Gli Stati Uniti e la Cina sono in competizione per il controllo dell’infrastruttura internet in Asia, in particolare dei data center. Questa rivalità riflette le più ampie tensioni geopolitiche mentre entrambi cercano di espandere la loro influenza digitale nella regione.
L’importanza del controllo dell’infrastruttura della rete internet
L’infrastruttura della rete Internet si basa fondamentalmente su quattro componenti critici: i punti di interscambio (internet exchange points), il centro dati (data centre), i cavi a fibra ottica sottomarini e le aziende di telecomunicazioni. Se da un lato questa infrastruttura centralizzata consente una gestione quotidiana dei servizi relativi al traffico di rete, dall’altro è l’infrastruttura, nel suo insieme, che permette alle organizzazioni private e ai Governi di controllare lo stesso traffico di rete e il suo contenuto, ossia i dati e i metadati.
Infatti, la rapida corsa alla digitalizzazione a cui stiamo assistendo in questo momento storico ha innescato una competizione parallela, di matrice geopolitica, per il controllo dell’infrastruttura della rete internet.
La competizione tra usa e Cina per il controllo dell’infrastruttura
I principali attori in questa sfida sono gli Stati Uniti e la Cina, i quali affinché possano estendere e consolidare la loro influenza necessitano di un elevato grado di efficacia dei propri strumenti di cyberspionaggio. L’intero complesso che compone l’infrastruttura digitale è soggetto alle decisioni dei rispettivi Governi e dei propri apparati di sicurezza; ad esempio, l’intelligence americana ha imposto alle aziende cloud e a società come AT&T di monitorare alleati e avversari. Il Governo cinese adotta pratiche analoghe e il proprio intervento ha un impatto immediato poiché le aziende tecnologiche cinesi sono una sua estensione. Al momento il focus della competizione sembra essere incentrato in Asia, in particolare nel sud-est asiatico.
Il cuore dell’infrastruttura sono i data center e a livello globale, secondo Statista, gli Stati Uniti ne possiedono 5.381, la Cina invece 449 (dati aggiornati a marzo 2024).
Tuttavia, se si tiene in considerazione l’area geografica dell’Asia, sempre secondo Statista, la Cina con 448 data center, a cui si aggiungono i 122 di Hong Kong, è al vertice della classifica (i dati sono relativi al 2023).
L’influenza della Cina sul mercato cloud asiatico
Nel panorama dei principali fornitori di servizi cloud in Asia, si sta assistendo a una crescente e significativa influenza della Cina. L’Economist riporta che in un’analisi condotta su un campione di 12 nazioni asiatiche è stato osservato che in sette di esse la maggioranza dei cluster cloud è gestita da aziende cinesi; ad esempio, in Thailandia e nelle Filippine la totalità dei cluster di cloud computing è sotto il controllo di aziende cinesi.
Invece, uno studio del 2023 dell’Oxford Internet Institute ha evidenziato che Paesi come Australia, India e Corea del Sud dispongono di infrastrutture cloud prevalentemente gestite da operatori statunitensi. Ciò rispecchia ovviamente lo schieramento geopolitico. Nonostante il divario tra i due Paesi sia ancora abbastanza ampio, le aziende cinesi hanno avviato da tempo un’espansione. Ad esempio, Alibaba ha stabilito dei data center in nove paesi asiatici.
Le restrizioni nei confronti delle aziende cinesi
Dal 2021, sono stati avviati oltre 500 data center di medie e grandi dimensioni in Asia, con previsioni di ulteriori 270 strutture che potrebbero diventare operative entro breve tempo. Con una reazione piuttosto veemente e conservatrice a queste dinamiche, i Governi di alcune nazioni hanno approvato misure restrittive nei confronti delle principali aziende di telecomunicazioni di Pechino (Huawei e ZTE) sottolineando i rischi per la propria sovranità nazionale. In Paesi dell’area dell’Indo-pacifico, come in Giappone e Australia, è stato imposto il divieto sull’utilizzo di infrastrutture 5G fornite da Huawei e ZTE. E per rafforzare la propria partnership, in quanto firmatari e promotori dell’accordo Quadrilateral Security Dialogue (Quad), questi due Paesi hanno recentemente lanciato un’iniziativa congiunta per lo sviluppo di infrastrutture digitali nelle nazioni insulari del Pacifico. Una mossa geopolitica che assume particolare rilevanza a seguito delle recenti preoccupazioni sulle potenziali pressioni cibernetiche esercitate dalla Cina su vari Paesi dell’area del Pacifico in relazione alla questione di Taiwan. Non solo proiezione esterna, ma anche ri-progettazione dell’infrastruttura nazionale.
