approfondimento

Democrazia e digitale: lo scenario nei dati dell’Ocse



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Una riflessione, alla luce dei dati dell’Ocse sulla fiducia dei cittadini dei Paesi membri verso le istituzioni, sull’impatto del digitale e della tecnologia sul sistema democratico e sul diritto

Pubblicato il 12 nov 2024

Daniela Piana

Ordinario di Scienza politica e riti della legalità nell'era digitale



intelligenza artificiale (2) (2)

Il release dei dati in materia di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni che ha letteralmente contrassegnato l’azione dell’OCSE in materia di promozione di una governance migliore è un evento che permette di riflettere una serie di evidenze empiriche ineludibili ed al contempo in forte necessità di una interpretazione esplicativa.

Ineludibili perché quando si legge che il 39 per cento dei cittadini dei paesi membri dell’OCSE ritiene che i governi siano in grado di bilanciare gli interessi delle generazioni attuali con gli interessi delle generazioni che verranno non si sta leggendo una evidenza irrilevante in materia di legittimazione istituzionale. Né lo è il dato che segnala come driver della fiducia la valutazione che il cittadino fa dei servizi pubblici resi dalle istituzioni della public governance e, all’interno di questo ampio spettro, la modalità con la quale nella produzione e nella erogazione dei servizi pubblici vengono utilizzati i dati personali.

Il contesto

Eppure, dietro a quell’evidenza e dietro a questi dati risiedono aspetti di complessità e novità su cui vale la pena soffermarsi. Proprio la centralità delle informazioni e dei dati nel determinare – con la loro genesi e il loro uso – il grado di affidabilità percepita dei servizi induce ad aprire una finestra parallela di analisi tecnica di quel set di dati che attiene alle capacità dei cittadini di fruire effettivamente delle opportunità di esercizio concreto e in contesto delle loro libertà di scelta su base egalitaria, per eguaglianza delle capacità. L’indice DESI che ci offre una fotografia in filigrana operativa delle capacità di accesso e di uso al digitale illustra l’esistenza di un gap fra ciò che funzionalmente viene chiesto al cittadino nella sua attività di domanda, comprensione, fruizione, valutazione, dei servizi pubblici, in particolare laddove questi includano la adozione di atti ovvero la presa di decisioni amministrative che si concretano in un format documentale digitale.

Se la sola visione della tecnologia e delle interfaccia fra cittadino e documentale o fra domanda e risposta di servizi nel settore pubblica indurrebbe a ragionare in una ottica di potenziamento delle interfaccia, in una ottica di differenziazione delle forme di risposta e dei canali di accesso a seconda dei bisogni, resta che sfugge a questa visione quale possa essere l’impatto sistemico in termini di legittimazione democratica di un procrastinato gap che si evidenzia innanzitutto in una difficoltà vissuta nel quadro del civic engagement. Non è un caso che il Forum organizzato dall’OCSE in partenariato con le nostre istituzioni a Milano il 21 e il 22 ottobre 2024 sia centrato sul tema della fiducia come metodo di riconnessione del cittadino alle istituzioni e per questa via come metodo di rilancio o di rivitalizzazione del contratto sociale sotteso alla qualità democratica. I dati parlano chiaro. Il drive più forte in termini di impatto nell’erodere ovvero nel rafforzare la fiducia nella democrazia è proprio quello del coinvolgimento del cittadino.

La Commissione europea 2024-2029 e il digitale

Ed è qui che la composizione della Commissione europea neo-designata per il 2024-2029 ci appare di grande interesse per segnare un potenziale superamento di una visione silos della tecnologia rispetto alla legittimità istituzionale. Osserviamo la segmentazione dell’agenda della Commissione attraverso la lente che è rappresentata dai portfoli dei commissari. Due di questi incorporano in una triade tematica la parola democrazia.

Il primo consta di un ambito che si definisce “Sovranità tecnologica, sicurezza, democrazia”. Il secondo insiste su un ambito qualificato con un altro trinomio: “Democrazia, giustizia, rule of law”. La presenza della parola democrazia in due agende di così ampio respiro e soprattutto per certi versi così diverse chiede una riflessione approfondita. Si potrebbe affermare che con approccio foresight rispetto alle decisioni sulle policy che saranno sulla agenda dei Commissari la democrazia funzionerà da overarching topic.

