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Diritti individuali e poteri privati: la sfida del costituzionalismo digitale



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L’IA offre nuove opportunità economiche, ma solleva rischi per i diritti individuali, richiedendo un approccio giuridico innovativo che bilanci sviluppo tecnologico e tutele costituzionali. Un estratto dal libro “Intelligenza artificiale e democrazia”

Pubblicato il 17 dic 2024

Pietro Dunn

Dottorando in Law, Science and Technology, University of Bologna

Oreste Pollicino

Professore ordinario di Diritto Costituzionale, Università Bocconi. Co-founder DigitalMediaLaws



digitale

Non vi sono dubbi che dal digitale, e più ancora dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dalla sua disponibilità su scala pressoché universale, passano numerose opportunità, non solo legate alla cosiddetta «piattaformizzazione della sfera pubblica» o a quello che è stato definito «platform capitalism», ma altresì connesse alla possibilità di attuare modelli di business innovativi e di realizzare attività economiche fondate sui modelli che caratterizzano il fun­zionamento dell’intelligenza artificiale.

Dipendenza e altri lati oscuri dell’intelligenza artificiale

Il fatto è che tali nuove opportunità presentano, per un verso, un persistente carattere di “dipendenza” rispet­to ai fornitori di servizi che offrono l’infrastruttura su cui questi modelli di business si innestano (si pensi, banalmente, alle attività di chi sfrutti com­mercialmente una pagina pubblica o personale ospitata da un social net­work).

Per altro verso, tali opportunità hanno anche un lato oscuro. Si fa rife­rimento alle medesime minacce e problematiche, in parte consequenzia­li all’anzidetto vincolo di “dipendenza”, che sono proprie della società dell’informazione: rischi di profilazione, trattamenti su larga scala di dati personali con elevato grado di rischio, opacità delle condizioni contrat­tuali e dei processi algoritmici. Tutte queste minacce, che presentano enti­tà e gradazioni variegate e sono soltanto parzialmente, per alcuni aspetti, affrontate dai legislatori, descrivono una nuova “deriva” rispetto alla quale l’erompere sulla scena di soggetti privati solleva problemi di controllo e di prevenzione di abusi.

Diritti degli individui e poteri privati

Le ragioni di questi pericoli si appuntano sulla idoneità dei comporta­menti economicamente orientati di questi soggetti a incidere e condizio­nare significativamente i diritti fondamentali degli individui. Se al cospet­to di limitazioni che trovano la loro fonte in un atto o comportamento di un attore pubblico gli stessi individui godono di tutele che permettono loro un controllo sull’operato degli autori di queste restrizioni, che già per loro natura sono costrette entro le maglie di vincoli di contenuto e procedurali (si pensi alla riserva di legge e alla riserva di giurisdizione), di fronte a pos­sibili incisioni derivanti dalla condotta di soggetti privati l’individuo-utente è sguarnito di analoghe salvaguardie. Un tallone d’Achille evidente che l’ul­tima stagione del costituzionalismo digitale, a tradizione procedurale, pro­verà apparentemente ad attenuare.

Costituzionalismo digitale e nuove sfide

Se l’espressione “costituzionalismo digitale” potrebbe anche rappresen­tare, come è stato notato, «un abuso di denominazione» e sono state ela­borate critiche assai fondate sulla dimensione concettuale sottostante, non ci si ritrova però nell’affermazione per cui sarebbe una sorta di cor­rispettivo, per l’appunto digitale, del costituzionalismo irenico, nel signi­ficato utilizzato da Luciani, che si limiti a «celebrare i trionfi dei diritti fondamentali» e cui andrebbe contrapposto un «costituzionalismo polemi­co che si misuri con il potere». Al di là della considerazione che il dilem­ma così radicalizzato pone più problemi rispetto a quanti ne possa risolve­re, nel nostro caso, anche a voler prendere per buona tale radicalizzazione, il processo che sembra configurarsi è esattamente quello contrario a quan­to sostenuto da questa tesi. Come infatti si è cercato di descrivere, è proprio il misurarsi rispetto al potere la base della cifra teorica che si vuole descri­vere con questa etichetta, e quindi il codice genetico del costituzionalismo digitale.

Estensione del costituzionalismo digitale

Da questo punto di vista, le coordinate strutturali di quest’ultimo non sono soltanto legate all’emersione di nuovi digital bill of rights. Quella prospettiva, invero assai limitata e limitante, è stata di fatto ampliata pro­prio per far fronte all’emersione non di nuovi diritti ma, piuttosto, all’emer­sione dell’esercizio di poteri che sollevano domande per il ruolo del costi­tuzionalismo liberale e democratico. Il cambio di coordinate geometriche delle linee di azione dello stesso non significa assolutamente un abbando­narsi alla retorica dei diritti fondamentali, ma al contrario, riscoprire, come si diceva in apertura, la doppia anima del concetto di costituzione, quale bill of rights ma anche quale più ampio quadro giuridico e concettuale, come frame of government. Alla luce di tali riflessioni, il riferimento a un costituzionalismo digitale non può essere soltanto ricondotto ad una sorta di costituzionalismo globale reloaded o a una amplificazione di una retorica dei diritti, ma implica una prospettiva più ampia che tiene conto del costi­tuzionalismo liberale, sociale e anche globale.

Evitare il novismo digitale

Rispetto al perimetro concettuale appena tracciato risultano due punti fermi.

