
Negli anni recenti nei paesi occidentali non si sono aperte nuove centrali nucleari, semmai si sono chiuse: l’aumento di disponibilità di gas e di elettricità generata da fonti rinnovabili aveva messo in disparte la faticosa e impegnativa costruzione di nuove centrali. La fretta, che caratterizza Big Tech, in materia di nucleare può essere cattiva consigliera, spingendo a scambiare innovazione e velocità contro sicurezza.
Certamente la fase declinante del nucleare è oggi superata: la disponibilità finanziaria delle aziende digitali potrebbe rilanciare quel settore della generazione, messo in disparte dall’impatto ampio e durevole degli indicenti di Three Miles Island, di Chernobyl e di Fukushima. Apparirebbe un fattore “nuovo” anche se ben noto, per la localizzazione dei nuovi investimenti.
Un fattore di cui il nostro Paese è ormai completamente privo.
Note
[1]) Amazon, Amazon signs agreements for innovative nuclear energy projects to address growing energy demands, October 16, 2024.
[2])Ivan Penn, Karen Weise, Hungry for Energy, Amazon, Google and Microsoft Turn to Nuclear Power, The New York Times, Oct. 16, 2024.
[3])Brad Plumer, Three Mile Island Plans to Reopen as Demand for Nuclear Power Grows, The New York Times, Sept. 20, 2024.
[4]) World Nuclear Association, IEA Scenarios and the Outlook for Nuclear Power, September 20, 2024.
[5]) International Atomic Energy Agency, Energy, Electricity and Nuclear Power Estimates for the Period up to 2050, Reference dta series n. 1, Vienna 2024.
[6]) La rassegna sulle tecnologie emergenti SMR è stata condotta in modo puntuale da: Esam M. A. Hussein, Emerging small modular nuclear power reactors: A critical review, Physics Open, 5 2020.
[7]) Will Thompson, Betty Jiang, Artificial Intelligence is hungry for power, Barclays, 28 Aug 2024.