La moda è una fucina che, interpretando i costumi di un’epoca, anticipa il futuro immaginando chi saremo, o chi vorremo essere, nell’arco di qualche stagione. Esemplare, in tal senso, è l’iconico cyber dress di Thierry Mugler che, a trent’anni dalla sua creazione, sorprende ancora per la sua attualità in un mondo dove l’intelligenza artificiale anima quotidianamente il dibattito globale.
Innovazione e diritti: il ruolo dell’AI Act nella moda
L’avvento dell’IA generativa ha aperto agli attori del comparto moda infinite possibilità e sfide applicative, imponendosi come catalizzatore di innovazione. Questa tecnologia non soltanto ha rivoluzionato l’esperienza di acquisto, sempre più immersiva e “sartoriale”, ma incide direttamente sui codici creativi e comunicati.
Se nel marketing, la GenIA consente di creare contenuti di altissima qualità, ovviando ai limiti economici e di sostenibilità dei mezzi tradizionali, sul piano creativo, è impareggiabile nell’analisi delle tendenze e nel supporto agli uffici stile, favorendo un celere adattamento al mercato essenziale tanto nel fast fashion che nel segmento high-end.
Non solo la capacità di anticipare (quasi predire) le tendenze dell’immediato futuro tende a influenzare, attraverso le richieste del marketing, la stessa creatività dei fashion designer.
A queste opportunità senza precedenti fanno da contraltare rilevanti questioni in punto di diritto che impongono una sintesi normativa tra esigenze del business – creatività, autenticità stilistico-comunicativa e gerenza della produzione – e legalità.
Regolamentazione dell’IA nella moda: l’AI Act
Per armonizzare le norme sull’uso dell’IA, il legislatore comunitario ha approvato l’AI Act, un ambizioso progetto regolamentare animato dalla volontà di garantire un uso dell’IA coerente con i diritti fondamentali – tra i quali, non a caso, figurano i diritti di proprietà intellettuale –, nonché dalla necessità di attrarre investimenti per stimolare l’innovazione nel mercato unico.
Il regolamento, in particolare, classifica i sistemi di IA in quattro categorie di rischio – minimo, limitato, alto e inaccettabile – e modula per ciascuna diversi obblighi di trasparenza e supervisione presidiati da un sistema sanzionatorio pecuniario ancorato al fatturato annuo globale e, per taluni soggetti, alla sostenibilità economica.
Nell’industria della moda, la maggior parte degli usi comuni dell’IA– come creazione di contenuti digitali e product development assistito – saranno generalmente riconducibili nelle categorie di rischio minimo e limitato. Due potenziali eccezioni si profilano con riferimento i sistemi di IA che influenzano direttamente i comportamenti di acquisto ovvero incidono sulla gestione dei dati personali, il cui uso esigerà più elevati standard di trasparenza e supervisione, tra cui l’obbligo di registrazione in una banca dati UE e l’informativa chiara ai consumatori sull’uso di algoritmi.
Non v’è dubbio invece che i brand saranno classificati come utilizzatori di sistemi di IA. Qualifica che determina la soggezione a obblighi di trasparenza informativa e che, nell’ipotesi di IA ad alto rischio o nei casi ex art. 50, richiederà una specifica menzione dei contenuti generati dall’intelligenza artificiale ai consumatori. In tal senso, vista la formulazione ampia della definizione di deepfake, verosimilmente, si assisterà ad un largo uso della medesima, rendendo essenziale per i marchi una corretta integrazione dei requisiti di trasparenza all’interno delle strategie di marketing per tutelare integrità e originalità comunicativa.
Proprietà intellettuale e IA: sfide normative
Desta preoccupazione, tuttavia, la lacunosità dell’AI Act in merito ai rischi insiti nell’uso di AI generativa rispetto alla tutela della proprietà intellettuale.
Se la GenAI solleva di per sé non pochi interrogativi – con esiti tutt’altro che uniformi – in termini di paternità e criteri di tutelabilità delle opere prodotte, la capacità di processare e rielaborare creazioni già esistenti aumenta esponenzialmente il rischio di violazioni dei diritti di proprietà intellettuale.
