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Clienti in fuga nelle tlc: strategie per tenerli e competere



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Nel mercato delle telecomunicazioni, la fedeltà dei clienti si gioca su esperienze personalizzate e non solo sui costi. L’innovazione e l’uso dell’intelligenza artificiale emergono come strumenti chiave per migliorare l’esperienza cliente e ridurre il churn

Pubblicato il 28 nov 2024

Davide Di Labio

Associate Partner KPMG



tlc, telecom, antenna, rete, reti

Nel caos competitivo che caratterizza il mercato delle telecomunicazioni, una domanda brucia come il sole: come far sì che i clienti restino fedeli in un mondo dove le promesse di “connettività infinita” sono ormai la norma? La risposta non sta più solo nella qualità della rete, né nei pacchetti più economici, ma in qualcosa di più sfuggente: l’esperienza del cliente.

L’economia dell’esperienza, con la sua capacità di trasformare interazioni “banali” in momenti significativi, è una vera moneta di scambio in questo mercato e necessita forse di ritrovare focalizzazione.

Ripensare la customer experience nelle telecomunicazioni

Se da un lato abbiamo assistito a tentativi apprezzabili di reinventare l’esperienza di un cliente che acquista e utilizza un servizio telefonico, dall’altro c’è il rischio che il concetto stesso di “focus sulla customer experience” sia stato un po’ troppo ridotto a una mera questione di posizionamento e branding negli ultimi anni.

La vera sfida, in realtà, sta nel riuscire a trasformare un business “low touch”, caratterizzato da poche interazioni all’anno – e spesso limitate a problematiche come disservizi o “bollette” errate – in qualcosa di molto più profondo. Immaginiamo di essere nel cuore di un cliente consumer: se il contatto con il mio provider di telecomunicazioni si limita a una manciata di occasioni annuali, e quei pochi momenti sono spesi a lamentarmi per un disguido tecnico o un errore di fatturazione, la probabilità che mi senta soddisfatto è scarsa. È facile immaginare quanto basti un risparmio di 1€ al mese per spingermi a cercare altrove (si, le logiche di allocazione e propensione della spesa su alcune categorie sono particolari).

I numeri che non mentono: churn e NPS nel cuore della tempesta

L’analisi dell’NPS (Net Promoter Score) nel settore delle telecomunicazioni è un campanello d’allarme che nessun operatore può ignorare. Con una media che oscilla tra il 20 e il 30, il settore si trova ben lontano dai punteggi stellari che registrano altri settori come il tech o i beni di consumo. Le telco sono quindi chiamate a rispondere a una pressione costante: come non far scappare i clienti? Eppure, nonostante le campagne aggressive di marketing e le offerte sempre più competitive, il churn non si ferma. Gli operatori sono intrappolati in un circolo vizioso: l’acquisizione di nuovi clienti è costosa, e il costo della retention si è impennato. I costi per acquisire un cliente sono quasi il doppio rispetto a quelli per mantenerlo, eppure il risultato è sempre lo stesso: uno spostamento continuo tra operatori, dove la fedeltà è un concetto quasi inafferrabile.

Come in Inception, capolavoro di Nolan, i clienti sembrano viaggiare tra “livelli” di offerte, oscillando tra sogni e promesse, ma in una ricerca perenne che li tiene in movimento, senza mai raggiungere una destinazione stabile.

La sfida si gioca sul filo di un equilibrio precario. Il churn rate nel mobile può superare il 30% nei mercati maturi, ma chi guarda davvero al problema si rende conto che la vera causa di questo flusso ininterrotto non è solo la concorrenza feroce, ma la mancanza di engagement a lungo termine. La battaglia per la “permanenza” del cliente non si vince con l’abbassamento dei prezzi, ma con una personalizzazione continua e con esperienze digitali che vanno oltre l’ordinario.

Il caso italiano: tra cultura del risparmio e hypercompetition

Nel mercato italiano, la situazione è ancora più complessa. Con un costo (prezzo) per GB tra i più bassi al mondo sul mobile (0.09 dollari contro gli oltre 7 dollari della svizzera), il consumatore si trova di fronte a una scelta illimitata di offerte, creando un’incessante guerra dei prezzi. Ma dietro a questi numeri, si nasconde anche un altro aspetto culturale: la propensione italiana alla spesa contenuta. I consumatori italiani non sono disposti a pagare molto per un servizio che percepiscono come standardizzato. Le telecomunicazioni, pur essendo fondamentali per abilitare una vasta gamma di altri servizi, non riescono a conquistare la percezione dei consumatori come un servizio cruciale e irrinunciabile. La connettività, pur essendo essenziale, non viene riconosciuta dai clienti con la stessa rilevanza e vitalità di altri servizi digitali di uso quotidiano, come le piattaforme di streaming, la messaggistica istantanea o i social media. Questa distanza nella percezione potrebbe spiegare la difficoltà del settore nell’affermarsi come protagonista in un panorama digitale sempre più diversificato​. Se “va giù” Whatsapp per qualche ora, paradossalmente potrebbe fare più notizia che un “network outage” (ovvero interruzione di servizio di rete). E in alcuni casi, quasi paradossali ma purtroppo reali, capita che alcuni clienti si rivolgano al servizio clienti dell’operatore telefonico chiedendo di ripristinare WhatsApp, come se fosse un problema legato alla rete telefonica stessa. Ma questo è un altro film che merita un approfondimento a parte.

