cambiamenti climatici

Cop29 di Baku: i tre fattori che hanno causato il flop



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L’accordo finale è un compromesso al ribasso, ma l’innovazione tecnologica è la strada giusta per decarbonizzare. Ecco perché

Pubblicato il 25 nov 2024



Bilancio della Cop29 di Baku è deludente

Il combinato disposto di tre fattori – noti da prima che iniziasse la Cop29 a Baku – lasciavano presagire un bilancio negativo.

Innanzi tutto, era lo stesso “ordine del giorno” di questa conferenza climatica a essere inadeguato e pregno del prevedibile e previsto fallimento. Ecco perché è molto deludente la 29° Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite in Azerbaijan.

Clima: ecco cosa si è deciso alla Cop29 di Baku - chi è contento e chi no

Ma è l’innovazione tecnologica che rende più conveniente la decarbonizzazione.

Bilancio della Cop29 di Baku: i tre fattori che ne hanno causato il fallimento

Alla Cop29 di Baku non si dovevano analizzare i progressi nelle riduzioni delle emissioni indicati dall’Accordo di Parigi del 2025 e ribaditi sino alla roadmap della COP27 di Glasgow. Neppure si doveva adeguare all’aggravamento della crisi climatica in atto, dato che ormai quella soglia di 1,5 gradi di aumento della temperatura media terrestre, rispetto ai dati precedenti la rivoluzione industriale, è stata sostanzialmente già raggiunta.

Invece si sarebbe dovuto discutere solo di finanza, cioè di quanti soldi i Paesi più sviluppati avessero dovuto impiegare per aiutare i più poveri sulla mitigazione (riduzione delle emissioni) e adattamento (alle catastrofi causate dalla crisi climatica). Lo scoglio più arduo da superare.

Secondo fattore negativo, forse il più paradossale, era che la Conferenza veniva ospitata per un’ennesima volta da un Paese che sui fossili basa la propria ricchezza. E infatti in apertura gli azeri hanno dichiarato che “il petrolio e il gas sono doni di Dio”.

Infine terzo e ultimo fattore – ma forse il più rilevante – che si è manifestato pochi giorni prima, è l’elezione di Trump.

E infatti tutto è andato come previsto. In extremis, e solo per salvare la faccia, ci si è rassegnati a un accordo che diceva poco o niente, rimandando qualche speranza alla prossima COP che si terrà in Brasile.

In ambito finanza, hanno scritto che servono 1,3 trilioni di dollari l’anno e che bisogna arrivare a quella cifra di finanziamenti entro il 2035. Ma i Paesi “ricchi” si sono impegnati ad arrivare per quella data a 300 miliardi. Dunque mancano all’appello mille miliardi, non spiccioli. Inoltre, persino quei 300 miliardi non sono tanto veri, perché ci si possono mettere dentro anche quelli dei privati che investono nei paesi più poveri (per i propri profitti).

I “nuovi ricchi” (la Cina e i ricchissimi sauditi dei petrodollari) poi non sono obbligati ad alcun impegno. Lo faranno solo se vogliono. Insomma, il bilancio della Cop29 è davvero scarso. “Tutto sbagliato, tutto da rifare”, avrebbe detto Gino Bartali. E più o meno lì stiamo.

L’obiettivo Net zero al 2050

Ma dobbiamo essere consapevoli che non abbiamo alternative. Il processo di
decarbonizzazione e l’obiettivo Net zero al 2050 non possono che passare per accordi internazionali e sotto l’egida dell’ONU
.

Non esistono alternative auspicabili a questo defatigante e a volte, come in questo caso, frustrante esercizio di diplomazia. Le tragiche guerre in corso ci ricordano, se mai ce ne fosse stato bisogno, il dramma che porta con sé la “legge del più forte”.

Quindi, di fronte all’incapacità della politica internazionale di imboccare quella strada che a Parigi quasi 10 anni fa aveva fatto dire a qualcuno che si erano messi finalmente i “fossili dalla parte sbagliata della storia”, dobbiamo guardare con più fiducia ai fenomeni sociali ed economici in atto che le leadership politiche evidentemente non sono in grado di analizzare correttamente.

I fenomeni sociali

Non è più il “momento di Greta” evidentemente, ma sarebbe da sciocchi (e ciechi) non capire che l’attivismo ambientale – tenuto fuori dalle ultime Cop dai regimi illiberali di Egitto, Emirati e Azerbajan – non sia ancora in grado di mobilitazione, creare consenso, modificare comportamenti, stili di vita, scelte dei consumatori.

Lo sanno bene i “direttori marketing” delle aziende al momento delle scelte di comunicazione per “vendere prodotti”. L’incremento del biologico è solo un esempio, come sono le forme sempre più praticate alternative all’uso dell’automobile privata.

E qui il sociale si intreccia con gli aspetti economici. Dunque è vero che nelle COP sono sempre più presenti frotte di lobbisti delle fossili che influenzano negativamente quel percorso, ma l’economia reale sta già marciando in direzione opposta.

La risposta giusta è l’innovazione tecnologica: oltre la Cop29 a Baku

Oltre l’80% della nuova potenza elettrica installata lo scorso anno nel mondo era rinnovabile. Il Paese che oggi ormai inquina di più al mondo, la Cina, è anche il più grande investitore nelle rinnovabili.

La tendenza è segnata. Nonostante gli alti lai che si sollevano nel nostro Paese sull’argomento , anche l’elettrificazione dei trasporti è inevitabile.

Ma è l’innovazione tecnologica che rende più conveniente la decarbonizzazione. E non si può fermare.

Conclusioni

Se però continuiamo invece ad attardarci nel difendere lo status quo corriamo due rischi davvero “mortali”: non cogliere le opportunità che questa rivoluzione porta con sé, regalandole ad altri (la Cina innanzitutto, come sta già avvenendo) e soprattutto mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della nostra specie su questo Pianeta.
Si possono dunque scongiurare entrambi questi rischi, se costruiamo un’alleanza virtuosa tra cittadini, imprese innovative e politiche intelligenti. Un vasto programma, ma ineludibile. La strada è questa e, grazie all’innovazione tecnologica, è possibile.

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