l’analisi

Reti ultraveloci: la burocrazia che paralizza l’Italia digitale



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 La realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione in Italia è frenata da lungaggini burocratiche. La mancanza di enforcement delle leggi minaccia il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di connettività fissati per il 2030

Pubblicato il 27 nov 2024

Silvia Compagnucci

vicepresidente di I-Com

Domenico Salerno

direttore Area Digitale dell’Istituto per la Competitività (I-Com)



BUROCRAZIA (1)

Da ormai oltre un decennio la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione utili a portare una connettività ultraveloce a tutta la popolazione è al centro del dibattito italiano ed europeo. Si tratta, infatti, di una precondizione ormai indispensabile ad assicurare la competitività di ciascun paese e la partecipazione alla vita socio-economica da parte di cittadini ed imprese.

Connettività: gli obiettivi Ue 2030 a rischio in Italia

Partendo da questa consapevolezza, la Comunicazione “Bussola digitale 2030: la via europea per il decennio digitale” ha definito, tra gli altri, anche gli obiettivi di connettività per l’anno 2030 prevedendo una connettività di almeno 1 Gbps per tutte le famiglie europee e la copertura 5G in tutte le aree popolate.

Questi traguardi, che sono certamente sfidanti a livello UE, risultano ancor più complessi da raggiungere se realizzati all’interno del complesso sistema normativo italiano. I vincoli burocratici esistenti nel nostro Paese sono tristemente noti e non hanno lasciato indenne nemmeno delle infrastrutture vitali per la competitività del nostro Paese come le reti di telecomunicazione.

Lo studio dell’Istituto per la Competitività

Per facilitarne lo sviluppo, anche alla luce dei tassativi tempi imposti dal piano Next Generation EU, negli ultimi anni sono stati fatti notevoli sforzi per semplificare gli iter burocratici utili all’ottenere i permessi per realizzare le opere. Nonostante ciò, gli operatori di rete continuano a sperimentare ampia disomogeneità sul territorio nazionale e notevoli difficoltà nel relazionarsi con le Pubbliche Amministrazioni che impongono di attendere, spesso, tempistiche non in linea con le normative per l’ottenimento delle autorizzazioni.

Alla luce di ciò, l’Istituto per la Competitività ha deciso di effettuare un’analisi finalizzata a comprendere se, a seguito dei vari interventi, si sono ravvisati miglioramenti nella gestione dei processi burocratici e nelle tempistiche degli iter autorizzativi che le aziende devono affrontare per ottenere i permessi necessari realizzare infrastrutture di connettività. Lo studio, dal titolo “Semplificare per digitalizzare. Il ruolo delle infrastrutture di rete nella transizione digitale italiana”, è stato realizzato nell’ambito di Futur#Lab, progetto di I-Com e Join Group con la partnership di Ericsson, FiberCop, INWIT e Open Fiber.

Le iniziative per semplificare i processi autorizzativi

A livello nazionale l’ultimo quinquennio è stato costellato da numerose iniziative tese a semplificare i processi autorizzativi: i decreti-legge nn. 76/2020 e 77/2021 (convertiti, rispettivamente, con L. n. 120/2010 e L. n. 108/2021), noti come decreti semplificazioni, hanno introdotto nel quadro normativo vigente, una serie di innovazioni tese alla semplificazione e velocizzazione delle procedure ed alla riduzione degli adempimenti richiesti agli operatori per la realizzazione delle infrastrutture sia fisse che mobili.

Alle modifiche introdotte da tali decreti, se ne sono aggiunte ulteriori sia in sede di recepimento del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 207/2021) sia successivamente, ad opera di una corposa serie di atti normativi tra cui la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2022 e 2023, il D.L. n. 13/2023 (convertito con legge n. 41/2023), recante disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del Piano nazionale degli investimenti complementari al PNRR, nonché per l’attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune e, da ultimo, la legge n. 214/2023, che ha disposto l’innalzamento dei limiti di esposizione a campi elettromagnetici ed il D.Lgs. n. 48/2024 che è andato ulteriormente ad innovare la disciplina di cui al CCE.

