Le nuove tecnologie ci stanno rendendo più fragili e più stupidi? O sono l’incubatore di una nuova generazione di super giovani che pensano e vivono in modo completamente diverso dai loro genitori?
Schermi colpevoli: una storia che si ripete
Il primo pensiero automatico è quello di puntare subito il dito contro schermi, telefoni, chatbot e visori. Sono la variabile nuova, il segno di una modernizzazione che dalla new economy in poi ha travolto tutto e tutti. Ai tempi dei nostri nonni non c’erano. Adesso sì. Chi è nato con il telecomando in mano, è cresciuto con i modem a 56K e l’internet degli anni Novanta si considera ottimista di default. Ai tempi dei nostri nonni non c’erano. Adesso sì. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, dei social e delle nuove tecnologie però qualcosa è cambiato. E cambierà soprattutto per chi è più giovane.
Se guardiamo al presente, al 2024, scopriamo che per la prima volta dagli anni Settanta nessuno dei principali imprenditori della Silicon Valley ha meno di 30 anni. Rispetto a Mark Zuckerberg, Sam Altman e ai più anziani Bil Gates e Elon Musk non sembra esserci una nuova scena di imprenditori che hanno inventato nuove economie. Trentenni di successo ce ne sono ma paiono meno “disruptive”, meno “game changer” insomma meno innovatori dei loro fratelli maggiori. Se scendiamo d’età le cose si complicano ancora di più.
La fragilità delle nuove generazioni: gli studi
Dal Covid in poi lo stato d’animo degli adolescenti, è drasticamente peggiorato. Parliamo di stato d’animo percepito. Non c’è settimana senza che esca uno studio o un servizio sul telegiornale sulla fragilità delle nuove generazioni. Un esempio a caso? Secondo i risultati dell’indagine del 2023 sugli stili di vita degli adolescenti, realizzata annualmente da Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD, il 64% degli adolescenti (80,1% delle ragazze) afferma di sentirsi (spesso o qualche volta) triste senza comprenderne il motivo.
Alcuni dati per avere un minimo di prospettiva li ha tirati fuori lo psicologo statunitense Jonathan Haidt nel suo libro “The Anxios Generation”. Fino a 20 anni fa i livelli di ansia e depressione negli adolescenti erano rimasti piuttosto stabili, dal 2010 al 2019 sono cresciuti del 50 per cento. Stessa percentuale per i suicidi nella fascia di età compresa tra 10 e 19 anni. Mentre si sale a un drammatico più 131% per le adolescenti dai 10 ai 14 anni. Altre statistiche condivise da Haidt indicano anche: un aumento della solitudine e una riduzione delle amicizie tra gli adolescenti – a cominciare dai primi anni Dieci del Duemila – e un parallelo peggioramento dei risultati scolastici nella lettura, nella matematica e nelle scienze, negli Stati Uniti e in altri paesi membri dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).
Il peggioramento dei sistemi educativi in Occidente
Cosa vuole dire? Prima di tutto che i sistemi educativi in Occidente stanno peggiorando. In termini di risultati. Parliamo attenzione di Paesi ricchi, dove sono arrivati da almeno vent’anni smartphone, computer e banda larga. Quindi parliamo di luoghi del mondo dove non si muore di fame e c’è tecnologia di consumo per tutti (o quasi). Diciamo per quasi tutti.
I risultati dell l’ultimo Programme for International Student Assessment (Pisa)
Per essere più precisi, consideriamo quello che ci dice l’ultimo Programme for International Student Assessment (Pisa) che è del 2022. Si tratta di un’indagine internazionale che valuta le competenze di lettura, matematica e scienze degli studenti quindicenni. L’obiettivo è fornire dati comparabili a livello internazionale sulla qualità dei sistemi educativi e monitorarne i progressi nel tempo. I risultati per l’Italia, pubblicati dall’INVALSI, mostrano un calo del rendimento medio degli studenti italiani in tutte e tre le aree rispetto alle precedenti edizioni. Inoltre, l’indagine ha evidenziato un forte divario di competenze tra studenti provenienti da contesti socio-economici diversi, con gli studenti svantaggiati che ottengono risultati significativamente inferiori rispetto ai loro coetanei più avvantaggiati.
Se allarghiamo lo sguardo scopriamo che a livello più generale il rendimento medio nei Paesi OCSE è sceso di almeno 15 punti in matematica e 10 punti in lettura. Ciò equivale all’incirca a mezzo anno scolastico in lettura e a tre quarti di anno scolastico in matematica. Vuole dire che le ragazze e i ragazzi sono sempre meno bravi, in media, a comprendere ciò che leggono, a capire gli algoritmi matematici, a studiare scienza. Parliamo in media, naturalmente.
