il confronto

Memoria umana contro IA: perché il nostro cervello resta insuperabile



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La complessità del sistema memoria nell’uomo, tra ippocampo e neocorteccia, supera i sistemi artificiali nella capacità di generare nuova informazione dalla lettura e scrittura e porre domande. Non vuol dire che l’IA sia inutile: ecco dove deve concentrarsi

Pubblicato il 2 dic 2024

Francesco Beltrame Quattrocchi

Ordinario di Bioingegneria Università degli Studi di Genova; Presidente di ENR – Ente Nazionale di Ricerca e promozione per la standardizzazione



human brain vs IA

Non esistono al mondo progettisti e industrie ICT che producano memorie a sola scrittura: a cosa mai potrebbe infatti servire una write only memory? Scrivere da qualche parte informazioni che non possano essere mai più recuperate da esseri umani o anche da sistemi artificiali pare manifestamente illogico sotto ogni profilo, a meno di ricorrere a qualche scenario puramente e lontanissimamente fantascientifico e, soprattutto, misterico.

La memoria, sia quella naturale, sia quella artificiale (elettronica, digitale) è normalmente concepita come un luogo – di grande complessità – dove sia possibile depositare in maniera più o meno permanente e ridondata informazioni, dati, immagini, perfino segnali rappresentativi di emozioni, ove si pensi alla parte naturale, che vanno a costituire la base di conoscenza a partire dalla quale è possibile costruire elaborazioni induttive e deduttive che a loro volta producono progressivamente nel tempo nuova informazione e arricchimento del bacino memoria di partenza e tutto ciò ci è indispensabile per esercitare ogni nostra azione sia concreta sia astratta, ovvero un’azione-pensiero.

Sviluppare il ruolo della memoria: gli aspetti da considerare

Tre sono gli aspetti che meritano di essere presi in considerazione per far sì che l’importantissimo ruolo della memoria possa essere sviluppato e dispiegato in tutta la sua potenzialità, tanto per sistemi naturali quanto per sistemi artificiali, seppure in senso ben diverso. Essi sono: 1) la lettura, 2) la scrittura, 3) la modalità intrinseca del processo di memorizzazione strettamente inteso.

Dal punto di vista naturale, l’essere umano – forse l’unica specie vivente dotata di tale situazione – è capace di apprendere fin da piccolo e con gradi di profondità progressivi a leggere, a scrivere secondo le regole di una certa lingua che egli è pure capace di parlare e ascoltare e decifrare col senso dell’udito e ad allenare le proprie cellule e sistemi di cellule nervose per fare l’operazione di storage.

Lettura, scrittura, memorizzazione: il confronto uomo-macchina

Dal punto di vista dei sistemi ICT, quelli a tecnologia corrente, ma medesima cosa è possibile affermare per quelli più avanzati pomposamente e con un po’ di arroganza (di chi li abbia concepiti?) definiti “intelligenti”, le tre fattispecie di cui sopra sono riassumibili nelle tre parole-chiave read, write, store/retrieve.

La lettura

Il confronto naturale-artificiale necessita però di un’attenta analisi sia riguardo alla specificità strutturale e funzionale delle tre componenti individuate di per sé considerate sia, soprattutto sotto il ben diverso profilo delle loro possibilità di interazione sistemica. Circa la lettura, è ben chiaro come il sistema artificiale sia sostanzialmente limitato a un meccanismo di indirizzamento di una cella di memoria digitale e di fetch (presa) del suo contenuto secondo un algoritmo sequenziale o eventualmente parallelo (caso più sofisticato). Nel caso invece del sistema umano interviene il sistema visivo degli occhi, con i movimenti oculari retroazionati sia a livello del senso dell’equilibrio (sistema vestibolare) sia del sistema nervoso neocorticale-cognitivo, quello capace di attribuire un significato al segnale visivo proveniente dai sensori retinici (coni e bastoncelli) che “fotografano” i caratteri scritti su una qualche forma di supporto materiale.

La scrittura

Passando alla scrittura, se per i sistemi artificiali la situazione poco si discosta dall’operazione di lettura semplicemente pensando di invertire il segno a quella fase denominata fetch (in questo caso, anziché “prendere” si “depone” un certo contenuto nella cella di memoria dopo averla opportunamente indirizzata sempre secondo un certo algoritmo), per il sistema naturale umano la situazione è ancor più complessa, perché necessita del coinvolgimento dell’arto superiore e, in particolare, dei movimenti della mano e delle sue diverse dita che devono essere in grado di reggere e guidare un qualche strumento attuatore di scrittura, retroazionando tali azioni con la vista e i movimenti oculari coordinati con quelli della mano stessa. Del resto, dalle neuroscienze, ben nota è l’ampiezza rappresentativa dedicata alla mano rispetto al totale del corpo umano a livello di homunculus motorio e homunculus sensitivo.