Quello che emerge, oggi, è un quadro normativo abbastanza chiaro e delineato che ha valorizzato strumenti come la conferenza dei servizi di cui sono state fissate formazione e tempistiche di azione certe, ha sancito principi importanti come l’inefficacia del provvedimento di diniego tardivamente adottato ed ha graduato gli oneri e gli adempimenti imposti ai richiedenti in base alla tipologia di intervento. Si tratta di un’ampia mole di interventi normativi a partire dal 2018 che, anche su sollecitazione degli operatori impegnati sul campo nella posa delle reti di TLC fisse e mobili, hanno consentito di raggiungere ottimi risultati definendo oggi un ecosistema di regole e procedure per il rilascio dei permessi che, al netto di qualche piccola miglioria sempre possibile, si rivelano a livello generale adeguati e sufficientemente dettagliati.

Tempi di risposta degli enti nazionali: i problemi

Ebbene, partendo dal quadro normativo vigente, l’analisi realizzata da I-Com prende spunto dalle tempistiche di risposta degli enti nazionali chiamati a rilasciare i titoli autorizzativi necessari per la realizzazione della rete in fibra. In particolare, l’indagine si è concentrata sui gestori delle grandi infrastrutture di trasporto e sulle specifiche problematiche riscontrate dagli operatori nel relazionarsi con gli stessi. Scendendo nel dettaglio, secondo quanto rilevato dalle aziende, i giorni medi per ottenere un’autorizzazione da parte delle entità gestori infrastrutture stradali sono 202. In questo caso, la procedura viene resa più complessa dalla disomogeneità delle prassi sia dal punto di vista tecnico che amministrativo tra le diverse strutture territoriali dei vari enti. Il dato peggiora ulteriormente se consideriamo gli enti autostradali, arrivando a ben 266 giorni per l’ottenimento delle autorizzazioni.

La gestione non corretta degli iter autorizzativi

Tra i problemi più comuni c’è una gestione non corretta degli iter autorizzativi, in particolare relativamente alle istanze di riutilizzo. Queste ultime anziché essere incardinate con un iter semplificato come previsto dalla normativa vigente, vengono trattate al pari di istanze per la realizzazione di nuova infrastruttura, portando a un ulteriore allungamento dei tempi. A pesare sui processi c’è anche un grave abusivismo e una diffusa carenza documentale. Non di rado è stato riscontrato che i soggetti terzi titolari di infrastrutture, apparentemente legittime, non siano in grado di produrre i titoli autorizzativi e per questa ragione le pratiche vengono diniegate, causando perdite di tempo significative.

In questo contesto, una nota positiva è rappresentata dagli enti ferroviari che, sebbene presentino ancora una tempistica dell’iter autorizzativo molto lunga (155 giorni), hanno fatto registrare notevoli miglioramenti nel corso degli ultimi anni grazie all’efficientamento dei processi.

Le difficoltà riscontrate negli iter autorizzativi degli enti locali

La seconda parte dell’analisi si è concentrata sulle difficolta riscontrate dalle aziende nell’ottenere autorizzazioni da parte degli enti locali. In particolare, in virtù delle più frequenti necessità che incontrano gli operatori che realizzano reti di telecomunicazione, sono stati presi in esame due parametri: i giorni medi necessari al completamento delle istanze per l’ottenimento dell’illuminazione pubblica e i giorni medi necessari ad ottenere l’autorizzazione agli scavi.

Relativamente all’iter amministrativo necessario ad ottenere l’illuminazione pubblica la tempistica media che emerge a livello nazionale si attesta sui 121 giorni. Osservando i dati relativi alle macroaree del Paese è possibile vedere come vi siano notevoli differenze tra gli enti locali del centro, che risultano più efficienti facendo segnalare 101,5 giorni medi per il completamento delle procedure, e quelli del sud (128,3 gg) e del centro (131 gg).

