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Valute digitali: la sfida dei BRICS all’egemonia del dollaro



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Le nuove valute digitali dei paesi emergenti stanno rivoluzionando gli scambi internazionali, minando il dominio statunitense attraverso tecnologie innovative e accordi bilaterali che bypassano i sistemi tradizionali di pagamento

Pubblicato il 5 dic 2024

Mario Di Giulio

Professore a contratto di Law of Developing Countries, Università Campus Bio-Medico Avvocato, Partner Studio Legale Pavia e Ansaldo



valute digitali (1) AI gen e credit risk management
AI gen e credit risk management

L’imposizione delle sanzioni alla Russia, a seguito dell’invasione dell’Ucraina, è stata forse soltanto un’ulteriore motivazione per condurre molti stati a volere spingere per una modifica del sistema dei pagamenti internazionali nella duplice ottica di affrancarsi dal dominio del dollaro USA e di semplificare gli scambi.

L’essere la valuta statunitense di fatto lo strumento di scambio tra valute diverse (l’Economist del 20 ottobre 2024, con una paragone calzante, la indica quale un hub nel quale devi forzatamente fare scalo durante un volo internazionale), non solo pone gli Stati Uniti nella condizione di verificare l’effettivo rispetto delle sanzioni spesso imposte in modo unilaterale o attraverso le Nazioni Unite, ma anche un costo per le transazioni economiche stesse che vedono sempre coinvolta una banca americana quale necessario tramite per la conclusione di tali operazioni.

Per uscire da questo paradigma, finché non ci sarà una valuta che possa essere considerata altrettanto solida (l’euro solo in parte lo è considerata), la creazione di valute digitali può divenire uno strumento per semplificare gli scambi e limitare, almeno in parte, il potere del dollaro USA.

Al riguardo, è opportuno ricordare che le valute digitali non sono rappresentazioni digitali di uno strumento materiale (cartaceo o metallico che sia) da trasferirsi in maniera elettronica (come avviene, ad esempio, quando verso soldi su un conto per fare un bonifico), ma uno strumento che si costituisce (viene a giuridica esistenza direbbero i giuristi) mediante una rappresentazione elettronica ed esiste solo digitalmente.

Esse sono emesse dalle banche centrali (da qui l’acronimo CBDC, central bank digital currency) e gestite normalmente, anche se non necessariamente, attraverso distributed ledger tecnology.

Nel mondo vi sono vari esempi (al momento, le monete digitali sono allo studio di 134 banche centrali), con successi finora apparentemente limitati. Si noti che, al momento, almeno 13 progetti sono in essere al fine di  semplificare i pagamenti transfrontalieri (il numero è raddoppiato dopo l’invasione dell’Ucraina e le relative sanzioni alla Russia).

La Cina e l’e-yuan

Ne abbiamo già scritto nel 2022, la Cina ha iniziato da tempo a costituire una propria moneta digitale, l’e-yuan che, superando la barriera costituita dalla materialità, può essere facilmente utilizzata anche al di fuori del proprio territorio.

Solo per dare un’idea, è utile ricordare che sui telefoni cellulari Huawei commercializzati in Africa, almeno nelle versioni più evolute, esiste un e-wallet per gestire tale valuta.

Esistono poi accordi unilaterali, quali quello con l’Arabia Saudita, per commercializzare petrolio in e-yuan e quello con il Brasile per regolare le esportazioni di materie prime (da notare che il Brasile è tra i partner fondatori dei BRICS).

Quanto la digitalizzazione della propria valuta sia effettivamente volta a volere creare un’alternativa al dollaro e all’euro oppure sia semplicemente volta a un affrancamento degli oneri finanziari della “dollarizzazione” dell’economia mondiale non è chiaro; in fondo, le motivazioni potrebbero anche concorrere perché non in contrasto tra di esse.

Nei fatti, comunque, la circolazione dello strumento al di fuori del paese del Dragone, appare al momento assai limitata, come recentemente riportato anche dalla Banca dei regolamenti internazionali (BIR, più conosciuta nell’acronimo inglese BIS – bank for international settlements).

