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Epidemia in Congo: il piano Mattei non basta, ecco perché



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Mentre il Piano Mattei promuove la telemedicina, è necessario un cambiamento radicale per affrontare le vere radici delle crisi sanitarie africane. Solo con uno sforzo congiunto fra paesi africani e la comunità globale si potrà garantire un futuro più sicuro

Pubblicato il 9 dic 2024

Mario Di Giulio

Professore a contratto di Law of Developing Countries, Università Campus Bio-Medico Avvocato, Partner Studio Legale Pavia e Ansaldo



africa sanità (1)

Mentre cresce l’allarme per l’ennesima epidemia non identificata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), il sistema sanitario di molti stati africani mostra vulnerabilità non facili da risolvere e alle quali il mondo non può rimanere indifferente e non solo per motivazioni umanitarie, ma anche esclusivamente egoistiche.

La realtà ci insegna, infatti, che i confini sono linee immaginarie, anche quando coincidono con rilievi geografici e che morbi e malattie non hanno bisogno di passaporto.

Non occorre ricordare l’epidemia di Covid, l’ultima di una lunga serie di crisi pandemiche o i tempi tristi delle epidemie di peste che hanno flagellato l’Europa in varie epoche, basta semplicemente ricordare l’influenza spagnola che decimò, con cinquanta milioni di morti, la popolazione civile di gran parte del mondo (Stati Uniti inclusi che pure erano dall’altra parte dell’Oceano Atlantico): cinquanta milioni di morti più di quanto fosse riuscita a fare la prima guerra mondiale (dieci milioni di morti, senza considerare i civili), cui tale epidemia fu coeva.

Quale lezione trarne? Semplice: quel che accade dall’altra parte del mondo può interessare anche noi, senza scomodare la teoria dell’effetto farfalla.

Cosa sta succedendo in Congo

In attesa che le analisi in corso all’ospedale di Lucca possano fare una qualche chiarezza, allo stato di quel che sino ad oggi sappiamo, in alcuni villaggi della RDC si sta spargendo un’epidemia con apparente alto tasso di mortalità e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha Inviato propri esperti per identificare il fenomeno e la reale entità dei contagi e dei relativi esiti.

Il primo tema è infatti quello di comprendere cosa sta succedendo.

Potrebbe infatti trattarsi di fattori patogeni già conosciuti, la cui nocività potrebbe essere legata all’assenza di immunizzazione nelle popolazioni che la stanno affrontando. La stessa severità dell’epidemia è al momento in dubbio, considerato che non si hanno dati sufficienti per potersi pronunciare: parlare di alta letalità quando manca una mappatura di quanti siano stati infettati è difficile se non impossibile.

L’unico dato certo è che poco si sa e che questo dovrebbe preoccuparci anche se l’epidemia, quale che sia la sua natura, si sta diffondendo in zone remote e quindi dovrebbe essere più facile da contenersi sotto il profilo dei contagi.

Carenza di medici e infermieri ma anche di strutture sanitarie e laboratori

Prescindendo dalla RDC funestata già dal vaiolo delle scimmie e ancor prima, e ancor ora, da guerre intestine a causa delle ricchezze che attizzano i peggiori istinti dell’uomo, un punto dal quale partire è la carenza di medici e sanitari che caratterizza gran parte del continente subsahariano.

Il dato comunque andrebbe letto e ragionato per comprendere che a contare non sono solo i numeri, ma anche l’assenza di un servizio sanitario nazionale in molti degli stati africani: serve a poco formare nuovi medici e infermieri se poi quelli che si laureano non hanno un posto di lavoro (non si può contare sul volontariato quando lo stato è assente o carente).

Un esempio ne è il Kenya: sebbene il rapporto medici e popolazione riscontrato nel 2022 sia solo di 19 medici ogni 100.000 abitanti (per avere un’idea, in Italia, pur non essendo messi bene, ne abbiamo 410), le cronache attuali ci dicono che ben 4.000 di essi sono disoccupati.

Non va meglio per gli infermieri (che, ricordiamo, sono professionisti che hanno svolto un corso triennale all’università per divenire tali): la disoccupazione li spinge spesso ad andare all’etero per potere lavorare ( esiste un’apposita convenzione Kenya – Regno Unito per gli infermieri che vogliano lavorare in tale paese).

Spostandosi in Africa Occidentale, la situazione non migliora. La Nigeria, che pure ha un rapporto medici e popolazione assai basso, sebbene sia in tal senso il migliore paese dell’Africa (con 36 medici ogni 100.000 abitanti), lamenta che i propri dottori si rechino in Europa a svolgere la professione (un medico nigeriano guadagna in un anno quello che un medico inglese guadagna in un mese, senza essere esposto a terrorismo e alle difficoltà delle zone rurali). A prescindere, però, dal richiamo dell’estero, l’associazione dei medici nigeriani, denuncia che spesso chi rimane è senza lavoro. Qualcosa che dovrebbe farci riflettere quando ci limitiamo a pensare – anche nel Piano Mattei – che il problema dell’Africa sia la carenza di formazione.