La situazione appare leggermente migliore per quanto riguarda i tempi medi delle istanze autorizzative per l’ottenimento dell’autorizzazione agli scavi (Fig.3.2). In questo secondo caso il dato medio nazionale è di 117 giorni, mentre sul versante territoriale a risultare più celeri sono gli enti locali del nord (109,3 gg), seguiti dal sud (118,7 gg) e dal centro (127 gg).

Considerando le sole reti mobili, analizzando il dato sui giorni medi utili ad ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di infrastrutture è possibile ravvisare un lieve miglioramento negli ultimi anni. In particolare, si è passati dai 162 gg medi rilevati per il 2022 ai 144 dello scorso anno.

Le conferenze dei servizi

Particolarmente problematico e con forti disomogeneità tra i vari enti locali delle regioni del Paese risulta il dato sulle convocazioni delle conferenze dei servizi (cds), strumento fondamentale per la semplificazione e la razionalizzazione dei procedimenti che prevedono il rilascio dei cosiddetti “atti di assenso” (autorizzazioni, nulla osta, pareri, ecc.) necessari per la realizzazione di nuovi interventi. In questo caso per comprendere come si sia modificata la situazione a seguito degli interventi normativi è stato preso in esame l’intero triennio 2022-2024.

Nel 2022 il numero di istanze analizzate per cui era necessaria una conferenza dei servizi si è attestato sulle 381, di cui solo il 41% è stato effettivamente convocato. A livello regionale la maglia nera per l’anno analizzato spetta a Basilicata, Friuli e Valle d’Aosta in cui, a fronte di almeno una richiesta pervenuta, non si è proceduto alla convocazione di nemmeno una cds. Considerando invece le regioni che hanno ricevuto più richieste di convocazione in valore assoluto, a spiccare negativamente sono la Campania e la Sicilia in cui, a fronte di 25 e 27 istanze ammissibili, le percentuali di non convocazione della cds si sono attestate rispettivamente sul 84% e 77,8%.

Già nel 2023, a fronte di un campione analizzato più elevato rispetto all’anno precedente, pari a 747 osservazioni, si è osservato un netto miglioramento della situazione con una percentuale di convocazione a livello nazionale pari al 53,8%. Nonostante il chiaro passo in avanti, tra le regioni in cui le richieste di convocazione sono state più numerose quelle che hanno fatto segnalare le percentuali di non convocazione più elevate sono ancora una volta Campania (66,2%) e Sicilia (68,6%).

Passando all’analisi dei dati sull’anno in corso, i risultati parziali (410 osservazioni) fanno trasparire una situazione complessivamente positiva con la quota di convocazioni che è salita al 59% a livello nazionale. Nonostante il miglioramento del trend generale permangono situazioni problematiche, con ben 5 regioni in cui non risultano convocazioni di cds a fronte di almeno una richiesta ricevuta.

Tra le regioni che hanno ricevuto il maggior numero di istanze ancora una volta si segnalano le prestazioni negative di Sicilia e Campania, anche se quest’ultima fa segnare un ulteriore miglioramento essendo scesa al 57,8% di cds non convocate, a cui si aggiunge questa volta il Veneto in cui a fronte di 33 richieste ammissibili ricevute si è proceduto alla convocazione di sole 15 conferenze.

La lunga e tortuosa strada verso le semplificazioni

La trasformazione digitale è un percorso senza ritorno non solo per il contributo che essa offre in termini di semplificazione e maggior efficacia ed efficienza dei processi ma anche per il potenziale di inclusività che essa porta con sé, per la garanzia di equità di accesso ai servizi che assicura e per il contributo che è in grado di offrire alla transizione ecologica. Precondizione per il completamento e il potenziamento di questo processo è certamente l’ampia e diffusa disponibilità di reti fisse e mobili altamente performanti.

