Nel corso degli ultimi anni, l’intelligenza artificiale ha assunto un ruolo sempre più centrale in numerosi settori economici. Secondo il report “An assessment of occupational exposure to artificial intelligence in Italy”, pubblicato dalla Banca d’Italia nell’ottobre 2024 e redatto da Antonio Dalla Zuanna, Davide Dottori, Elena Gentili e Salvatore Lattanzio, l’impatto dell’AI sul mercato del lavoro italiano è già percepibile e si prevede che crescerà in modo esponenziale nei prossimi anni.
Lo studio analizza l’esposizione delle occupazioni italiane all’AI e identifica i settori e le professioni maggiormente a rischio di trasformazione, esplorando le dinamiche di mobilità e di rischio di sostituzione lavorativa.
Il contesto: una tecnologia ad ampia portata
L’AI è oggi riconosciuta come una tecnologia ad uso generale, in grado di trovare applicazioni in diversi settori e di influenzare sia i processi produttivi sia i modelli organizzativi delle aziende. In Europa, solo l’8% delle imprese adottava tecnologie AI nel 2023, mentre in Italia questa percentuale scende al 5%, un dato che sottolinea la necessità di una maggiore consapevolezza e di investimenti in questa direzione. Sebbene la diffusione sia ancora limitata, la velocità con cui l’AI si sta sviluppando e adattando a nuovi contesti operativi lascia prevedere che questa percentuale sia destinata a salire, comportando potenziali effetti significativi sia sulla produttività dei lavoratori sia sulla domanda di competenze umane.
L’impatto previsto sul mercato del lavoro
Il report della Banca d’Italia mette in luce come l’AI rappresenti una potenziale minaccia per alcune occupazioni, in particolare quelle che includono compiti ripetitivi o che richiedono abilità cognitive specifiche. L’introduzione dell’AI potrebbe sostituire alcune mansioni, riducendo così la necessità di manodopera per svolgere determinati compiti. La natura dell’AI consente però anche una complementarità con le competenze umane: in altre parole, l’AI non elimina necessariamente il lavoro umano, ma può renderlo più efficiente.
Il settore dei servizi in particolare la finanza, le comunicazioni e alcune aree della pubblica amministrazione, è indicato come uno dei più esposti alla diffusione dell’AI. Al contrario, settori come l’agricoltura e la manifattura, caratterizzati da una maggiore richiesta di abilità fisiche e manuali, mostrano livelli di esposizione all’IA inferiori rispetto ai servizi.
La metodologia della Banca d’Italia: l’approccio Felten, Raj e Seamans
Per analizzare il livello di esposizione delle occupazioni all’AI, i ricercatori della Banca d’Italia hanno adottato una metodologia sviluppata da Felten, Raj e Seamans, che ha come obiettivo valutare in che misura le abilità richieste dalle diverse professioni siano sostituibili o complementari rispetto all’AI. Questa metodologia si basa sul database O*NET, che descrive le abilità richieste in oltre 800 occupazioni nel mercato del lavoro statunitense. Attraverso questo database, i ricercatori hanno confrontato le abilità professionali con dieci applicazioni dell’AI, come il riconoscimento del linguaggio e la comprensione testuale, per costruire un indicatore di esposizione all’AI (AIOE, AI Occupational Exposure).
Questa metodologia, applicata al contesto italiano, ha permesso di identificare le occupazioni più esposte all’AI, tra cui troviamo professioni che richiedono abilità cognitive avanzate come contabili, analisti finanziari e responsabili di risorse umane. Al contrario, le occupazioni che richiedono un maggiore sforzo fisico, come muratori e operai, risultano meno esposte.