India, la rupia digitale (e il Vostro Account)

Rimanendo nell’ambito dei BRICS, anche l’India ha avviato le proprie sperimentazioni per introdurre la propria valuta digitale già da tempo (2017) e nel 2022 sono state avviate le prime emissioni pilota.

Nel settore dei pagamenti, però, l’India non si limita ad innovare mediante la valuta digitale, ma anche attraverso sistemi di pagamento che possano semplificare le transazioni monetarie.

Uno degli strumenti adoperati per tale semplificazione, è stata l’introduzione di UPI (Unified Payment Interface) che consente pagamenti diretti attraverso l’utilizzo di un telefono portatile e che si sta profilando come un sistema alternativo allo SWIFT grazie ad accordi raggiunti su base bilaterale con altre nazioni (quali il Nepal).

Sulla stessa scia di UPI e senza ricorrere alla valuta digitale, l’India ha in parte replicato la strategia degli accordi bilaterali anche attraverso l’apertura di conti di corrispondenza (il Vostro account) con diversi stati per consentire pagamenti in rupie.

Ciò ha permesso la semplificazione dell’acquisto del petrolio dalla Russia, nonostante le sanzioni occidentali, consentendo a Mosca di acquistare beni dall’India in maniera massiva tra i quali strumenti finanziari, macchinari e armi (negli ultimi 15 mesi, l’ammontare di rupie nei conti russi si è più che dimezzato passando dagli iniziali 8 miliardi di rupie a circa 3,5 miliardi (Business Standard del 5 ottobre 2024): se si tiene conto che l’acquisto del greggio da parte dell’India è continuo, il dato sta a indicare che la Russia sta incrementando gli acquisti in India in modo esponenziale).

Il meccanismo è stato comunque esteso ad altre nazioni, a prescindere dalle problematiche sanzionatorie, e a oggi risulta attivato in ben ventidue Nazioni (Germania e Regno Unito inclusi). 

Da notarsi che l’ostacolo del Vostro Account è che esso trova il suo naturale limite nell’ammontare degli scambi commerciali in essere con l’altro stato, salvo l’intenzione da parte dei vari stati di tenere una parte delle proprie riserve valutarie in rupie.

MBridge

Tornando alla Banca dei regolamenti internazionali, l’esperimento da essa condotto a partire dal 2021, con la partecipazione delle banche centrali di Cina, Emirati, Arabia Saudita, Tailandia e la Hong Kong Authoity (ch dovrebbe fungere da hub), è forse quello più eclatante per dimostrare come, attraverso le valute digitali, si possano svolgere transazioni monetarie che non ricorrono al sistema SWIFT. In esso, infatti, il pagamento da una nazione all’altra avviene attraverso uno schema che vede la banca di una nazione convertire la valuta in valuta digitale, scambiarla con la valuta digitale dello stato dove vuole trasferire il denaro e poi trasmetterla ad una banca dello stato ricevente.

Fermo restando che il sistema trova il suo limite nell’individuazione di soggetti che abbiano interesse e capacità di svolgere attività di cambio, anch’esso non richiede di fatto l’utilizzo del dollaro come hub necessario.

Forse anche per questa ragione (considerando che il sistema potrebbe vanificare le sanzioni), la BIR ha dichiarato recentemente di avere sospeso la sperimentazione che, è opportuno ricordare, era condotta con ruolo trainante dalla Cina, attraverso l’elaborazione dei software di servizio.

Prospettive future

È  difficile prevedere come il sistema dei pagamenti nel prossimo futuro evolverà, e, se è difficile ipotizzare che si possa addivenire a una moneta comune dei BRICS (l’R5 dalla comune iniziale che caratterizza il nome delle valute dei 5 stati fondatori), non fosse altro che per i contrasti che vedono Cina e India problematici vicini e la difficoltà di avere politiche monetarie comuni che possano assicurare la credibilità di una tale valuta (salvo tornare alla convertibilità in oro o altri metalli preziosi), appare invece probabile che – anche nell’immediato – le valute digitali possano erodere sempre più spazio alla trilaterazione monetaria che fa la forza del dollaro e questo a prescindere da quale sia l’inquilino della Casa Bianca.

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