Ma non si tratta di una sovrastruttura di retorica istituzionale. In questo caso la ragione forte per vedere come si sia passati da un paradigma che distingue fra il momento tecnologico e quello di legittimazione sociale dell’uso della tecnologia nel ciclo di vita che va dalla creazione alla attuazione delle regole e dei diritti (giustizia) a un paradigma nel quale i momenti di qualità tecnologica e strutturale sono sin da subito e dichiaratamente pensati come interdipendenti dai momenti di qualità democratica e sociale.

Le nuove istituzioni che si andranno a creare, le nuove regole, sia quelle formali, sia quelle informali, saranno intrise di digitale, saranno irrorate di data-driven governance, sia nella forma algoritmica, sia nella forma delle digital cities, sia nelle forme dell’IA generativa. Solo tenendo insieme la riflessione sulla qualità socio-giuridico-tecnologica delle regole e delle istituzioni con la riflessione della effettività delle capacità del cittadino di avere accesso alle regole, alla comprensione della loro attuazione, può dare quell’effetto di rilancio della legittimazione e dell’accettazione dell’esercizio del potere in un contesto come quello europeo. Sottesa alla questione sta la questione dell’uguaglianza non soltanto di accesso alle opportunità. Piuttosto della cura delle condizioni di effettivo esercizio delle libertà nel ciclo di vita che cittadine e cittadini avranno dinnanzi a loro.

In questa riflessione l’obiettivo non è quello di fare una trattazione in materia di principi, ma preme tratteggiare quali possano essere i dati e le evidenze empiriche di cui una Commissione attenta all’evidence based policy potrebbe o dovrebbe fruire per potere orientare le proprie decisioni in modo da rispondere a quell’implicito overarching goal che è rafforzare la legittimazione del contratto sociale attraverso istituzioni che guidano, governano, integrano, il digitale a partire dal dato fino all’uso degli strumenti che dal quel dato scaturiscono con le metodologie dell’IA e della computazione avanzata.

L’applicazione delle nozioni di libertà e uguaglianza

La nozione di “eguaglianza di (opportunità) di accesso” comprende già, nella sua struttura binomiale e di aggettivazione, i riferimenti ai due principi fondativi della democrazia e dello Stato di diritto: libertà ed uguaglianza. Se infatti l’aggettivo “eguale” è chiaramente situato nel campo semantico che mettiamo in diretto collegamento con la relazione che sussiste fra due entità – x pari ad y – il concetto di opportunità fa evidentemente eco ad una accezione costituzionalmente garantita della persona che è quella che emerge dall’avervi posto a fondamento il principio del libero arbitrio e della possibilità, diremmo connaturata ed intrinseca alla persona, di scegliere. Richiamare questo aspetto non è un esercizio di riflessione teoretica.

È, e vuole essere, un gesto intellettuale e scientifico che situa l’intero percorso qui presentato nello spazio – come vedremo dinamico ed evolutivo – tratteggiato dal connubio di libertà ed eguaglianza, andando oltre la narrativa che ha trovato una sua diffusione sul finire del XX secolo che aveva teso a vedere in quel connubio una relazione di carattere disgiuntivo ed oppositivo, divulgata con enunciati simili a quello affermante che se si intende promuovere più eguaglianza, occorre ridurre le libertà. Non è l’assunto – peraltro empiricamente dimostrato non suffragato da fatti – da cui muove la proposta che qui segue.

Vi è poi un secondo aspetto che preme mettere ad incipit di quanto verrà detto. Se i principi che ispirano la nozione stessa di eguaglianza di opportunità di accesso sono chiaramente di ordine generale, ma ancor più propriamente costituzionalmente ancorati non solo a livello nazionale, ma anche a livello transnazionali – basti pensare al ventaglio amplissimo di norme che nei loro diversi ranghi e nelle loro diverse nature per cogenza e ambito di attuazione insistono sul tema della uguaglianza nel mondo, sulla lotta alla discriminazione, ampliata oggi a qualsiasi forma essa possa assumere dinnanzi alle dimensioni della vita della persona – la loro trasformazione da fatti normativi istituzionali a fatti comportamentali avviene in relazione ai contesti di vita, di lavoro, di abitazione, di crescita professionale, di formazione, di comunicazione e di informazione, di progettualità e di investimento economico, sociale, culturale. In altri termini, senza una puntuale osservazione della effettività e delle condizioni che la rendono possibile oggettivamente, perseguibile soggettivamente, valorizzabile collettivamente, agire per le eguali opportunità di accesso e avendo in mente libertà ed eguaglianza a queste connesse, non avrebbe alcun significativo impatto pratico né alcuna speranza di generare effetti duraturi nel tempo.

