L’Italia è il fanalino di coda di tutti i paesi della Ue nel recepimento delle Direttive comunitarie che impongono la trasparenza sui titolari effettivi delle persone giuridiche.
È recente l’ordinanza del Consiglio di Stato (n. 8248/2024) che, su ricorso di Assoservizi Fiduciari e alcune primarie società fiduciarie, rimette alla Corte di giustizia una serie di quesiti pregiudiziali sulla compatibilità della normativa italiana di recepimento della Direttiva (UE) n. 2015/849 nella versione vigente, in rapporto ad alcuni principi generali eurounitari quali quello di proporzionalità e di tutela della riservatezza.
La complessità del processo regolatorio
La decisione è solo l’ultima puntata di un travagliato iter di recepimento avviato con un decreto legislativo (231/2007), un primo Decreto del MEF (n. 55/2022) e una nutrita ulteriore serie di provvedimenti del Ministero delle Imprese e del Made in Italy relativi alle specifiche tecniche, ai modelli e alle tariffe per il funzionamento del Registro su piattaforma informatica, in sostanza concepita come un’estensione del Registro delle imprese gestito dal sistema delle Camere di commercio.
Questo complesso e articolato sforzo regolatorio si è subito scontrato con l’opposizione di chi consente, attraverso una pluralità di strumenti, in sé non illeciti, di assicurare uno schermo, tra l’apparente titolare di un’attività economica e quello effettivo, e rende tale risultato come un proprio primario servizio ben remunerato.
Il paradosso delle sentenze amministrative
Il paradosso della sponda che queste resistenze hanno trovato nelle sentenze amministrative è che i giudici pur avendo in sostanza riconosciuto la validità e l’importanza degli obiettivi che la disciplina sulla trasparenza e la pubblicità dei titolari effettivi persegue, come strumento di una più ampia strategia di contrasto all’abuso dei soggetti giuridici e al mascheramento di fondi provenienti da forme gravi di criminalità, e affermato la correttezza della disciplina nazionale di recepimento (e di conseguenza esprimendosi per l’infondatezza dei motivi avanzati dalle società ricorrenti) ugualmente hanno prima concesso misure cautelari ed ora chiesto una “conferma” alla Corte di giustizia della correttezza dell’interpretazione data dell’ordinamento comunitario, perpetuando il medesimo effetto sospensivo.
In questo modo infatti tutto il sistema della pubblicità sui titolari effettivi resta bloccato e rinviato sine die, aggravando la situazione di inerzia che è già costata al nostro paese nel 2023 una lettera di messa in mora della Commissione europea.
Le esigenze del sistema di trasparenza
Quali siano le esigenze che il sistema del registro dei titolari effettivi deve soddisfare è ben chiarito in alcuni “considerando” (le premesse) della Direttiva richiamata.
In particolare è indicato che è necessario identificare le persone fisiche che sono titolari ovvero esercitano il controllo di soggetti giuridici. Al fine di garantire un’effettiva trasparenza, gli Stati membri dovrebbero fare in modo che il più elevato numero possibile di soggetti giuridici costituiti o creati tramite altri meccanismi nel loro territorio siano sottoposti a tale obbligo (cons. n. 12).
Si prosegue affermando che l’identificazione e la verifica dell’identità dei titolari effettivi dovrebbero, ove opportuno, essere estese ai soggetti giuridici che possiedono altri soggetti giuridici e i soggetti obbligati dovrebbero individuare la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, esercitano il controllo tramite la titolarità, o tramite altri mezzi, del soggetto giuridico cliente (cons. 13).
E si arriva poi al fondamentale postulato a mente del quale la necessità di informazioni accurate e aggiornate sul titolare effettivo è un elemento fondamentale per rintracciare criminali che potrebbero altrimenti occultare la propria identità dietro una struttura societaria e che allo scopo di promuovere la trasparenza al fine di contrastare l’abuso dei soggetti giuridici, gli Stati membri dovrebbero assicurare che le informazioni sulla titolarità effettiva siano archiviate in un registro centrale situato all’esterno della società, in piena conformità con il diritto dell’Unione.
È opportuno che gli Stati membri si assicurino che, in ogni caso, tali informazioni siano messe a disposizione delle autorità competenti e delle FIU e siano fornite ai soggetti obbligati quando procedono all’adeguata verifica della clientela. Si prosegue (nel medesimo cons. 14) stabilendo che gli Stati membri dovrebbero inoltre provvedere affinché sia garantito l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva, nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati, ad altre persone che siano in grado di dimostrare un interesse legittimo.