L’AI Act, pur non affrontando direttamente tali problematiche, rimedia parzialmente ribadendo, ai considerando 105 e 106, la necessità che l’utilizzo di contenuti protetti nelle fasi di addestramento e utilizzo dei modelli sia autorizzato o rientri nelle eccezioni previste ex lege.
Nello stesso senso, soccorre altresì l’art. 53 il quale richiede ai fornitori di modelli generativi di implementare tecnologie per identificare e rispettare eventuali opzioni di opt-out espresse conformemente alla disciplina sul diritto d’autore. Previsione che, all’evidenza, offre ai brand un motivo ulteriore per riservare espressamente i propri diritti in un formato leggibile da tali software, per evitare che il proprio patrimonio creativo venga utilizzato per addestrare modelli di IA generativa.
Tutela della riservatezza e IA nel marketing
Altrettanto centrale è il tema della tutela della riservatezza.
Molte strategie di vendita basate sull’IA dipendono infatti da un’ampia elaborazione di dati personali funzionali alla personalizzazione dell’esperienza d’acquisto, in store o online, processo che deve tuttavia allinearsi alla disciplina del GDPR, soprattutto laddove siano coinvolti dati sensibili. Anche in questo caso, l’AI Act ha imposto requisiti di trasparenza aggiuntivi per gli utilizzatori di modelli generativi che implicano la categorizzazione biometrica, potenzialmente rilevanti per l’esperienza di virtual try-on. Ancora una volta, per soddisfare questi standard, i marchi dovranno ripensare le dinamiche comunicative promuovendo chiarezza in ordine all’uso di IA generativa.
Occorre rilevare che i rischi appena evidenziati sussistono sia in relazione all’uso di dataset esterni, che nell’ipotesi di modelli IA progettati o integrati con dati di proprietà del brand imponendo, ove necessario, una revisione dei contratti in essere con designer e modelli per adeguarne il contenuto all’esigenza di addestramento e l’uso delle tecnologie di IA.
Un elemento chiave per l’attuazione del regolamento sarà il coordinamento tra i providers di modelli generativi e i brand, mirato non solo a garantire trasparenza operativa, ma anche a tutelare i diritti fondamentali coinvolti.
A tale ultimo proposito, oltre alla proprietà intellettuale e alla riservatezza, gli attori della filiera saranno chiamati a governare sia insidiosi bias algoritmici, forieri di risultati distorti e potenzialmente discriminatori particolarmente lesivi quando connessi a profili come il genere e l’etnia, nonché possibili frizioni con il diritto all’immagine di soggetti terzi, evidenziando l’urgenza di un approccio regolatorio che curi anche il profilo etico-sociale di queste sfide.
In buona sostanza, la posta in gioco è alta.
Tenere il passo frenetico dell’innovazione richiederà agli attori della filiera un serio ripensamento delle catene di valore e approvvigionamento modellato ad hoc sulle peculiarità dell’IA generativa e un conseguente processo di integrazione disegnato sugli oneri legislativi.
Il mutato contesto normativo offre però ai brand un’opportunità preziosa.
In un momento storico in cui i consumatori ricercano autenticità, adottare pratiche etiche e trasparenti nell’impiego di modelli generativi diventa cruciale per rafforzare fiducia e affinità valoriale nei confronti del marchio.
La necessità di un coordinamento globale
Nondimeno, l’industria della moda è intrinsecamente globale e la gestione della IA generativa richiede un approccio integrato e trasversale. Sulla scia dell’esempio europeo, molte giurisdizioni hanno avviato una riflessione interna sulle norme in materia di proprietà intellettuale e la loro adattabilità ai contenuti generati dall’intelligenza artificiale, ma la mancanza di un quadro legale coerente a livello internazionale rischia di creare frammentazione e disallineamenti a discapito dei molteplici interessi giuridici coinvolti.
La nuova normativa europea e i recenti arresti giurisprudenziali in materia – comunitari ed extra comunitari – offrono una guida preziosa per affrontare le criticità fin ora emerse, ma soltanto un impegno collettivo potrà costruire un ecosistema normativo che valorizzi la GenAI senza sacrificare creatività, etica e diritti.