Il programma cinese “Eastern Data, Western Computing”
Nel 2022 il Governo di Pechino aveva lanciato il programma “Eastern Data, Western Computing”, un enorme sforzo stimato in 6.1 miliardi di dollari, secondo le stime rivelate dal Capo del National Data Bureau della Cina lo scorso agosto, per il ricollocamento dei data center presenti sul territorio nazionale dalla più sviluppata regione costiera alle regioni interne più ricche di risorse per alimentare gli impianti energivori. Secondo uno studio di ricercatori cinesi, pubblicato in concomitanza con la dichiarazione del Capo del National Data Bureau, dal titolo The “Eastern Data and Western Computing” initiative in China contributes to its net-zero target, questo progetto potrebbe rendere 53 miliardi di dollari dal 2030.
L’espansione Usa nel sud-est asiatico
Gli Stati Uniti, attraverso le proprie aziende di punta, hanno iniziato la propria espansione digitale nell’area del sud-est asiatico. A maggio Microsoft ha annunciato che investirà 2,2 miliardi di dollari nel corso dei prossimi quattro anni in Malesia per ampliare i propri servizi cloud e di Intelligenza Artificiale, risultando il maggior investimento fatto dall’azienda di Redmond nel Paese. Il Progetto “espansionistico” nell’area coinvolge anche la confinante Thailandia e l’antistante Indonesia, in cui è previsto un investimento sempre in servizi cloud e di Intelligenza Artificiale per un totale di 1,7 miliardi di dollari.
Il colosso Google, sempre a maggio, ha annunciato la costruzione del primo data center in Malesia per un esborso di 2 miliardi di dollari. Dunque, un doppio e pesante intervento in termini di influenza da parte degli Stati Uniti nella regione. A cui si aggiunge anche Equinix, la società americana specializzata in data center con una presenza sui cinque continenti con 260 infrastrutture in 33 Stati. Questa, avendo da poco completato delle operazioni in Malesia e in Indonesia, ha acquisito tre data center nelle Filippine e ha messo nel mirino Singapore come prossima operazione. A ottobre è stato annunciato che Equinix, il Fondo sovrano di Singapore e Fondo pensionistico del Canada (CCP Investments) hanno formato una Joint Venture con l’obiettivo di raccogliere 15 miliardi di dollari per la costruzione di un data center hyperscale, gigantesche strutture oltre i 930 metri quadrati (10 feet square) ospitanti più di cinquemila server.
Tra i due litiganti? Non c’è nessun altro
Abbiamo visto come le due superpotenze tecnologiche si sono avviate verso un’agguerrita competizione in Asia e in particolare nel Sud-est asiatico e ciò porta a chiederci se esista un terzo attore che possa inserirsi, anche se con molto ritardo. La risposta potrebbe essere che al momento non esistano ampi margini. Dallo studio Digital Autonomy? Measuring the Global Digital Dependence Structure pubblicato del 2023 dal Center for Advanced Security, Strategic and Integration Studies dell’università di Bonn, è emerso come i Paesi europei abbiano un’elevata dipendenza digitale, in termini di infrastrutture digitali, con gli Stati Uniti, che è minima, al contrario, con la Cina. Viene confermato che Cina e Stati Uniti sono “economie autarchiche” relativamente a questo tipo di mercato. Nello studio i ricercatori specificano che “se l’autonomia digitale si riferisce a scelte autonome riguardo ai partner commerciali o alle tecnologie, cioè a realistiche opzioni esterne, sono 20 i Paesi europei con un basso livello di autonomia perché sono soggetti a una doppia dipendenza: difficilmente questi possono sostituire la Cina come partner commerciale (in particolare riguardo i beni Ict) e le stesse relazioni commerciali sono altamente asimmetriche; difficilmente possono svincolarsi dalle infrastrutture digitali degli Stati Uniti.”