Ottobre è consacrato come ogni anno mese europeo della cybersecurity, iniziativa coordinata da ENISA (European Union Agency for Cybersecurity) e si focalizza nel 2024 “sull’ingegneria sociale”, cioè sul fenomeno che vede i “cybercriminali” ricorrere a furti d’identità, messaggi di phishing o false offerte per ingannare le persone inducendole a compiere determinate azioni online o a fornire informazioni sensibili o personali.
Come ha sottolineato Margrethe Vestager, al momento del lancio Vicepresidente esecutiva della Commissione europea: “Ad ottobre, come ogni anno, esortiamo i cittadini a rimanere vigili online. Gli autori degli attacchi stanno diventando sempre più creativi nell’ideare truffe per sfruttare la fiducia delle persone e indurre individui, imprese e organizzazioni a condividere informazioni. Le minacce informatiche sono in rapida evoluzione e dovremmo informarci su come aumentare la nostra sicurezza online.”
Questa ricorrenza è particolarmente significativa per l’Italia, sia perché la cultura della cybersicurezza non è ancora sufficientemente diffusa al livello delle organizzazioni pubbliche e delle imprese, sia perché nella popolazione risulta l’area di competenza (nel quadro di riferimento delle competenze digitali DigComp 2.2.) trasversalmente più carente, in tutte le fasce d’età, come emerge nella rilevazione Istat di fine 2023.
La sensibilizzazione è quindi fondamentale, e deve operare in un contesto complesso, che nell’ambito delle competenze interessa anche la popolazione giovanile e dove rimane su livelli preoccupanti il problema del divario di genere, soprattutto quando considerato in connessione con il tema dell’occupabilità .
Il contesto educativo
Un’analisi interessante sul contesto italiano e internazionale viene dall’edizione 2024 della ricerca Ocse “Education at a glance”, che si focalizza sull’equità nell’istruzione, analizzando come i progressi nell’istruzione e i conseguenti risultati in termini di apprendimento e mercato del lavoro siano influenzati da dimensioni come genere, status socioeconomico, paese di nascita e area territoriale.
Secondo la ricerca, le donne ottengono risultati scolastici migliori rispetto ai maschi e in molti casi la differenza sta aumentando. Nel mercato del lavoro la situazione si inverte, e la probabilità di occupazione delle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni è invece inferiore a quella maschile. Il livello di istruzione è un elemento di riduzione del divario: il divario è generalmente più ampio per le donne che hanno un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore, più ridotto per le donne che hanno conseguito una laurea.
Se analizziamo i dati italiani, solo il 36% delle giovani donne che ha un titolo di studio conseguito al di sotto del livello di istruzione secondaria superiore è occupato (47% è la media Ocse). In più, per le donne occupate il divario salariale è molto significativo: le laureate guadagnano in media il 58% del salario dei loro omologhi uomini, che rappresenta il differenziale salariale più ampio dell’intera area dell’OCSE, dove in media la differenza è del 17%.
Non è un caso, così, che nella popolazione NEET (giovani che non studiano né lavorano) che si attesta in Italia al 21% (15% media OCSE), nella fascia di età 25-29 anni, la percentuale delle donne sia del 31%, rispetto al 20% degli uomini.
Infine, se si analizza l’istruzione terziaria, che continua a vedere l’Italia ancora molto indietro (al 22% contro l’oltre 40% di paesi come Francia e Spagna), il numero di donne è notevolmente superiore a quello degli uomini e, nella maggior parte dei Paesi, tale divario è in aumento. In Italia, il 55 % delle matricole universitarie è costituito da donne, rispetto a una media Ocse del 56%. Ma in questa situazione, come sappiamo, un fenomeno in controtendenza riguarda l’area delle lauree ICT.
Un dato interessante (vedi anche la rilevazione Istat) è la correlazione tra il livello di istruzione dei genitori e quello dei figli: quando i genitori hanno un basso livello di istruzione quasi un quarto dei giovani (24%) abbandona precocemente gli studi e poco più del 10% raggiunge il titolo terziario (e solo il 37% consegue la maturità); se almeno un genitore è laureato, al contrario, la quota di abbandono è del 2% e il conseguimento della laurea circa il 70%.
Tra i 25-64enni, il tasso di occupazione dei laureati è 11 punti percentuali più alto di quello dei diplomati (84,3% e 73,3%, rispettivamente); il gap sale a 15,7 punti tra gli under 35 che hanno conseguito il titolo da uno a tre anni prima (75,4% e 59,7%).
La centralità della scuola
I dati Ocse ci riportano alle radici del problema della carente diffusione di competenze digitali in Italia, connesse a un contesto di basso livello di istruzione anche nella popolazione giovanile, a sua volta correlato a una situazione di disagio economico-sociale, con una condizione di rischio di esclusione sociale.
Per gli adulti è necessario disegnare interventi di aggiornamento e sviluppo di competenze (digitali, ma non solo) e considerare tra le priorità anche la fascia tra i 25 e i 34 anni dove il 20% dei giovani è senza titolo di studio superiore ( in riduzione rispetto al 2016 ma comunque sempre del 6% al di sopra della media Ocse), potenziando programmi trasversali come la misura “Rete dei servizi di facilitazione digitale” o i diversi programmi di politiche attive del Ministero del Lavoro, finanziati dal PNRR.