Il confronto con l’approccio dell’INAPP
Un altro importante studio italiano, condotto dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) e intitolato “Lavoro e Intelligenza artificiale in Italia: tra opportunità e rischio di sostituzione”, si concentra anch’esso sull’esposizione delle professioni italiane all’IA, ma utilizza una metodologia parzialmente diversa. L’INAPP ha sviluppato un proprio indicatore di esposizione, adattando il modello di Felten et al. alle specificità del mercato del lavoro italiano, sfruttando i dati dell’Indagine Campionaria sulle Professioni (ICP) e della Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro dell’ISTAT. A differenza del modello della Banca d’Italia, che applica direttamente il metodo di Felten al contesto italiano, l’INAPP ha introdotto un fattore di complementarità (theta) che permette di distinguere con maggiore precisione tra i compiti che potrebbero essere sostituiti dall’AI e quelli che potrebbero invece trarre vantaggio dalla complementarità con l’AI. Questo fattore di complementarità permette di avere una visione più raffinata delle dinamiche occupazionali, aiutando a distinguere meglio tra settori dove l’AI può integrarsi armonicamente e quelli in cui rappresenta una minaccia diretta di sostituzione.
Analisi dei risultati: chi è più esposto e quali settori sono a rischio
Lo studio della Banca d’Italia indica che l’AI esercita un impatto maggiore su professioni a medio-alto reddito, caratterizzate da un elevato livello di qualifiche. Le professioni più esposte includono figure come esaminatori finanziari, analisti di budget e direttori amministrativi, mentre i lavoratori in occupazioni meno esposte, come operai e manovali, si trovano per lo più nei quintili salariali più bassi. Il report evidenzia inoltre che le donne sono maggiormente impiegate nelle occupazioni esposte all’AI rispetto agli uomini. Questo potrebbe comportare un rischio maggiore di sostituzione per le donne, data la loro più alta rappresentanza in professioni a rischio come contabilità e gestione amministrativa. La distribuzione geografica mostra, inoltre, che le occupazioni complementari all’AI sono più frequenti nel Sud Italia, mentre quelle a rischio di sostituzione sono più concentrate nel Nord-Ovest, area con una forte presenza del settore finanziario.
Mobilità lavorativa e implicazioni salariali
Un altro punto di grande interesse dello studio è l’analisi della mobilità lavorativa, cioè la capacità dei lavoratori di cambiare occupazione per sfuggire al rischio di sostituzione tecnologica. I risultati indicano che i lavoratori nelle occupazioni più esposte all’AI tendono a trovare difficoltà nel passare ad altre professioni meno esposte, e quando riescono a farlo, spesso subiscono una riduzione salariale. Inoltre, il settore in cui è maggiore l’esposizione all’AI, come la finanza, tende a mantenere elevati livelli di persistenza professionale: una volta impiegato in questo ambito, il lavoratore ha basse probabilità di spostarsi in altri settori meno esposti.
Questa rigidità nella mobilità rappresenta una sfida significativa, poiché suggerisce che i lavoratori più esposti al rischio di sostituzione tecnologica potrebbero trovare difficile ricollocarsi in altre aree del mercato del lavoro. Tale difficoltà è più marcata per le donne, che dimostrano una maggiore persistenza nelle occupazioni esposte, e per i lavoratori con livelli di istruzione elevati che, una volta spostatisi, vedono spesso ridursi i loro guadagni.
Conclusioni: un futuro di sfide e opportunità
L’analisi della Banca d’Italia evidenzia come l’AI rappresenti una minaccia concreta per alcune occupazioni in Italia, ma suggerisce anche che questa tecnologia non agisce esclusivamente come sostitutiva. In alcune professioni, l’AI può invece aumentare la produttività senza eliminare la necessità del lavoro umano, soprattutto nelle posizioni di alto livello che richiedono capacità decisionali complesse. In conclusione, l’AI pone sfide ma anche opportunità per il mercato del lavoro italiano.
Per gestire efficacemente questa transizione, saranno necessari interventi mirati, tra cui programmi di formazione e riqualificazione per i lavoratori più esposti, con un’attenzione particolare alle donne e ai lavoratori con livelli di istruzione medio-alti. Adottare politiche che favoriscano l’integrazione dell’AI senza sacrificare il valore del lavoro umano sarà fondamentale per garantire una transizione inclusiva e sostenibile, mantenendo un equilibrio tra innovazione tecnologica e coesione sociale.