L’adempimento collaborativo è un nuovo modello di interazione tra le imprese e l’Agenzia delle Entrate, introdotto per migliorare la trasparenza fiscale e prevenire controversie. Conosciuto anche come “regime di cooperazione fiscale rafforzata” (o anche Cooperative Compliance), questo regime si basa sulla cooperazione e sulla fiducia reciproca tra contribuenti e autorità fiscali, tra i quali si instaura un’interlocuzione continua con l’obiettivo di risolvere in anticipo eventuali questioni fiscali e garantire una maggiore certezza sull’applicazione delle norme. Per poter accedere all’istituto dell’adempimento collaborativo, l’impresa deve documentare di aver adottato un Tax Control Framework efficace.
Come funziona l’adempimento collaborativo
L’impresa collaborativa viene esonerata dal rischio di possibili controlli successivi ed ottiene altri benefici, meglio descritti più avanti, sia dal punto di vista pratico che reputazionale.
Il regime di adempimento collaborativo – introdotto nel 2015 – è stato di recente modificato ed esteso per effetto del D.lgs. 221/2023; in particolare, se prima l’istituto era riservato soltanto a imprese e gruppi di notevoli dimensioni, in grado di produrre volumi di affari altissimi, la nuova formulazione dei requisiti soggettivi permette l’accesso anche a imprese medio – grandi
Chi può accedere all’adempimento collaborativo
Attualmente, infatti, l’accesso all’istituto è riservato ai soggetti residenti e non residenti (con stabile organizzazione in Italia) che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a:
- 750 milioni di euro per gli anni 2024 e 2025;
- 500 milioni di euro per gli anni 2026 e 2027;
- 100 milioni di euro, a partire dal 2028.
I soggetti che non rispettano i predetti parametri possono comunque chiedere di essere ammessi al regime in forma volontaria, seppur con benefici premiali ridotti.
Tax control framework e adempimento collaborativo
Ma non basta: dal 2024 si richiede che il Tax control framework sia “certificato”, ossia avvalorato da una forma di certificazione tributaria rilasciata da professionisti qualificati (avvocati e dottori commercialisti, con l’eventuale ausilio di consulenti del lavoro per le materie di loro competenza), la quale attesta la corretta applicazione delle norme tributarie sostanziali, nonché l’esecuzione degli adempimenti, dei controlli e delle attività indicati annualmente con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Rischi di conflitti: cosa dice il ministero dell’Economia
Sul punto è intervenuto il recentissimo Decreto Ministeriale MEF – Giustizia del 12 novembre 2024 a definire requisiti di onorabilità e professionalità dei certificatori. Desta perplessità l’inclusione tra le cause ostative all’accettazione dell’incarico di certificatore, l’aver reso servizi funzionali all’elaborazione del TCF, ovvero aver ricoperto ruoli di responsabilità in tale ambito: ciò significa che i professionisti che hanno partecipato alla redazione del TCF non possono anche certificarlo.
Tale causa ostativa si estende anche agli altri professionisti legati da rapporti di collaborazione professionale, anche occasionali, con la medesima società o associazione tra professionisti con cui collabora, a qualunque titolo, o a cui è associato il professionista abilitato alla certificazione.
Non si comprende il motivo per cui lo stesso soggetto chiamato ad accompagnare la società nella stesura e nell’adozione del TCF, evidentemente dotato dei requisiti di idoneità tecnico – professionale necessari, non possa essere anche autorizzato a certificare la qualità del lavoro svolto, assumendosi una specifica responsabilità di attestare che l’impresa sia dotata di un affidabile TCF in linea con le indicazioni dell’Amministrazione finanziaria. Ciò determinerebbe infatti una semplificazione del processo e una conseguente riduzione dei costi per l’impresa, senza che ne risulti un’alterazione della qualità, né rischi di conflitto.
I vantaggi per le imprese
In ogni caso, il regime offre considerevoli vantaggi per l’impresa che decide di ricorrere al suo utilizzo. Innanzitutto, l’impresa in regime di adempimento collaborativo vanta canali preferenziali di interlocuzione con l’Agenzia delle Entrate, quali ad esempio l’interpello preventivo abbreviato con riduzione dei tempi di attesa (per questioni di diritto), o la possibilità di comunicazione via pec dei rischi (per tematiche di natura fattuale).
Vi è poi da considerare che l’Agenzia delle Entrate stessa ha recentemente confermato che le fattispecie oggetto di interlocuzione preventiva non saranno sottoposte a successivi controlli periodici.
Ma i vantaggi più interessanti per le imprese sono quelli di natura premiale, ossia la disapplicazione delle sanzioni amministrative o la loro riduzione del 50 %, oppure la sospensione della riscossione delle sanzioni già irrogate fino ad accertamento definitivo.
Infine, vi è un ulteriore vantaggio di natura reputazionale, rappresentato dalla pubblicazione all’interno del sito internet dell’Agenzia delle Entrate dell’elenco dei contribuenti che hanno fatto accesso al regime, così da garantire al contribuente collaborativo una pubblicità positiva.
Lo scenario
In conclusione, si può affermare che l’istituto in esame si colloca nella prospettiva di uno storico ribaltamento della dialettica tradizionale tra contribuente e Amministrazione finanziaria.
L’imprenditore – contribuente che aderisce al regime si confronta in via preventiva con l’Amministrazione finanziaria, condividendo con la stessa anche gli eventuali dubbi interpretativi in merito alla normativa fiscale applicabile, non nascondendo alcunché, ma anzi esponendosi con grande trasparenza. In tale prospettiva evoluta, l’Amministrazione si trasforma così da ente-controllore, pronta a sanzionare l’imprenditore disattento, ad ente di supporto al contribuente, che collabora con lo stesso in via preventiva.
Il ricorso a questo tipo di strumenti, se usati correttamente, non può che determinare effetti benefici per il sistema fiscale italiano ed anche per la competitività delle aziende sul mercato nazionale e internazionale.