Trasparenza dei rapporti giuridici vs riservatezza dei dati personali
Siamo così arrivati a uno dei punti dolenti di questa disciplina, quello del rapporto tra trasparenza e certezza dei rapporti giuridici, che sono messi ovviamente in crisi dall’utilizzo di forme di schermatura dei reali titolari delle attività economiche, e tutela della riservatezza dei dati personali di quei soggetti che di tali forme intendono avvalersi anche per scopi leciti.
La questione è regolata, in sede di recepimento nelle norme interne, dall’art. 21, comma 4, lett. d-bis), del D. Lgs. n. 231/2007 e dall’art. 7, comma 2, del D.M. n. 55/2022. Queste disposizioni consentono l’accesso al registro ai soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi diffusi, titolari di un interesse giuridico rilevante e differenziato, nei casi in cui la conoscenza della titolarità effettiva sia necessaria per curare o difendere un interesse corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata, qualora abbiano evidenze concrete e documentate della non corrispondenza tra titolarità effettiva e titolarità legale, richiedendo, altresì, che l’interesse sia diretto, concreto e attuale e, nel caso di enti rappresentativi di interessi diffusi, non debba coincidere con l’interesse di singoli appartenenti alla categoria rappresentata.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto questa apertura all’accesso dei terzi conforme alla disciplina della riservatezza e anche in linea con una precedente decisione della Corte di Giustizia (22 novembre 2022 nelle cause C-37/2020 e C-601/2020), ma ha ugualmente formulato alla stessa Corte un nuovo specifico quesito sulla correttezza della normativa italiana.
Il ruolo dello Stato e l’economia dell’informazione
Questa vicenda del registro dei titolari effettivi non è che uno spaccato del più ampio e antico dibattito sull’economia dell’informazione e sul ruolo dello Stato come detentore di dati e produttore di certezze. Va ricordato che la funzione (pubblica) di produzione delle certezze risponde a un profondo bisogno di garanzia e di sicurezza delle persone e dei gruppi sociali.
Vi sono certezze che lo Stato realizza e garantisce esercitando funzioni autoritative in via esclusiva e riservata e certezze che realizza nell’ambito di un pubblico servizio, direttamente o per il tramite di privati. In quest’ultimo caso compete sempre al “pubblico” un ruolo impropri di indirizzo e controllo.
I pubblici registri (anagrafe, registro elle imprese, catasto, conservatorie dei registri immobiliari, ecc.) sono gli strumenti tipici per fornire certezze legali e le informazioni che si trovano in essi non possono che avere in comune la loro piena pubblicità, cioè la possibilità di essere acquisite liberamente. La tutela della riservatezza se correttamente intesa, come insieme di strumenti per garantire il buon uso dei dati, non è e non può essere di ostacolo a questo regime di pubblicità insito nella funzione che giustifica il registro pubblico, sempre ché non si pretenda di trasformare, impropriamente e incautamente, il diritto alla riservatezza in un diritto di proprietà del dato e quindi in un diritto “tiranno”.
Accesso commerciale e sicurezza dei dati
Neppure deve essere escluso un accesso a tali archivi pubblici per fini commerciali (peraltro da tempo previsto a livello comunitario a partire dalla Direttiva 2003/98/CE), nell’ottica di creare servizi informativi a valore aggiunto (e quindi maggiore trasparenza) assicurando la professionalità delle imprese che operano nel settore e ponendo in capo ad esse gli obblighi e gli adempimenti a tutela dei dati personali (primo fra tutti quello all’esattezza e all’aggiornamento del dato).
Le cronache di questi giorni, che ci mostrano accessi abusivi alle banche dati pubbliche, quasi sempre da parte o con la complicità di funzionari o ex funzionali pubblici infedeli, non giustificano che “si butti il bambino con l’acqua sporca”, cioè si introducano ulteriori limitazioni normative alla circolazione dei dati e quindi alla trasparenza complessiva del sistema. Il quadro normativo va solo completato eliminando i ritardi e le lacune che ancora esistono, come dimostra la vicenda del pubblico registro dei titolari effettivi. Occorrerebbe poi ragionare su di un “set” di dati personali, anche patrimoniali, che devono necessariamente godere di un regime di pubblico dominio, per assicurare la tutela di tutti i consociati ed in particolare garantire che tutte le attività economiche si svolgano alla luce del sole.