Il primo è quello che impone di rifuggire dalla tentazione del “novi­smo” digitale in termini di discontinuità, anche spaziale, rispetto sia alle categorie concettuali classiche di riferimento sia alle esigenze di tute­la caratterizzanti lo status quo analogico. Proprio con riferimento a que­sto ultimo aspetto, la trappola della creazione ad hoc di nuovi diritti a causa del nuovo contesto tecnologico è dietro l’angolo e ha portato, per esempio, all’adozione di un numero trasbordante di carte dei diritti online (ivi inclu­sa la Dichiarazione dei diritti in Internet elaborata dalla Camera dei Deputa­ti della Repubblica Italiana nel 2015), le quali, per la loro natura necessa­ riamente di soft law, e quindi non vincolante, non solo non hanno portato alcun valore aggiunto in termini di protezione più efficace dei diritti in gioco, ma hanno avuto l’effetto opposto.

I rischi dell’inflazione dei diritti

Come è noto, l’iniezione di nuovi diritti non è un’operazione neutrale, in quanto può portare ad un’inflazione degli stessi e ad un innalzamento di rischi di collisione costituzionale tra carte e tra corti, con la conseguenza di un abbassamento complessivo del livello di protezione. È quindi fonda­mentale fare affidamento sulla capacità adattiva delle Carte costituzionali esistenti che si sono dimostrate all’altezza, ovviamente contando sulla capa­cità di interpretazione evolutiva dei giudici che la interpretano, delle nuove sfide ed esigenze di tutele che emergono dal contesto digitale. Basti pen­sare, senza citare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo oppure la Carta dei diritti fondamentali, a come disposizioni di tenore costituziona­le assai più risalenti siano state in grado di intercettare tali nuove esigenze.

Mosaic theory e big data


In questo senso, rappresenta un esempio emblematico il riferimento all’intuizione della giudice della Corte Suprema statunitense Sonia Sotoma­yor e alla sua mosaic theory, espressa in Stati Uniti c. Jones, secondo la quale il Quarto Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti – adotta­to nel 1791 a chiara tutela della proprietà privata – potrebbe costituire una leva efficace nei confronti di quei processi di aggregazione esponenziale di dati, quali sono i big data. In quell’occasione, Sotomayor sottolineava infatti come l’utilizzo della tecnologia potesse, complessivamente, avere un impatto significativo sulla ragionevole aspettativa dei cittadini al rispetto della pro­pria privacy. Si può altresì menzionare il Consiglio costituzionale france­se che ha richiamato, nel famoso caso Hadopi, l’art. 11 della Dichiarazio­ne del 1789 per attribuire un ombrello costituzionale al diritto di accesso a Internet, senza alcun bisogno di prevederne, come invece ancora si discute nel nostro Paese, una codificazione costituzionale espressa.

Il necessario riequilibrio tra poteri

Il secondo punto fermo, ovverosia l’altro elemento portante delle rifles­sioni che si legano alla dimensione reattiva del costituzionalismo rispetto alle nuove sfide poste all’ecosistema algoritmico, è rappresentato dalla con­sapevolezza che tale reazione non possa essere ad esclusivo traino giurisdi­zionale.

È innegabile che i giudici, non solo costituzionali, assai prima dell’esplo­sione dell’intelligenza artificiale, siano spesso i primi attori istituzionali a intercettare un rischio di collisione tra diritti fondamentali e a provare a porvi rimedio, e che tale posizione privilegiata si sia per forza di cose con­solidata con tale esplosione per una serie di ragioni che si sono evidenzia­te in altra sede.

La necessità di una legislazione attiva

È però anche evidente come, specialmente in questo ambito, sia neces­sario un riequilibrio (anche) tra potere giurisdizionale e potere legislati­vo che – va ribadito, spesso volontariamente – si trova messo all’angolo. E questo non solo perché, come si è detto, il traino giurisdizionale porta per forza di cose ad una frammentazione dello scenario di riferimento che nuoce gravemente al principio della certezza del diritto. Vi è anche, come si è provato a fare emergere, una legittima esigenza di riappropriazione, da parte del legislatore e quindi del circuito politico rappresentativo, del ruolo di law maker che può essere solo temporaneamente, in caso di inerzia dello stesso, essere esercitato dalle Corti.

Il ruolo del legislatore

D’altronde, l’indimenticato Federico Mancini, uno dei rappresentanti più eminenti del periodo glorioso (e assai attivista) della Corte di giustizia, aveva già affermato che «when democracy advances and politics asserts its claims, judges are bound to take a pace back». È stato proprio quello che è avvenuto in Europa, in forza di un rinnovato self restraint della Corte di giustizia a seguito dell’adozione, quale reazione all’accelerazione algoritim­ca, del GDPR e dei suoi epigoni.

In particolare, si è visto come la nuova stagione europea di reazione all’emersione del fattore algoritmico si caratterizzi per una volontà di riap­propriazione, da parte del legislatore, del ruolo di law maker, per troppo tempo di fatto esercitato, specialmente in ambito digitale e per le ragioni che si sono prima identificate, dalla Corte di giustizia dell’Unione.

Un legislatore che è, questa volta, ben consapevole – a differenza della prima fase degli anni 2000 caratterizzata da un liberismo digitale in cui a regnare incontrastata era sua maestà il diritto della concorrenza – della necessità, una volta perfezionatesi la più volte richiamata metamorfosi dei soggetti privati da attori economici in poteri in senso stretto, di una “inie­zione” di una visione costituzionalmente orientata in grado di limitare l’influenza di detti poteri e prevenirne gli abusi. Ed è evidente che, da questo punto di vista, un intervento ex post, come quello che caratterizza la disciplina della concorrenza, non può essere sufficiente ed è necessario, invece, ricorrere allo strumentario del diritto costituzionale che deve esse­re rimodulato, ma non stravolto, al cospetto del nuovo ambiente tecnolo­gico.

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