Per i minori la scuola rappresenta il luogo deputato all’alfabetizzazione digitale, alla “media literacy”, e una splendida opportunità perché potenzialmente può avere impatto su tutta la popolazione ed essere elemento di sostegno alla riduzione delle disuguaglianze di partenza, grande macigno altrimenti per le evoluzioni educative.
E ancor di più questo diventa indispensabile se si osservano i dati sulla povertà assoluta in Italia. Secondo la rilevazione Istat questa condizione interessa oltre 1 milione 295mila minori (il 13,8% della popolazione minorile) e il 12,4% delle famiglie con minori (quasi 748mila).
Quale approccio: alcuni spunti
La scuola, quindi, è centrale per un intervento che si proponga di creare le condizioni per una radicale inversione di tendenza e adeguare le competenze della nostra popolazione alle esigenze della società onlife. Perché può avere come obiettivo la riduzione dell’influenza negativa dei bassi livelli di istruzione in famiglia e quindi, appunto, agire da motore di cambiamento culturale. Con un approccio che stimoli la curiosità e la proattività, l’approfondimento critico e la creatività, contrastando, in questo senso, la tendenza alla navigazione superficiale sulla rete, nei social media, e alla riduzione della capacità di attenzione. E qui propongo solo alcuni spunti, di tipo diverso, che possono indirizzare questo approccio:
- molte esperienze e studi presentati e discussi anche nella recente fiera Didacta si muovono nel senso auspicato, ad esempio per disegnare un utilizzo dell’Intelligenza Artificiale al servizio della qualità nella docenza e della personalizzazione degli apprendimenti, ma anche di utilizzo critico delle tecnologie. In questo senso sono i rapporti informativi realizzati dalla squadra dello European Digital Education Hub “AI in Education” sui temi “Competenze degli insegnanti”, “Come supportare gli insegnanti nell’utilizzo dell’IA in classe”; “Scenari d’uso ed esempi pratici di utilizzo dell’IA nell’istruzione”; “Insegnare l’IA”; “Influenza dell’IA sulla governance dell’istruzione”; “IA ed etica, diritti umani, quadro normativo e protezione dati”; Insegnare con l’intelligenza artificiale – Valutazione, feedback e personalizzazione”. Esperienze e studi che è auspicabile formino rapidamente il nuovo sistema;
- la recente guida alle iniziative di media literacy pubblicata da EDMO (European Digital Media Observatory) è un’ottima sintesi di buone pratiche, e può essere un riferimento anche per i progetti di istruzione su questo fronte, se si declinano sulla popolazione studentesca i principi di coinvolgimento che la ispirano, in linea con le linee guida per docenti ed educatori realizzate dalla Commissione Europea. Ad esempio nel documento ci si sofferma sulla necessità di avere tra gli obiettivi la comprensione critica dei media, e quindi prevedere attività che consentano agli studenti coinvolti di comprendere come funziona l’ecosistema dei media e sviluppare le relative capacità di pensiero critico, considerando come queste siano fondamentali per sviluppare la resilienza alla misinformazione e alla disinformazione, all’incitamento all’odio, al bullismo, alle truffe e alle frodi, alla “dipendenza” dai social media e ad altri potenziali danni online. Secondo le linee guida seguire questo approccio consentirà inoltre alle persone di impegnarsi in modo più creativo e costruttivo nel mondo online, e quindi anche di valorizzare un giornalismo rigoroso e indipendente e di fare scelte informate sui media, riferimento anche per il necessario fact-checking sulle informazioni veicolate sulla rete e dai mass-media;
- uno studio pubblicato di recente, e coerente con l’approccio delle linee guida EDMO, suggerisce che è bene anche per i bambini, soprattutto se in un contesto come quello scolastico, imparare a sviluppare spirito critico sulla base della possibilità di sperimentare direttamente l’esposizione a misinformazione e disinformazione. Lo studio, in particolare, descrive un progetto sperimentale che ha consentito di dimostrare, con gruppi di confronto, che i bambini verificano di più le affermazioni e sono in grado di cogliere meglio la misinformazione quando sono stati “esposti” a imprecisioni che possono essere rilevate Una simulazione suggerisce che il comportamento dei bambini è adattivo, perché un maggiore controllo dei fatti in ambienti più dubbi supporta la scoperta di potenziali misinformazioni. Anche da questo studio emerge quindi l’importanza e l’efficacia di un metodo che consenta di sviluppare la proattività nelle diverse fasi di analisi, confronto, e applicazione.
La costruzione delle condizioni di questo approccio è possibile se si considera pienamente, nel contesto italiano ed europeo, la media literacy un ambito in cui la scuola si propone di conseguire e misurare specifici obiettivi di apprendimento per l’acquisizione delle necessarie competenze chiave. E questa consapevolezza è allo stesso modo necessaria per la costruzione di un organico sistema di apprendimento permanente. Sempre più indispensabile.