Apprendimento, qualcosa è cambiato: ma cosa?
Ora prima di pensare che le future generazione sono diventate più stupide tiriamo un sospiro. Il futuro non è dei Maranza, di questo ne siamo piuttosto certi. Ma se il dato venisse confermato anche nelle prossime rilevazioni occorrerebbe prendere atto che qualcosa è cambiato. Ma cosa? Per ipotizzare una risposta vale la pena studiare con attenzione quello che potrebbe non essere più solo un fenomeno, una moda, o una risposta temporanea al Covid. Vale la pena essere rigorosi. E prendersi tutto il tempo che serve per studiare.
Comprendere i motivi di questo calo di “attenzione” è quello che ci proponiamo nel libro “La lezione è finita. Come IA, social media e realtà virtuale cambiano il modo di apprendere”. Cosa che peraltro non è affatto banale. Non servono e non ci piacciano le scorciatoie sociologiche facili. Il primo pensiero, quello automatico che viene a tutti, in primis ai giornali e ai giornalisti è che sia colpa di internet, della posta elettronica, dei motori di ricerca e di tutte quelle novità che nei fatti negli ultimi vent’anni ci hanno reso più veloci, efficienti, più schiavi e comunque diversi. L’assassino dell’intelligenza delle nuove generazioni è la tecnologia di massa. E’ l’indiziato più facile, il maggiordomo sul luogo del delitto. Ma non è detto che sia così.
I dati che servono per capire meglio (e che ancora non ci sono)
A fronte di qualche evidenza scientifica dai primi studi longitudinali sull’impatto di smartphone e web sull’apprendimento e la salute emerge che serve più tempo perché sono troppe le variabili in ballo e la tecnologie si è evoluta troppo velocemente. Non sta ferma possiamo dire e la foto scientifica viene quasi sempre mossa. Nel senso che lascia intendere che potrebbe esserci altro.
Per capire meglio servirebbero strumenti che non ci sono. Ad esempio, l’accesso ai dati delle grandi piattaforme private che gestiscono social network, videogiochi e chatbot per capire qualche cosa di più su quello che le nuove generazione e noi facciamo dentro ai nostri schermi. Fino a oggi i ricercatori hanno lavorato su sondaggi, questionari e interviste. Che va benissimo ma come vi potranno spiegare loro benissimo un conto è chiedere e altra cosa è osservare. Là dentro Meta, Microsoft, Amazon solo per fare degli esempi come anche tutti gli editori dei videogiochi sanno tutto quello che noi facciamo e – con il nostro consenso – potrebbero un giorno comunicarlo a studiosi e dipartimenti universitari.
La correlazione (inesistente) tra social e disagio giovanile
Non accadrà mai, forse. La realtà si muove troppo velocemente e la messa a fuoco è ancora troppo lenta. E’ sotto gli occhi di tutti. Le tecnologie digitali stanno evolvendo molto più rapidamente del previsto. Il passaggio dai motori di ricerca su internet ai chatbot di intelligenza artificiale, da risposte sotto forma di link a quelle in linguaggio naturale rappresenta un cambio di passo di non poco conto per chi studia come ci informiamo su internet. Allo stesso modo l’ingresso degli smartphone nella vita dei ragazzi arriva sempre prima. Ed è una tendenza in atto quantomeno in tutto il mondo benestante.
Cerchiamo allora di disinnescare alcuni pensieri automatici. Tipo: i social media sono il fattore chiave del peggioramento della salute mentale tra i più giovani. Ce ne occuperemo più avanti ma – spoiler – a oggi non esiste una correlazione certa fra disagio giovanile e i social media. Quantomeno non è stata ancora dimostrata con certezza una relazione causa effetto. Anche perché sarebbe scientificamente complicato da dimostrare.
Quello che invece sappiamo è che sono logiche commerciali quelle che muovono quanto accade negli smartphone. Sappiamo è già in atto un circolo vizioso dove la produzione di contenuti dell’industria culturale è guidata da algoritmi studiati per il conquistare il nostro tempo e intrattenerci. Cosa vuole dire: che quello che facciamo viene rilevato da un algoritmo che dice a chi produce contenuti su quali prodotti investire. È un circolo vizioso che sarà difficile rompere.