L’autonomia del giudizio

Se questo presupposto viene mantenuto, ciò implica che vi sia una attenzione scientifica e un orientamento pratico e strategico poi per la costruzione di quella autonomia del giudizio e della espressione della volontà della persona, rafforzata da alcune condizioni ineludibili:

  • consapevolezza delle regole che tutelano i diritti
  • consapevolezza delle barriere che si frappongono fra quella tutela de jure e la effettività de facto in contesto
  • esistenza di una cultura riflessiva e critica in materia di eguaglianza di opportunità di accesso ancorata ancor prima che alle regole di diritto positivo – fondamentali – alla normatività interiorizzata nei mondi di vita imprenditoriale, sociale, familiare, educativa, comunicativa dove la persona investe il proprio tempo, esprime la propria identità, proietta la propria evoluzione nel futuro, avendo contezza di ciò che gli altri si aspettano, sono pronti a mettere in comune, anche quando si tratta di creare meccanismi di rinforzo e di controllo che non passino necessariamente dalla formalità giuridica.

Gli obiettivi della Commissione UE

L’idea di fondo è che la Commissione europea sia orientata da una bussola evidence-taking che le dia la possibilità di rilevare lo stato dei fatti come i soli a dare fondamento solido all’agire istituzionale, alla progettazione di politiche di carattere informativo, formativo, di moral suasion, ma anche di creazione di condizioni facilitanti un approccio critico, deliberatamente aperto e dialogico, evolutivo e incrementale al perseguimento di quelle “effettive capacità di coinvolgimento e di esercizio delle libertà” che oggi si riconosce essere condizione necessaria ad una società inclusiva, equa, e perché no in armonia con la propria storia, passata e futura.

Questo nel mondo della società digitale. La domanda alla quale tale bussola dovrebbe rispondere può essere così formulata: quali sono i fattori che, ceteris paribus – ossia a parità di norme di diritto positivo – fanno la differenza come condizioni facilitanti e/o ostacolanti rispetto ad una effettiva tutela delle eguali possibilità per i cittadini di fruire di servizi pubblici che scaturiscono da istituzioni “aumentate” con IA e digitale? Quale è la natura di questi fattori? Riguardano la architettura delle scelte, i costi e i benefici potenziali del cambiamento delle prassi di tutela, il modo con cui i cittadini guardano tali scelte? I vincoli de facto caratteristici del funzionamento aziendale, sociale, economico? Il grado di flessibilità e/o resistenza al cambiamento di questi vincoli?

Il ciclo di vita dei dati

Se si volesse rispondere a queste domande le azioni di evidence taking necessarie ad ispirare policy orientate a fare leva sui fattori che abbiamo chiamato condizioni facilitanti/ostacolanti e fare sì di catalizzare a) un processo di consolidamento delle prassi virtuose; b) un processo di miglioramento agendo sulle barriere appaiono molto fortemente legate alla governance del ciclo di vita dei dati. Di qui si comprende perché è così importante definire con chiarezza quale sia il presupposto di fondo da cui prende avvio questa strategia.

Esso scaturisce dalla combinazione di due premesse:

  1. Amartya Sen afferma che l’uguaglianza quando passa dall’essere un principio all’essere un oggetto di studio va intesa non solo come una relazione fra due individui o due situazioni ma anche come una relazione che riguarda quei due individui o quelle due situazioni rispetto ad alcune proprietà che li caratterizzano. Ad esempio, possiamo dire che l’uguaglianza della persona “p1” con la persona “p2” è rilevante per quanto riguarda la rispetta opportunità di accedere alla istruzione di grado superiore. Potremmo prendere in considerazione invece la rilevanza della relazione di “uguaglianza” rispetto alla dotazione di reddito al netto degli investimenti previdenziali, o ancora rispetto alle reali opportunità di cambiare residenza, lavoro, settore di investimenti, ecc.
  2. In linea con quanto magistrali voci della filosofia politica hanno suggerito il passaggio dalla libertà come principio alla libertà come fatto ci impone di guardare al modo in cui i titolari di diritti si comportano rispetto alle opportunità, non soltanto assegnando a queste una probabilità di esiti positivi, una quantificazione di costi, derivata questa anche dalla esistenza vincoli/incentivi, ma anche assegnando a quelle opportunità di azione un significato, per la loro crescita, per la forma di vita che vogliono sviluppare, per la loro identità. L’assegnazione di un significato non è un concetto sociologico astratto. Si tratta invece di una dimensione fondamentale del nostro agire nel contesto organizzativo di una impresa, nella rete professionale di riferimento, nel contesto privato, nel mondo istituzionale e in generale nello spazio pubblico. Quand’anche una azione in linea di principio fosse nell’alveo delle opportunità possibili – e fosse anche essa la più utile o potenzialmente foriera di crescita – solo il fatto che ad essa sia assegnato un significato che comprende l’utile, ma a questo non si riduce, costituisce il ponte fra una pari opportunità di principio ed una effettività nell’esercizio delle proprie scelte.