Valore a costi minimi: una corsa al ribasso

Le dinamiche attuali hanno spinto il settore in una corsa al ribasso, dove l’unico vero vantaggio competitivo sembra essere la capacità di offrire valore a costi minimi e in questo scenario un piano dati illimitato rischia di apparire come un beneficio sproporzionato o non sempre necessario.

Al contrario, guardando al mercato telco statunitense, emerge una propensione maggiore alla spesa per piani caratterizzati da specifiche più elevate, come velocità superiori. Un consumatore americano, che in media utilizza molta più connessione giornaliera rispetto a un europeo, è infatti spesso disposto a pagare un premio per un servizio più performante.

Tornando all’Italia, va detto che tutto ciò avviene nonostante nel nostro Paese la qualità del servizio sia già eccellente in molti segmenti, spesso migliore rispetto a quella di altri Paesi dove i prezzi non hanno subito una simile compressione.

Senza dubbio, questo clima di hypercompetition ha spinto gli operatori a innovare nei vari segmenti soprattutto in termini di offerte integrate (e.g. mobile + fisso + tv,…), e nei servizi aggiuntivi, ma raramente si è visto un vero tentativo di alzare le tariffe o differenziare realmente i propri prodotti (a parte qualche recente iniziativa di diversificazione su energia e assicurazioni).

Offerte integrate: benefici e rischi

I dati parlano chiaro: i clienti con offerte integrate sono molto meno propensi ad abbandonare il proprio operatore. Avere più servizi comporta sconti maggiori, benefici aggiuntivi e alti costi di uscita, che costituiscono vere e proprie barriere al cambio di operatore.

Ma se da un lato questo permette ai consumatori di accedere a tariffe basse, dall’altro pone gli operatori in una trappola economica, dove i margini sono così stretti che ogni nuovo investimento o innovazione rischia di non essere sufficiente a compensare la compressione dei ricavi.

L’evoluzione del mercato wholesale sulla fibra ottica

Rimanendo con lo sguardo fisso sul mercato italiano, lo scenario che si sta delineando è di quelli destinati a catturare l’attenzione. Una serie di dinamiche stanno prendendo forma e, a breve, sfoceranno in fenomeni che trasformeranno e impatteranno i KPI chiave di retention e churn per gli operatori. In primo piano, l’evoluzione del mercato wholesale sulla fibra ottica, un segmento che sta subendo una radicale riorganizzazione, non solo da un punto di vista infrastrutturale, ma anche per l’influenza che potrà avere sulle tariffe e sulla competitività tra gli operatori. Il consolidamento in atto tra i principali player del mercato, poi, sta preparando il terreno per una concentrazione che avrà inevitabili ripercussioni sulla spinta all’acquisizione e sulla fidelizzazione della clientela.

A questi sviluppi si aggiunge l’entrata in scena dei nuovi attori, pronti a competere con soluzioni satellitari, che potrebbero accelerare la presenza finora parziale anche in Italia, stravolgendo l’assetto tradizionale del settore e minacciando di alzare ancora di più l’asticella delle aspettative da parte degli utenti. Non meno rilevante, la continua tensione con gli OTT, che si ripresenta con cadenza ciclica, e che potrebbe portare a nuove richieste di contribuzione al costo delle infrastrutture, alterando il tradizionale modello di business. A questo si sommano le sfide inflazionistiche che, fino a oggi, sono state affrontate con meno aggressività rispetto a quelle viste in altri paesi europei, ma che potrebbero subire accelerazioni nel prossimo futuro.

E infine, la trasformazione che la nuova rete 5G auspicabilmente (e finalmente) porterà con sé: non solo una spinta verso l’evoluzione tecnologica, ma anche una crescita esponenziale della domanda di dati, alimentata dall’intelligenza artificiale, che cambierà radicalmente le regole del gioco.

Il mercato italiano delle telecomunicazioni, dunque, è pronto ad affrontare sfide e opportunità che, da un lato, spingeranno a una maggiore competitività, e dall’altro, preannunciano turbolenze nelle dinamiche di retention. Un futuro che promette scintille.

L’intelligenza artificiale: il vantaggio competitivo che potrebbe svanire

Eppure, nel bel mezzo di questa tempesta, c’è una luce che brilla più di tutte: l’intelligenza artificiale. In un settore che combatte una battaglia incessante per la fidelizzazione dei clienti, l’AI si presenta come una potenza da non sottovalutare. Le sue capacità predittive, la possibilità di risolvere problematiche in tempo reale e di personalizzare l’offerta in base al comportamento del cliente stanno già cambiando le regole del gioco. In alcuni casi, ad esempio, minimizzare i disservizi di rete e risolvere problemi prima che emergano è diventato cruciale per evitare il rischio di churn. La vera domanda, tuttavia, è quanto tempo passerà prima che l’AI diventi uno strumento tanto diffuso da perdere il suo vantaggio competitivo. Il rischio, in fondo, è che tutti inizino a usare la stessa “calcolatrice” e il mercato torni a un equilibrio, non più dissimile da quello attuale.

La sfida, dunque, è nella corsa contro il tempo. Gli operatori sono chiamati a capire se e come sfruttare l’AI per ottenere il massimo vantaggio competitivo, ma devono farlo con la consapevolezza che, per quanto potente, il gioco dell’innovazione e della customer experience potrebbe presto entrare in una nuova fase di standardizzazione. È una riflessione che richiede scelte rapide e lungimiranti, che decideranno chi avrà la meglio nei prossimi anni.

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