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AI e sicurezza sul lavoro, tante applicazioni ma serve un cambio culturale



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L’intelligenza artificiale può migliorare la prevenzione degli incidenti sul lavoro, tuttavia servono un approccio inclusivo e formazione per

Pubblicato il 17 dic 2024

Davide Conforti

Managing director Edflex Italia



modelli ai sul pc

Tra gennaio e agosto 2024 le morti bianche in Italia sono state 680. Stando a un incremento del 4-5% nella prima parte dell’anno, si può prevedere un trend di crescita dell’8-10% per l’intero 2025. È un bollettino pazzesco, soprattutto se confrontato con i rilevamenti Inail, che indicano una crescita di investimenti e ore dedicate alla formazione sulla sicurezza del lavoro. Nel 2024, il bilancio dell’Ente ha stanziato 50 milioni di euro per la formazione obbligatoria preventiva agli infortuni; 10 milioni in più rispetto all’anno passato. Questo include programmi per lavoratori e datori di lavoro, con aggiornamenti normativi, che rendono obbligatoria una verifica finale e altri ogni due anni per specifiche categorie.

A questa contraddizione, si aggiunge quella per cui le imprese vivono la transizione digitale come la soluzione di tutti i mali. Le tecnologie più avanzate dovrebbero permettere un miglioramento di prodotto, produttività e quindi anche di qualità del lavoro. Di conseguenza, è lecito chiedersi quale sia il ruolo dell’Intelligenza artificiale nella prevenzione degli incidenti sul lavoro.

AI per la sicurezza sul lavoro, le applicazioni

A una prima analisi, l’Ai ha tutte le carte in regola per fermare lo stillicidio sociale appena enunciato. Tra le modalità di Ai più applicabili alla fabbrica intelligente, si possono elencare gli algoritmi di analisi predittiva, che utilizzano dati storici per identificare i rischi specifici di un ambiente produttivo, e i wearable device integrati con IoT, come caschi intelligenti o tute dotate di sensori, capaci di rilevare movimenti e condizioni ambientali. Se un lavoratore si trova in una situazione pericolosa, o rischia di incorrere in incidenti, il dispositivo invia un segnale di allarme che permette l’intervento preventivo da parte del personale di sicurezza.

Nei settori industriali ad alto rischio, come il manifatturiero, queste tecnologie non solo aiutano a evitare incidenti, ma riducono anche i costi legati agli infortuni e al fermo delle attività. Nei contesti produttivi, l’Ai, grazie al fatto che riesca a monitorare automaticamente l’uso di dispositivi di protezione individuale, i movimenti di macchinari e la corretta esecuzione delle procedure, può ridurre i rischi, rilevando errori umani o anomalie prima che si trasformino in tragedie.

Lo scenario in UE

In Europa, i Paesi che hanno adottato con successo l’Ai per la sicurezza sul lavoro hanno dimostrato un miglioramento significativo nella gestione del rischio. La Svezia ha ridotto gli infortuni nel settore edile con l’uso di sensori di rilevamento dell’orientamento dei lavoratori, che segnalano movimenti errati o situazioni di caduta imminente. In Francia, l’integrazione di software di riconoscimento delle immagini e analisi video nelle linee di assemblaggio ha permesso di ridurre i casi di esposizione a materiali pericolosi. A loro volta, Germania e Paesi Bassi sono tra i leader europei nell’utilizzo di tecnologie Ai “sicure” nell’automotive, nella chimica e nella logistica. Questi esempi dimostrano come l’Ai sia un “guardiano” silenzioso per il lavoratore.

Ciononostante, il suo ricorso sta incontrando alcune resistenze. Dal punto di vista della singola persona, è stato rilevato che i lavoratori ne percepiscano la funzione di sorveglianza continua, che minaccia privacy e autonomia professionale. Le aziende invece, specialmente quelle di dimensioni più ridotte e meno digitalizzate, si sono dimostrate spesso restie a investire in queste tecnologie, a causa dei costi e delle complessità di implementazione. Inoltre, in alcuni casi, i sindacati hanno espresso timori per la possibile riduzione dei posti di lavoro e per il controllo eccessivo da parte delle imprese.

Le resistenze culturali

Sul fronte di queste resistenze culturali, i lavoratori italiani e quelli dei Paesi dell’Europa meridionale mostrano il maggiore scetticismo. Ciò è dovuto a una differenza culturale. Nei Paesi scandinavi, l’innovazione tecnologica è vista come parte integrante del lavoro e della vita quotidiana, mentre in Italia e in Spagna l’adozione di nuovi strumenti incontra spesso resistenze più marcate.

Altrettanto, è interessante notare che la propensione all’adozione dell’Ai per la sicurezza è più alta tra le aziende medio-grandi e tra i lavoratori di età più giovane. Le grandi aziende, soprattutto nei settori ad alta intensità di capitale e tecnologia, come quello automobilistico o farmaceutico, hanno maggiori risorse per adottare tecnologie avanzate e sono quindi più predisposte a investire in AI per migliorare la sicurezza.

Da tutto questo, emerge l’urgenza di adottare un approccio ancora più inclusivo all’adozione delle nuove tecnologie. Ai lavoratori dev’esse trasmesso il messaggio per cui la transizione digitale è anche una fonte di maggiore sicurezza sul posto di lavoro.

Il contesto italiano

Tuttavia, l’Italia ha un handicap. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio di 4.Manager “Intelligenza Artificiale. Cambiamento culturale e organizzativo per imprese e manager: nuove traiettorie della managerialità”, ci pone sedicesimi in Europa per l’uso di tecnologie Ai nelle imprese, con un valore sotto la media Ue dell’8%. E non basta che gli investimenti nelle nuove tecnologie siano aumentati del 30% in un anno, visto che l’assenza di competenze (skill gap ) resta del 55% sull’intero panorama imprenditoriale nazionale.

Rispetto alla concorrenza europea, le imprese italiane continuano a essere sottodimensionate. Le Pmi contribuiscono ancora al Pil per circa il 41-45%. Contro il 37% e il 39% rispettivamente di Francia e Spagna. Essere una piccola impresa vuol dire non disporre, nella maggior parte dei casi, di un management sensibile alle grandi trasformazioni in corso. Il report fa notare appunto che solo lo 0,5% degli annunci di lavoro totali, pubblicati nel 2023, richiedeva almeno una competenza Ai. Percentuale praticamente identica allo 0,6% registrato nel 2019. Le aziende né cercano canditati con digital skill adeguate, né investono a sufficienza nell’aggiornamento professionale del proprio staff.

Se si accosta questo scenario a quello degli incidenti sul lavoro, si giunge alla conclusione che ai due problemi può corrispondere la medesima soluzione. Gli incidenti fatali hanno colpito in particolare settori come le costruzioni, la manifattura e i trasporti, con una crescita significativa di incidenti anche tra lavoratori stranieri e nelle fasce d’età più avanzate. In pratica i soggetti meno ricettivi alla transazioni digitale in corso. Per quanto encomiabili gli investimenti dell’Inail, è necessario un cambio di paradigma. Le nano-imprese devono smettere di essere “nano”, grazie anche alle tecnologie che permetterebbero loro di crescere. La formazione, in fatto di sicurezza e non solo, deve cominciare ad adottare un linguaggio comprensibile a tutti i lavoratori. Anche agli stranieri e a quelli più anziani. Che, in ogni caso, sono anche i più esperti.

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