Partendo dagli obiettivi europei di connettività per l’anno 2030, che richiedono una connettività di almeno 1 Gbps per tutte le famiglie europee e la copertura 5G in tutte le aree popolate, il nostro paese con i Piani Italia a 1 Giga e Italia 5G si è mostrato ancora più ambizioso, fissando la timeline nazionale al 2026. Per raggiungere tali sfidanti obiettivi sono state corpose e rilevanti le misure destinate alla semplificazione dei processi burocratici tesi al rilascio delle autorizzazioni indispensabili alla posa delle reti fisse e mobili.

L’analisi condotta da I-Com rivela, tuttavia, come nonostante siano stati ampi ed efficaci – quantomeno a livello teorico – gli interventi di semplificazione messi in atto nell’ultimo quinquennio, la strada verso una effettiva semplificazione delle procedure di rilascio delle autorizzazioni sia ancora lunga e tortuosa.

Il problema di enforcement delle leggi

Ed infatti, persiste un generale problema di enforcement delle leggi che consegue a ritrosie – fino ad arrivare ad aperte violazioni – da parte degli enti locali e dei grandi gestori di infrastrutture nell’applicare rigorosamente la disciplina nazionale e le procedure ivi previste. Le tempistiche di risposta, sia degli enti di rilevanza nazionale che delle amministrazioni locali, risultano ancora molto lunghe e non in linea con i termini fissati dalla normativa e permangono numerosi problemi di disomogeneità applicativa tra i vari territori che in alcuni casi si traducono in aperta disapplicazione della normativa primaria in favore di una normativa locale che determina una proliferazione del contenzioso, con conseguente rallentamento delle opere.

I problemi della conferenza dei servizi

Anche lo strumento della conferenza dei servizi, che dovrebbe agevolare in maniera sostanziale il rilascio delle autorizzazioni, risente di numerose criticità in fase applicativa. Ed infatti, oltre ad un tema di non convocazione, non sono limitati i casi in cui le amministrazioni partecipanti alle conferenze, in aperta violazione della normativa, adottino pareri preliminari che di fatto impongono gli operatori la gestione di sub-procedimenti senza che l’ente locale disponga delle conoscenze e della risolutività necessari ad impedirlo.

Se la situazione è critica lato operatori richiedenti le autorizzazioni, non può essere sottovalutata la limitatezza delle risorse finanziarie ed umane a disposizione degli enti locali che certamente non favoriscono la piena conoscenza della disciplina nazionale e delle sue ricadute territoriali così come il rispetto delle tempistiche, necessariamente stringenti, normativamente fissate.

Il nodo delle competenze

Partendo dalla constatazione delle criticità applicative ancora esistenti è dunque necessario potenziare le iniziative a livello centrale, di concerto con gli enti locali per evitare che il processo di realizzazione delle infrastrutture si paralizzi e che il rispetto delle timeline indicate sia assicurato in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Certamente è indispensabile agire sul tema delle competenze e dunque lanciare iniziative di formazione, mettere a disposizione degli enti locali linee guida e strumenti di monitoraggio e supporto applicativo che dinamicamente seguano il flusso delle evoluzioni normative nella logica di agevolare la conoscenza del quadro e gli adempimenti richiesti alle amministrazioni. Cruciale potrà essere anche il contributo, in una logica di prevenzione di comportamenti irrazionali della cittadinanza cui si accompagnano interventi altrettanto irrazionali degli enti locali, di campagne di comunicazione istituzionale che rendano evidente la necessità di accelerare la transizione digitale e dunque lo sviluppo delle infrastrutture che ne costituiscono la pre-condizione. Sarà un percorso certamente lento ma indispensabile per fornire il paese degli strumenti indispensabili per essere competitivi nel contesto europeo e globale.

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