La carenza sanitaria, coinvolge anche le strutture di cura e i laboratori.

Ne abbiamo già scritto, l’assenza di laboratori di analisi impedisce spesso una tempestiva diagnostica e conseguentemente una cura efficace. Nel caso di cui abbiamo scritto, per verificare la tossicità di uno sciroppo per la tosse prodotto in India, rilevata da un arguto medico che aveva individuato un’impennata di morti infantili in Gambia, le analisi sono state svolte in Senegal e Ghana. Nel frattempo, lo stesso farmaco è stato commercializzato in Uzbekistan, provocando a sua volta morti infantili.

La telemedicina non è la panacea di ogni male

Per le comunità rurali, di frequente la salute e la stessa vita sono legate alla possibilità di contattare un medico spesso distante ore di viaggio (in Africa non ha senso misurare le distanze in misura lineare, ma in tempo di viaggio, del resto un tempo anche in Italia si obbligavano i pubblici impiegati a non risiedere a più di mezz’ora di cavallo dal proprio ufficio) per avere una prima diagnosi. In questo senso la telemedicina, con la possibilità che dei sanitari specializzati possano recarsi presso i villaggi remoti ed eseguire primi accertamenti e prelievi da condividere in via telematica è senz’altro importante e può salvare vite: rimangono, tuttavia, le criticità di potere avere un collegamento telematico e qualcuno che possa poi analizzare – in modo affidabile – i dati nel proprio laboratorio.

Si torna quindi al punto di partenza: la realizzazione di laboratori di analisi affidabili sotto il profilo della strumentazione e del personale dedicato non solo alle analisi ma anche alle tarature e alla manutenzione.

Cosa prevede il Piano Mattei per la sanità

Coerentemente alla individuazione delle criticità di carattere geofisico, il piano prevede un forte impulso alla digitalizzazione e alla telemedicina e lo sviluppo di “Early warning System” che attraverso la sorveglianza epidemiologica, la diagnostica e la medicina preventiva nonché i farmaci dovrebbe garantire una strategia di prevenzione e contenimento delle epidemie.

Aspetto non scontato, ma di rilievo, è anche l’attenzione ai sistemi di cottura moderni ed efficienti (la cui assenza è spesso causa di mortalità elevata).

Nel concreto i progetti pilota già avviati vanno dall’ampliamento di un ospedale di Adidjan al supporto alla rete dei religiosi che operano nel settore sanitario in Costa d’Avorio, mentre in Marocco si supporta il rafforzamento della telemedicina per il monitoraggio di pazienti affetti da malattie croniche.

In senso lato, per l’importanza che attiene agli aspetti che riguardano la salute, rientrano anche le iniziative volte a contrastare le aflatossine (agenti cancerogeni che affliggono cereali e frutta secca) in Kenya e il miglioramento dell’accesso all’acqua potabile nella città di Brazzaville in Congo.

Al momento non si è raggiunto tanto, a ben vedere, ma neanche poco se pensiamo che nella sanità stiamo lottando ormai da anni anche a casa nostra: una vera collaborazione, senza preconcetti, potrebbe aiutare tutte le parti interessate.

One Health: occorre un cambio di marcia

Sebbene sia chiaro che i fattori che influiscono sui sistemi sanitari sono molteplici e che spesso le criticità sono concorrenti (pochi medici ma anche assenza di risorse per corrispondere gli stipendi, carenza di laboratori di analisi ma anche di energia per farli funzionare), risulta difficile pensare che tali problemi si possano risolvere senza uno sforzo comune della comunità internazionale, ma anche senza una prova di maturità degli stessi africani.

In questo, gli attuali presidenti di Kenya e Nigeria si distinguono per l’abbandono di politiche governative basate su incentivi e sussidi soffermandosi, invece, sulla spinta all’espansione dei sistemi scolastici e sanitari, che passano anche attraverso l’aumento e l’esazione delle tasse e il tentativo di fare aumentare le rimesse dall’estero attraverso l’esportazione di manodopera qualificata.

Non sembra, però, che i relativi elettori sappiano apprezzare, molto più facile accusare di tutti i mali i governanti (secondo l’adagio “piove governo ladro”), gli occidentali o meglio gli stranieri che “rubano le ricchezze del paese”: in queste recriminazioni siamo davvero tutti uguali.

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