La memorizzazione

Anche sul terzo aspetto, quello relativo al meccanismo specifico del processo di memorizzazione, a dispetto di un’apparente similitudine funzionale, le cose vanno ben diversamente nei sistemi artificiali rispetto a quelli umani naturali, peraltro perfino non del tutto conosciuti data la loro complessità. Infatti, in ambito ICT, il processo di memorizzazione – che può essere reso permanente (esempi: read only memory, electrically alterable read only memory, erasable programmable read only memory) o cancellabile e riscrivibile più volte (esempio: random access memory) – alla fine è ridotto a una qualche forma di interazione elettronica con un materiale (tipicamente a stato solido) del quale viene alterato lo stato fisico in maniera più o meno reversibile. Completamente diversa e pure in questo caso non compiutamente conosciuta è la situazione per il sistema di memorizzazione umano naturale al quale partecipano secondo un’architettura coordinata e complessa una pluralità di sottosistemi distrettuali del sistema nervoso (principalmente ippocampo, neocorteccia, amigdala) con modalità operative diverse a livello neurobiologico cellulare e subcellulare, a volte neppure del tutto predicibili e variabili da persona a persona e, pure nella stessa persona, a parità di situazione, di volta in volta. Dalle neuroscienze sappiamo che l’ippocampo gioca un ruolo cruciale nella formazione di nuove memorie e le connette a emozioni e sensi diversi, mentre la neocorteccia funziona principalmente quale deposito per le memorie a lungo termine. La regolazione dinamica delle connessioni sinaptiche, anche detta plasticità sinaptica, è ritenuta il cuore del processo molecolare di formazione della memoria.

Come opera l’ippocampo nella memorizzazione umana

Quale indicatore della differenza fra sistemi artificiali di memorizzazione e quello umano naturale, basta fare riferimento a come opera l’ippocampo. Esso forma una rete di cellule che è substrato ideale per lo studio dei meccanismi molecolari che orchestrano la regolazione dinamica della forza sinaptica e la forma di plasticità neuronale attività-dipendente meglio conosciuta e più estesamente studiata, ossia il potenziamento a lungo termine (LTP, Long Term Potentiation) della forza sinaptica. Il concetto, molto semplificato, che è alla base del ruolo della LTP nella formazione della memoria, può essere riassunto come segue: un’esperienza, per esempio la formazione di un nuovo ricordo, attiverà uno specifico set di connessioni sinaptiche che, di conseguenza, si rafforzeranno, come mostrato dalla LTP di queste sinapsi. La LTP è così considerata come il più importante correlato cellulare di una traccia di memoria, e la sua ampiezza e longevità come i parametri che probabilmente determinano la robustezza della traccia.

L’identificazione dei protagonisti molecolari della plasticità fu ottenuta principalmente a livello di alcune particolari sinapsi di una determinata zona dell’ippocampo. Tali connessioni sinaptiche mostrano una robusta LTP con componenti sia precoci sia tardivi, fenomeno tipico del meccanismo che soggiace alla formazione della memoria come si osserva nel corso dell’evoluzione. Dunque, tutto molto diverso rispetto la concetto fetch/store/retrieve dei sistemi ICT. Si tratta di una diversità non commensurabile col caso artificiale. Fin qui l’analisi comparativa “per parti”.

Trittico lettura-scrittura-memorizzazione: il confronto uomo-macchina

Ma l’aspetto più rilevante risiede nel confronto del trittico integrato lettura-scrittura-memorizzazione umano naturale rispetto alla situazione artificiale ICT anche quella più sofisticata quale rinveniente da situazioni riferibili come “intelligenza artificiale generativa”, robotica umanoide etc.. Quando l’essere umano infatti scrive qualcosa, contemporaneamente lo legge, lo memorizza, eventualmente lo corregge muovendo le mani, lo ri-memorizza dopo correzione anche per molte volte finché si senta appagato dal punto di vista cognitivo rispetto a ciò che intenda esprimere. E genera nuova informazione, nel senso di Shannon, perché sostanzialmente pone domande. Può farlo perché dispone di un sistema armoniosamente orchestrato, flessibile, dinamico e, cosa non di poco rilievo, con bassissimo dispendio di energia.

I sistemi artificiali generativi AI e robotici avanzati, al contrario, sono capaci di fare soltanto e molto velocemente tantissime correlazioni, ma non sono in grado né di porre domande né di generare nuova informazione e sono, per giunta, assai energivori. Peraltro, come anche scrive Federico Faggin nei suoi libri recenti, le correlazioni svolte dai sistemi AI possono indurre a conclusioni fallaci ove non opportunamente controllate dal sistema naturale umano.

La vera utilità dei sistemi di intelligenza artificiale

Se ne deve dunque dedurre che i sistemi AI sono inutili? Certamente non è questa la risposta. Essi vanno ricondotti a quello che sono, ovvero alla loro dimensione tecnologica, certamente utile per la persona umana.

Una delle utilità più significative potrebbe proprio essere quella di contribuire a trovare più facilmente e rapidamente rimedi neurofarmacologici per curare situazioni patologiche degenerative del sistema naturale umano integrato di lettura-scrittura-memorizzazione. Un altro messaggio è quello di veicolare in modo corretto ai giovani a scuola il ruolo pertinente e proprio dei sistemi AI, senza fughe verso orizzonti privi di fondamento. In particolare, andrebbe richiamato agli insegnanti, fino dai primi anni di scuola, il rilievo per la crescita personale della persona umana della scrittura a mano, quale atto identificativo della persona stessa, come se fosse una sua carta di identità unica e irripetibile. In fondo, nella scuola elementare italiana di molti anni fa esisteva e veniva valutata una materia specifica che aveva un nome: la calligrafia, non intesa banalmente come “bella scrittura”, ma quale impronta “neurobiologica” per identificare una persona umana. Forse, gli insegnanti di oggi dovrebbero riflettere su tale punto, proprio alla luce di veicolare ai giovani allievi un’innovazione tecnologica correttamente intesa.

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