I tre livelli di significatività

Partiamo dal presupposto che vi siano tre livelli empirici di significatività, cui corrispondono tre insiemi di fattori intervenienti e quindi tre insiemi di azioni che su quei fattori intervengono. È fondamentale che i tre livelli siano fin dall’inizio pensati in una chiave diacronica. Questo permetterà di inserire nel novero delle politiche pubbliche anche un sotto-insieme di azioni che sono orientate ad aggiornare il sistema, ma anche a dare alle persone nelle loro diverse responsabilità e con i loro diversi ruoli, modo di essere aggiornate, consapevoli e capaci di avere una visione dell’esercizio del loro diritto all’interno del contesto in evoluzione – sia tale contesto una impresa, il mondo del credito, la famiglia, la giurisdizione, le amministrazioni locali e i servizi da queste erogati.

Livello 1. Le persone. La figura 1 presenta in modo schematico le variabili rispetto cui lo studio intende realizzare l’analisi dei dati sia come serie storiche sia come approfondimenti qualitativi con una metodologia comparativa per territori e per settori di carattere professionale.

Livello 2. Il contesto di vita nel territorio. Questo livello di analisi è inteso permettere alla ricerca di capire come le variabili e i fattori che sono stati considerati per capire dinnanzi a quale “architettura di scelte” si trova la persona si mettono in atto nel territorio. La ricerca ha come obiettivo quello di capire nei fatti le condizioni di effettività di tutela delle pari opportunità tenendo conto delle tradizioni e delle esperienze pregresse, ossia delle cosiddette sub-culture di tipo politico e sociale. L’analisi con interviste strutturate e semi-strutturate appare essere la più adeguata a rilevare i fattori di contesto.

Livello 3. Il contesto transnazionale. Sul versante della mobilità anche legata agli asset, al mondo del lavoro, alla vita privata e pubblica, la capacità di rendere effettive le eguaglianze di opportunità di accesso è strettamente legata alla capacità amministrativa ed istituzionale di avere una governance condivisa del ciclo di vita del dato e dell’evidence taking-using-driving policy making. In fondo è ciò che si può ad oggi apprestare a fare la Commissione europea.

Una bussola che parte dai dati per conoscere e che ai dati torna

La dimensione evidence-based dell’approccio europeo alle politiche pubbliche non è un novum di questa stagione istituzionale. Essa è assai risalente. Nuovo è invece il perimetro dell’agenda che tiene insieme sovranità tecnologica, sicurezza, rule of law e giustizia attraverso un trait d’union che è quello della democrazia, presente in due portfoli. Riteniamo che questa articolazione se appieno interpretata in una ottica rispettosa delle interdipendenze fra accettabilità sociale qualità delle risposte giuridiche alla domanda di diritto e qualità/sicurezza della filiera data-governance nel settore pubblico permetterebbe di fare all’Unione europea quel salto di paradigma che si necessita.

Fare vivere la società digitale nel rispetto dello Stato di diritto può avvenire se e solo se da un lato il monitor della Commissione vede sin dall’inizio in sistema con i dati che sono tratti delle varie dimensioni relative alle barriere ovvero alle condizioni di vita sociale, economiche, professionali in cui segmenti della cittadinanza vivono in modo dinamico ed evolutivo o involutivo nel loro ciclo di vita. Una forma di bussola che tiene insieme l’evidence taking, la elaborazione di politiche per la società digitale che non la pensi come un oggetto tecnocratico, e la promozione di effettive capacità di imprese, cittadini, famiglie, e giovani generazioni ad essere protagonisti – loro che sono i veri detentori del potere – della società e dell’Europa di domani.

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